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Huipil era stanco, davvero sul punto di cedere. Da più di quattro anni aveva trovato rifugio nella foresta, quella più fitta, nella quale era facile trovare anfratti celati tra gli alberi centenari, nutrendosi di bacche e di vermi, cercando riparo per la notte in grotte o tane scavate nella terra, per sfuggire ai pericoli del bosco, ma soprattutto a loro, che lo stavano cercando senza sosta. Da quando era stata dichiarata dai sacerdoti la guerra fiorita, quella che si lanciava per catturare prigionieri da sacrificare alla divinità, il suo destino era stato segnato. Sopra di sé portava il segno del prescelto stampato sulle sue carni e addirittura ben evidente se qualcuno lo avesse osservato con attenzione alla base del collo. Prima o poi sarebbe stato preso, messo in ceppi e portato, tra il giubilo della folla alla grande piramide, messo nelle segrete sotterranee, apparentemente accoglienti, per attendere il giorno del giudizio, il momento del sacrifico supremo. Da tempo i sommi sacerdoti affilavano i lucidi coltelli di ossidiana nera, ed aspettavano di vestire i grandi mantelli verdi fatti di piume di quetzal, che li avrebbero paludati per il giorno scelto dagli astri. Aveva dormito male anche quella notte, faticando a respirare, con quel groppo alla gola che non lo lasciava mai da mesi. Anche il suo corpo benché all'apparenza florido e proprio per questo più appetibile agli scherani del tempio, era sempre più indebolito e bastavano pochi passi, al sentire i tonfi pesanti dei drappelli di soldati che percorrevano la selva alla sua ricerca, per farlo ansimare come un mantice ormai sfiatato. Gli anni passati nella fuga, nella speranza, che pure il buon senso gli indicavano come assolutamente vana ed inutile, pesavano sul suo corpo ormai flaccido e vecchio.
Aveva capito che procrastinare ancora il momento lo avrebbe fatto solo soffrire, facendolo vittima di quella selva dove cercava inutile rifugio e che invece che salvezza, poteva diventare di colpo la sua condanna. Così quel giorno, quando sentì gli scherani del tempio che arrivavano dal sentiero grande, non scappò veloce nascondendosi dietro le grandi felci verdi che coprivano gli spazi tra gli alberi, ma rimase lì ad aspettarli e mentre loro gridavano di gioia e lanciavano al dio grida di vittoria si lasciò prendere. Lo portarono al tempio senza legarlo, come se la vittima sacrificale fosse felice e secondo tradizione, fiera di offrirsi alla divinià crudele che voleva il suo sangue e le parti vitali del suo corpo. Rimase pochissimo in attesa del momento del sacrificio, le stelle erano girate in fretta sulla volta di velluto nero del cielo ed avevano decretato quale fosse il momento più adatto alla cerimonia, quello in cui le congiuzioni astrali erano più favorevoli. Fu acconciamente fasciato di bianche bende, forse pensò, per una successiva mummmificazione, quando gli organi estratti ed asportati avrebbero trovato sede definitiva in vasi canopi, ornati e dipinti per il loro compito di eternità, poi fu condotto disteso, velocemente verso l'altare, dove tutto era pronto per il sacrificio. Era una atmosfera ovattata dove si avvertiva solamente un brusio di fondo, suoni lontani, ticchettii e pulsazioni del grande cuore divino che a tutto presiedeva. La sala era gremita di sacerdoti ed ancelle, ognuna col preciso compito che il cerimoniale prescriveva, secondo i canoni antichi della tradizione, ma integrati dai nuovi corsi filosofici delle conoscenze e degli studi che ogni giorno si compivano nelle scuole dei sacerdoti stessi.
Lo avevano preparato con cura prima di portarlo a quello stadio. Mondato di ogni impurità, peli e residui che gli aveva lasciato la jungla, che il dio pretende la purezza assoluta prima di scendere a prendere la sua vittima. Era stato accuratamente spennellato di unguenti e sostanza odorose che ulteriormente lo preparassero all'incontro fatale e forse al suo successivo cammmino nell'Ade. Lui, vinto e privo di speranze aveva lasciato fare, obbediente ed inerme. Poi la Grande Sacerdotessa, aveva cominciato a somministrargli sostanze, perché la sua mente si confondesse e non avvertisse la paura dell'incontro con le lame affilate che lo attendevano. Quando venne il momento e la cerimonia ebbe inizio, non sentiva più nulla ed era ormai pronto all'incontro col trascendente. Non si accorse neppure di quegli strumenti che gli venivano infilati in gola, né che la lucida ossidiana era stata sostituita da affilate lame di durissimo acciaio. I tempi cambiano e il Gran Sacerdote si avvicinò fasciato e coperto dal verde del quetzal, la bocca coperta affinché il suo respiro non turbasse il campo divino, dove doveva operare solo lo spirito del Dio. Mentre la Sacerdotessa continuava a pompare droghe, Huipil era in uno stato meditativo in cui non pensava neppure agli organi che gli sarebbero stati strappati dalle viscere per essere offerti, ma rimaneva in uno stato sospeso e senza tempo nel quale non avvertiva più neppure il dolore o l'impossibilità di respirare naturalmente. L'alito divino, gli veniva comunque insufflato e continuava inopinatamente a mantenerlo in vita, mentre il Gran Sacerdote salmodiava ordini e muoveva mani e strumenti dentro di lui.
Dopo aver effettuato un gran taglio alla gola, si apprestava, come consigliava il cerimoniale, a spaccargli lo sterno per penetrare poi con le mani nude dentro il suo petto e strappargli via la carne viva che il Dio aspettava, ma l'occasione era anche mostrare la sua grandissima abilità che lo rendeva il più famoso tra i sacerdoti di Quetzalcoatl, che su quell'altare aveva sacrificato ormai migliaia di prigionieri, anche i più difficile e riottosi. Quindi la sua sfida era quella di entrare nel petto di Huipil e strappargli l'organo che il Dio richiedeva, senza spaccare l'osso, una prova di perizia estrema che avrebbe richiesto ore di paziente lavorio, di mano e di coltello, per eseguire l'asportazione e riuscendo a mantenere in vita la vittima, questa era la sfida. Altri sacerdoti lo aiutavano nella cerimonia, seguendo con lo strumento inserito nel petto di Huipil, che non venisero toccati e neppure sfiorati altri organi, quasi come i maestri impalatori di Vlad Dracul che riuscivano a far penetrare l'aguzzo palo dal forame inferiore fino a farlo fuoriuscire dalla spalla destra senza toccare punti vitali, per prolungare il supplizio per giorni e giorni ancora. Le ore passavano e pezzo dopo pezzo la carne sanguinolenta veniva estratta dalla tutto sommato piccola apertura praticata nel collo e deposta nel contenitore a fianco dell'altare per essere poi messa negli appositi canopi preparati alla bisogna. Oltre mezzo chilo di carne, sangue e tessuti vari ammucchiati disordinatamente tra viscidi succhi corporei.
Infine, come era cominciata, la cerimonia terminò di colpo. La ferita chiusa alla meglio per mantenere in vita Huipil ancora per qualche tempo e le droghe stesse che gli venivano somministrate dalla sacerdotessa mutarono in quantità e tipologia, altri succhi, altre polveri, altre bacche erano state tritate, pestate e diluite per creare gli effetti voluti. Gli strumenti furono estratti via via dal suo corpo. Ogni sacredote raccolse i suoi strumenti e li ripose nei tabernacoli del suo dio dopo essere stati ripuliti dalle linfe vitali e, compiuto ogni ulteriore obbligo che il libro sacro prescriveva, Huipil fu trasportato di nuovo nella sua cella dove a poco a poco riprese conoscenza, stupito di essere ancora in vita, circondato di stele che riportavano, sacre iscizioni, di strumenti che emanavano suoni misteriosi e ritmati, avvolto di sacri teli, bende e funi che a quegli strumenti lo tenevano avvinto, raccontando forse alle ancelle che lo circondavano, lo stato in cui si trovava, di quanto il suo sangue fosse spesso e zuccheroso e fargli man mano prendere coscienza di quello che aveva subito. Anche il Gran Sacerdote e tutti gli altri, vennero più volte a trovarlo per avere contezza del successo della grande cerimonia, stabilendo le dosi di quanto, ormai reso schiavo, avrebbe dovuto assumere per il resto della sua vita. Lo lasciarono libero di tornare al suo villaggio dopo un paio di giorni. Ormai la tiroide era stata felicemente asportata; l'operazione era andata molto meglio del previsto, rimaneva solamente più di calcolare il giusto dosaggio di Eutirox da assumere a digiuno la mattina e dare un'occhiata alle corde vocali, precauzione normale del postintervento. Grazie a Lei Dottore e a tutta la sua equipe, siete stati davvero grandi, dal vostro gratissimo, paurosissimo e indocile paziente!
La mummificazione |
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