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martedì 24 luglio 2012

Ritorno a Fenestrelle

Il forte di Fenestrelle
E' un po' come ritrovarsi con i vecchi compagni di scuola. Ogni volta che ci vengo, in questo piccolo paese delle Alpi Cozie, con le sue case anni sessanta mescolate alle vecchie baite montanare dai tetti di lose ricoperte di muschio, corrose dal tempo e sbrecciate, mi pare di ritornare in un luogo del passato. Un passato acquisito, tra l'altro, non essendo neppure uno dei luoghi della mia fanciullezza, ma con un sapore di vecchio a volte un po' stantio. E' una valle che tiene lontano i giovani, priva di interessi a loro consoni e anche gli anziani, che non ne sono poi così appassionati. I nativi hanno convissuto con i redditi del boom economico e delle lusinghe delle fabbriche della vicina Torino, mai interessati, né necessitati a dedicarsi all'accoglienza turistica, sempre considerata più un fastidio che un'opportunità. Diciamo che è un posto per amatori che riescono ad apprezzare sfumature di grigio particolari, curatori di ricordi specifici, bibliotecari dedicatisi a nicchie neglette del sapere, roba per pochi insomma, dove devi aver proprio voglia di venire. E davvero poca gente trovi in giro. 

Qualche faccia nota da decenni, persone con cui ti intendi con un cenno della testa anche se non li vedi da un anno, qualche curioso capitato per caso che si aggira per trovare qualcosa di notevole da raccontare arrivando a casa, la sagoma nera in controluce del forte, la cui sommità si perde tra le nuvole mille metri più in su, tra le asperità della cima del monte. Una sentinella silenziosa in attesa di qualcosa non è mai arrivato. Eppure in quest'aria sottile, col sole che tenta di penetrare nella coltre globosa delle nubi spesse del pomeriggio, senti profumi delicati, resine antiche, ronzii di mosce non insolenti. Nella pietra dei muraccioli crudi leggi un senso di indifferenza a tutti quei fatti che solo qualche chilometro più a valle ti parevano così importanti, così fondamentali, da seguire con attenzione ed il timore di un futuro pieno di incognita. Solo voglia di fare respiri profondi, di perdere l'occhio nel verde cupo della montagna, l'orecchio solo un poco distratto dal gorgogliare lontano del Chisone, un rivolo d'acqua di torrente estivo che attira le capre dal vicino prato scosceso. No, davvero non si sta male qui, l'occhio non più turbato verso il crinale del monte, la mente in stand by a respirare il profumo del fieno, a lasciar trascorrere le ore, che forse è questo il fine della vita, non certo lo spread.


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venerdì 17 luglio 2009

Alle porte d'Italia

Eh sì, 36°C sono tanti. Tutti che si lamentano, magliette che si incollano sulla pelle, goccioloni che cadono dalla fronte solo a pensare, immagina se dovevi lavorare; quindi, terminate le incombenze varie, fatte tutte le telefonate che si dovevano fare, basta, si parte e si va al fresco. E qui comincia il dramma. La preparazione delle masserizie, che era comunque prevista da tempo, con adeguati accumuli di cibarie d’ogni tipo, dovrebbero essere sufficienti anche in caso che Ahmaddinejad decidesse improvvidamente di dare il via all’olocausto su scala mondiale, mentre il vestiario preparato dovrebbe bastare per l’equipaggiamento di una compagnia di esploratori. Non mancano materiali per l’enterteinement, opportunamente supportati da collegamento alla rete (certo non si possono mica lasciare deluse le orde di lettori che attendono il post quotidiano come le folle che seguivano il Nazareno); poi libri, strumenti per la casa, varie ed eventuali e finalmente pronti all’imbarco. Ora, pur in possesso di una capientissima station wagon, acquisita proprio a questi fini, il problema si ripresenta uguale ad ogni partenza. Non ci sta tutto. Anche se l’ingegnerizzazione dello stivaggio era stata calcolata con cura, rimane sempre qualcosa che non era stata prevista nelle sue giuste dimensioni, pertanto la disposizione va ripensata, rivista e ricalcolata. Finalmente sembra che tutto sia a bordo, inclusi diversi vasi fioriti che spargono il loro terriccio nei vari interstizi dell’astronave che sta per abbandonare il pianeta natale. Caricate anche le tartarughe (e pensare che non ne ho mai gradito il delicato brodino) e il pappagallo (su questo punto, vi sarò magari più preciso in seguito) si parte, dopo essere stati salutati da tutti i vicini a cui si era accuratamente cercato di occultare la partenza. La Val Chisone è lì che ci attende immobile da milioni di anni. L’antico re Cozio non sospettava che sarei venuto tra queste verdi valli a completare la mia convalescenza che sarà lunghissima e coccolatissima per fortuna mia e sfortuna di chi mi sopporta. Scarichiamo sotto nubi che si stando addensando e promettono con qualche gocciolio, una serata sui 18°C. Mi sa che bisognerà pensare ad accendere la stufa. L’estate è finita (quasi).

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!