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venerdì 5 febbraio 2016

Rajastan 12 - Da Kumbhalgarh a Ranakpur

L'ingresso della fortezza di Kumbhalgarh

Il forte
Ormai le grandi strade che attraversano le pianure indiane, pur con tutti i limiti qualitativi che si devono considerare, permettono di raccorciare le infinite percorrenze di un tempo e questo, sebbene sia un vantaggio, toglie una parte del fascino al viaggio indiano. E’ lo svantaggio che ti impone il progresso, benedetto o maledetto che sia, così quando la struttura del terreno o l’isolamento di cui gode qualche località, ti costringono ad una rotta che impone antiche stradine, il ritrovato andamento lento, ti riporta a ritmi passati che ti fanno riconsiderare il piacere di conoscere un paese più da vicino. Queste antiche vie contorte ed altalenanti sono necessarie quando ti infili tra le colline degli Aravalli, la bassa catena montuosa che corre nel sud del Rajastan, corrosa dal monsone estivo e dalla insolente calura dei mesi precedenti. Sono stradine strette e malandate che portano da un villaggio all’altro di un India rurale popolata soltanto da mandrie di bianchi zebù e greggi belanti condotte da pastori Rabari vestiti di bianco con enormi turbanti rossi, da campi spogli di rado e assetato cotone, cereali poveri e piccoli legumi scuri. Case cadenti con intonacature ormai dimenticate, aie polverose dove giocano bambini stanchi e coperti di stracci. 

Solo le vesti delle donne sono ricche di colori violenti e le loro braccia ricoperte quasi completamente di lunghe file di braccialetti di plastica bianca, epigoni smarriti dei cerchi di avorio che già 40 anni fa, al tempo della mia prima venuta da queste parti, erano in via di estinzione e si trovavano in transumanza sulle bancarelle di robe vecchie. Qui vedi la vita vera che prosegue sempre uguale da millenni, con l’unica novità penetrata con violenza inarrestabile dell’ultimo decennio  con l’arrivo del telefonino, un fenomeno assolutamente impensabile e difficile da interpretare anche nelle sue implicazioni future. Così in mezzo a questo mondo trovi cose imprevedibili e inselvatichite che sarebbe senza senso perdersi. Forse queste aree erano ancor più difficili un tempo, ricoperte di jungla fitta, gioia e dolore per le corti di quel tempo, con le loro caccie da favola che affascinavano i visitatori occidentali. Erano la sede dei regni Rajput, i grandi guerrieri del nord ovest indiano, i soli che riuscirono in qualche modo ad apporsi all’avanzata Moghul. Qui la dinastia Mewar, nel 1500 seppe costruire fortificazioni di dimensioni tali da rivaleggiare con le muraglie cinesi, che al contrario di queste, in molti casi, seppero resistere a lungo. 


Un cortile
Kumbhalgarh è forse la fortezza più colossale che sia rimasta a testimoniarne la potenza con i suoi 36 chilometri di lunghezza, rimasta in perfetto stato di conservazione. Rimane una esperienza unica salire su questi bastioni ciclopici e perdere lo sguardo nel seguire le curve sinuose dei muri che scavalcano le asperità della montagna, estendendosi nei punti più arditi per rendere scosceso e vertiginoso il lato da cui doveva giungere l’assalitore. Scalinate ripide e lunghi ed ondulati passaggi dove ancora ti par di udire scalpiccio di zoccoli ferrati o clangore di corazze, assieme al rombo dei cannoni che inutilmente hanno tentato di fare breccia in muraglie di pietra spesse fino a dieci metri. Le costruzioni della fortezza cingono la cima del colle più alto, al di sopra del portale gigante circondato da torri con le basi tonde e debordanti. Dall’alto della torre maggiore domini valli successive che si perdono in un orizzonte ceruleo in cui la foschia tende a confondere terra e cielo. All’interno della vastissima area, un terreno aspro e praticabile solo attraverso difficili sentieri e punteggiato da centinaia di templi, molti in rovina, altri ancora in attività delle più diverse epoche, alcuni risalenti addirittura al periodo Maurya del II secolo a.C. 

Una sala di Ranakpur
Un luogo dove rimarresti per ore sulle torri o tra i merli dei bastioni ad ascoltare il frinire delle cicale cercando di sentire echi lontani, sonagli dorati di danzatrici n veli trasparenti, rumor di battaglie, grida di uomini, sibilo di palle di cannone, barriti di elefanti in partenza dietro alle schiere di battitori in cerca della tigre. Un mondo perduto che ha fatto la storia e la letteratura. Mentre ripercorri i tornanti verso la valle continui a volgere la testa indietro per non perdere anche un ultimo scorcio di questa bellezza, ma continui ancora per stradine e viottoli, scendendo la valle fino al grande tempio jain di Ranakpur, un’altra perla smagliante, un ennesimo capolavoro di marmo traforato avvolto dal verde della vegetazione che lo circonda. E’ uno dei più grandi e pieno di pellegrini che vengono qui di certo per pregare, ma che non riescono certo a rimanere insensibili di fronte alla raffinatezza dei lavori compiuti da eserciti di artisti artigiani che qui hanno operato. Le colonne e le statue che circondano cortiletti e corridoi, sono una continua esibizione di elementi che da soli meriterebbero una deviazione. Ero stato qui trenta anni fa e certamente il luogo è cresciuto parecchio con una serie di costruzioni religiose e di assistenza commerciale al pellegrino che nel frattempo è cresciuto di numero e di certo anche in potenzialità economica. E’ il destino normale per tutti i grandi luoghi di culto. In fondo anche la fede è business e alla fine fa comodo a tutti.

Il tempio


SURVIVAL KIT

Soffitto
Forte di Kumbhal – Ingresso 100 R. Di certo la fortezza più grande del genere ancora più vasta di Chittorgarh, benché meno famosa. 36 km di mura perfettamente conservate alte oltre dieci metri, scandite da torri ciclopiche dalle basi curiosamente rigonfie, sui cui camminamenti potevano passare drappelli di otto cavalli affiancati. E’ possibile percorrere l’intero circuito in circa 2 giorni. Da vedere la fortezza che sorge sulla collina vicino all’ingresso con i suoi diversi ambienti e cortili che dominano la valle. Si possono visitare anche diversi templi ben conservati nei pressi dell’ingresso principale sui circa 360 esistenti all’interno del perimetro. Possibilità di escursioni a piedi e di safari nella jungla circostante che ospita il Kunbhalgarh wildlife sanctuary con leopardi e pare qualche tigre, oltre a molti altre specie di mammiferi selvatici. Qui è stato anche Kipling che racconta queste caccie sontuose nei suoi libri.


Tempio di Ranakpur – Ingresso 200 R + !00 per m/c foto. Tempio jainista del XV secolo dedicato ad Adinath, molto famoso che sorge ai piedi degli Aravalli a 75 km da Udaipur. Capolavoro di marmo dalle sculture raffinate (ma meno lavorate dei templi di monte Abu), è molto affollato di fedeli e conta 29 sale, 80 cupole e 1444 colonne riccamente scolpite. Altri templi minori sono all’interno di quello principale, tutti comunque egualmente grandiosi. L’accesso è piuttosto controllato da militari, si viene perquisiti ed è vietato introdurre oggetti di cuoio, sigarette e ovviamente scarpe. Risalendo la valle per 12 km si può arrivare a Kumbhalgarh. Da Ranakpur si può comodamente proseguire per Jodpur.

Le colonne

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giovedì 4 marzo 2010

Sapori d'India in salsa bretone.

Oggi voglio raccontarvi una storia curiosa. Era un altro agosto caldo e piovoso ed era un' altra Ambassador quella che ci portava attraverso i deserti del Rajastan, stupiti per la bellezza dei palazzi dei Maharaja, senza parole alla vista di città magiche dai colori pastello, con le case coperte delle immagini degli dei, con i templi dove si affollavano turbanti rossi e gialli, sopra visi scavati e sari variopinti su corpi minuti dalle braccia quasi nascoste da centinaia di braccialetti d'avorio. Avevamo passeggiato tutto il giorno per i mercati di Jodhpur, la città blu e cercavamo di schivare i piatti carichi di spezia forte che cuocevano la lingua, quando il nostro autista, un furbetto simpatico e anche un tantino troppo incline a tutto quello che si poteva distillare, ci disse che una coppia di francesi gli aveva chiesto, visto che avevamo posto in macchina, di portarli con noi fino a Udaipur. Partimmo così la mattina dopo, tutti contenti, loro che avevano risolto un problema di spostamento, noi, che avremmo potuto scambiare le nostre impressioni con qualcuno, il furbetto che sperava in una buona mancia non preventivata. Si parlò di tutto e man mano che passava il tempo, diventava sempre più gradevole quel contatto fortuito. Vedemmo villaggi e mercati. Passammo un mattino in uno straordinario tempio Jainista a Ranakpur, completamente deserto, perduti tra bianchi colonnati, popolati solo da scimmie. Un libro della jungla vissuto invece che letto. Erano viaggiatori veri, che sapevano assaporare il viaggio prendendosi i tempi giusti, senza la fretta dei turisti. Noi, che eravamo particolarmente su di giri a causa della vicina soluzione della nostra vicenda di adozione, trovammo in aggiunta, calore e simpatia. Ci lasciammo dopo tre o quattro giorni, dopo aver sorseggiato un thé nel bianco palazzo al centro del lago di Udaipur, una parentesi regale per capire cosa poteva essere stata l'India osservata da quel punto di vista esagerato. Loro si sarebbero fermati qualche giorno ad assaporare quelle sensazioni, noi saremmo scesi sempre più a sud, attraverso il Gugiarat verso altre emozioni, sempre in corsa contro il tempo. Rimase solo un recapito su un taccuino di viaggio come tante altre volte. Ma non fu così. Ci si scrisse (allora si mandavano le lettere, non avevano ancora inventato le mail), ci si sentì e qualche anno dopo passarono dalla nostra città e conobbero così anche la nostra bambina che aveva ormai cinque o sei anni. Poi per altri diciotto, solo altre lettere e promesse di rivederci, sempre andate a vuoto per le casualità che la vita ci prepara con sorprese continue. Ieri sera, rivederli è stato un piacere raro, dopo un tempo così lungo e forse proprio per questo così bello. Ancora così uguali ad allora, ancora così piacevoli. So già che voi, conoscendomi, maligni come sempre, direte che la serata è stata così gradevole anche per le qualità di cuoca sopraffina della nostra amica che, dopo aver attenuato la potenza alcoolica di un planter punch ricco di spezie e soprattutto di rum, con dei deliziosi hors-d'œuvre variatissimi, ci ha servito un sontuoso filet mignon de porc sweet & sour, che il miele aveva reso delicato e croccante assieme e la cipolla armoniosamente profumato, mentre la salsa densa sposava, abbracciandolo, il classico contorno di tagliatelle. Di seguito, allietato da un buon rosso spagnolo, su un letto di insalatine e rucola, le più deliziose rondelle di chèvre bianche e saporose, ricoperte di noci sbriciolate. Gran finale con la più tradizionale e morbida tarte aux pommes che io abbia gustato da tempo. Lo so che voi pensate solo a questo, ma la serata è stata molto di più, a sfogliare vecchie foto, a raccontarci le nostre vite. Penso che ci rivedremo ancora spesso, per continuare a scambiarci emozioni. Donc, merci encore, Jackie et Jean et à bientôt avec amitié!


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