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venerdì 1 gennaio 2010

Capodanno tra la neve.



Credo che sia un mio destino, il rapporto che ho ed ho avuto con il ghiaccio e con la neve. Non mi è mai piaciuta molto, ma negli anni ho imparato ad amarla, a non temere il morso del freddo sulle guance, il pizzicare del gelo tra i peli della barba, anzi col tempo mi sembra che non sia poi così fredda. Sarà il riscaldamento globale, saranno gli anni in cui percorrevo l'impero sovietico a farmi sembrare il freddo umido di Alessandria o il bianco reso abbagliante dai raggi del sole chiaro di Sestriere assolutamente sopportabili, anzi piacevoli. Così comincia un altro anno, un nuovo interrogativo, un nuovo desiderio di cose positive quasi che quelle passate non siano già state così generose, così ricche. Chissà perchè l'uomo si condanna ogni anno a sperare in un futuro migliore e a rimpiangere un passato sempre avvertito come "i bei tempi di una volta". Perchè non riesce a rendersi conto che la serenità la puoi trovare solo dentro se la vuoi trovare.
So già cosa mi direte, facile parlare con la pancia talmente piena da sentirla tirare da tutte le parti. (Ragazzi , sono stati giorni duri sotto questo punto di vista e non è ancora finita, ve lo assicuro). Lo so i soldi aiutano sempre a sopportare il fardello dell'esistenza e filosofare in un bel bar di Sestriere (prende anche qui la chiavetta famigerata!) sembra ridicolo, ma fermarsi a pensare un attimo, allontanare per un po' il desiderio, non fa male. Crogiolarsi nel calore buono di quello di buono che ti circonda, fa comunque sentire meglio e il colore esplosivo dei colori dei fuochi artificiali che hanno illuminato, qui come in ogni altra parte del mondo questo inizio di anni '10 e che, se riesco vi voglio qui offrire, vogliono rappresentare il senso di pienezza che per essere tale deve sempre essere venato da una sottile ma non sgradevole malinconia.

Ancora Buon Anno Nuovo a Tutti!

sabato 14 novembre 2009

Buchi nella neve.

Alexiej era di una magrezza preoccupante. Ne avevo già parlato nel Rasoio a due teste, ma la sua somiglianza a come mi figuravo il Raskol'nikov di Delitto e castigo era talmente perfetta da lascire senza fiato. La barbetta rossiccia, le guance incavate, gli zigomi alti e sporgenti e gli occhi soprattutto, infossati e neri, come febbricitantinell'ansia di mettere in piedi un affare, un contratto, qualcosa che producesse almeno una piccola prebenda per uscire da una evidente indigenza, segnalata dal baschetto sdrucito di pelle nera e dal cappotto liso col bavero alzato per ripararsi dal gelo che a fine febbraio mordeva duro. Era lo specchio di quella Ukraina ormai tecnicamente indipendente che la stupidità della folla osannante chi predicava le divisioni, stava indebolendo allo stremo. Era l'unico paese dove il rublo che ormai dappertutto era considerato carta straccia, faceva premio sulla moneta locale, anzi su quello che rappresentava la futura moneta , la grivna, non ancora pronta e che gli ukraini favoleggiavano fortissima e già stampata per essere distribuita a breve a copertura di uno strepitoso benessere collettivo. Così circolavano i cosiddetti Cuponi, dei rettangoli in tutto simile ai soldi del Monopoli per dimensione, colori e tipo di carta. con la sola differenza che erano stampati da due parti. In poche settimane erano scesi a un cinquantesimo del loro valore iniziale e nessuno li voleva. Alexiej me ne fornì una serie completa da 1 a 200.000, un bigliettino giallo con cui pagammo il caffè con un biscotto sabbioso con cui tentammo di rifocillarci subito dopo l'arrivo. La barista, che appoggiava sul bancone sporco la sua ottava abbondante, a cui osammo se era buono, ci guardò con curiosità. Arrivavano pochissimi stranieri a Kharkhov, fece un sorriso triste e dichiarò che nel paese da cui venivamo non lo avrebbero dato neanche ai maiali e portò via il suo peso consistente, assieme ai 200.000 cuponi, ciabattando lungo il corridoio. Mentre giravamo da un incontro all'altro, la città si spiegava davanti a me, indifesa nella sua debolezza di economia ferita, in stato preagonico. Un vecchio centro con antichi palazzi ottocenteschi e grandi viali privi di macchine dove sbuffava qualche camion fumoso e qualche raro filobus affollatissimo. Davanti alle molte chiese, le piccole piazze disegnate con cura da architetti di un tempo, erano spesso occupate da residuati bellici, autoblindo e carri coi cingoli rotti, muti testimoni di una ferita mai chiusa , di una guerra che ha ucciso qui come in nessun altro posto; un ricordo che ancora faceva chinare il capo al solo accennarne. E qui file di vecchie donne con la mano tesa in silenzio a chiedere un elemosina da chi forse non aveva di che sfamare esso stesso. Il nostro Alexiej aveva sempre in tasca un mazzetto di cuponi da 5 e da 10 e li distribuiva lentamente, uno per ogni vecchina, che gli facevano un cenno di benedizione con la mano, mentre dall'interno della chiesa saliva forte la voce salmodiante del pope. Tutti i pochi rumori della città erano comunque attutiti dalla neve che continuava a scendere piano e il grande lago del parco centrale, coperto di puntini neri, lontani, i pescatori che rimanevano ore su uno sgabellino davanti ad un buco nel ghiaccio, pareva una immensa, bianca stuoia di feltro dove le nostre suole faceva scrocchiare la neve ad ogni passo. Alexiej aveva una voce bassa e profonda e parlava lentamente, scegliendo con cura le parole; tossiva spesso, girandosi di lato come per scusarsi, con gli occhi tristi, febbricitanti. Pensai che non avrebbe passato l'inverno. Mi hanno detto che adesso è proprietario di cinque farmacie e rappresenta una multinazionale del farmaco e va in vacanza in Sardegna, quando può.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!