martedì 27 marzo 2012

Mutande di lana.

Beh, dai ragazzi, ormai è scoppiata la primavera, alberi in fiore dappertutto e, cosa rimarchevole sotto ogni aspetto, non fa più freddo. Stamattina, mentre di buon ora, verso le 9 e mezzo, me ne andavo a zonzo a tentare inutilmente di fare qualche commissione, c'era un alito tiepido nell'aria che ti levava anche la voglia di litigare con quel disgraziato che deve stare tutto il giorno allo sportello a prendersi contumelie a causa di una burocrazia di cui non è responsabile, ma come si dice, utilizzatore finale. Si sta proprio bene, col sole ancora lieve e non aggressivo che scalda senza bruciare e il profumo dei fiori nell'aria. In Giappone è il tempo della fioritura dei ciliegi, che ci frega dello spread. Dice, ma che fai, parli del tempo come gli inglesi, tanto per allungare il brodo quando non si sa che cosa dire? Anche, ma il fatto è che mi è venuto in mette che quando cominciava questa stagione e si cominciava a sentire il calore della primavera inoltrata, mio papà si levava le mutante lunghe di lana. Ma sì, io appartengo ad una generazione che, anche se si è sempre rifiutata di usarle, per lo meno lo ha visto, questo fantomatico indumento del passato. 

Facente coppia con l'altra famigerata compagna, la maglia di lana, quella che rappresentava un vero e proprio cilicio medioevale, ruvida ed insopportabile sulla mia pelle tenerella di bimbo, era un indumento dello stesso materiale, ruvido, grezzo e caldissimo che arrivava fino alle caviglie e le cui estremità inferiori venivano infilate direttamente nelle calze per evitare eventuali pericolosi spifferi. Ragazzi, allora faceva un freddo cane d'inverno, altro che questo fine gennaio, quando per pochi gradi sotto zero, la gente sembrava che morisse surgelata (io comunque ho pensato bene di starmene al calduccio in Laos, come ben sapete). Il mio papà le calzava con aria furba verso l'inizio di novembre e per la verità se le teneva anche fino alla fine di aprile, fedele al proverbio:"aprile non ti scoprire" e si faceva beffe di me che preferivo patire il freddo.  Per la verità lui giustificava questo stile di vita col fatto che facendo i turni di notte su una cabina della ferrovia, esposta al gelo notturno e riscaldata solo da una stufetta a carbone, arroventata, su cui mi scottai pure un dito quando fui portato a "vedere i treni", aveva necessità di essere ben coperto durante il gelido inverno che a quei tempi imperversava nella tundra alessandrina. 

Tuttavia mi sembra che quando arrivava la stagione buona, mia mamma continuasse a dirgli, ma quando è che ti togli le mutande di lana, e lui rimandava col fare di chi pensa, ma perché devo patire il freddo inutilmente. Questa abitudine però se la portò dietro anche fino alla tarda età, quando la cabina da deviatore di treni (anzi Capo-deviatore, lui ci teneva molto), l'aveva lasciata da un pezzo. Ma si sa gli anziani hanno sempre freddo. Questo un po' mi consola, perché io, ancora non lo patisco molto. Certo era una stile di vita che riguardava solo gli uomini, in quanto le donne, che evidentemente hanno una pellaccia assai più resistente (appartengono ad una specie diversa in effetti), non hanno mai usato questo indumento; anzi allora non portavano neppure i pantaloni e la mia mamma se ne andava per tutto l'inverno con le sue gonnelline svolazzanti  e le calze di naylon leggere con la riga dietro, grande conquista del dopoguerra da esibire con orgoglio. Com'era bella la mia mamma quando mi portava all'asilo tenendo me per una mano e il panierino di vimini della colazione su cui aveva ricamato due ciliegie nell'altra. Era davvero la più bella di tutte. Poi, saranno stati gli inverni più miti, ma le mutande lunghe di lana se ne sono andate nel dimenticatoio assieme a tante altre cose. 

Non me le ricordavo quasi più quando d'improvviso le ho ritrovate nei miei primi anni di lavoro a Pechino. Inverni gelidi e riscaldamenti approssimativi laggiù, come sulla cabina dei deviatori. Così ecco il mio amico Ping che, nelle camerucce di alberghi di provincia, togliendosi i pantaloni, esibiva magnifiche mutande di lana, fino alle caviglie. Quando venivamo ricevuti in qualche fabbrichetta di paese poi, ecco il direttore della brigata che arrivava trafelato, attraverso il cortile pieno di neve, si sedeva, nel salone gelido e non riscaldato, sulle poltrone sbocconcellate, con la plastica sdrucita sugli spigoli, stringendo tra le mani coperte dai mezzi guanti, una tazza di thé bollente per scaldarsi almeno un po'. Buttavo l'occhio smaliziato e da sotto i pantalonacci pesanti, sporchi di fango o di letame, spuntavano sempre, civettuoli i bordi di lana spessa, a volte a coste larghe, delle mutandone lunghe fatte a mano da mogli amorevoli o forse dalle addette della comune. Mi sa che i tempi cono cambiati anche da quelle parti adesso che il tizio che ti veniva a prendere alla stazione in bicicletta adesso viaggia in Audi 6. Però devo chiedere a Ping che fine avranno fatto tutte quelle mutande di lana. Forse adesso comincia a far caldo anche là.


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5 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Che faccia caldo per il cuore degli uomini, anzitutto! Epperò, con il ricordo di quelle mutande di lana nasce questa tua bella rievocazione di storia, che mi porta con il pensiero a tante cose...

Enrico Bo ha detto...

@Adri - Cosa vuoi, le storie di mutande son sempre interessanti.

laura ha detto...

Beh, le mutande di lana non ci saranno più (ricordo che le portava mio nonno, mio padre già le trovava ridicole), però mio figlio Lorenzo ha "scoperto" la calzamaglia e d'inverno la mette sotto i pantaloni; e così pare facciano anche i suoi compagni di scuola.

Sandra M. ha detto...

Mutande lunghe di lana...anche mio babbo! Ma noi bimbi no...io avevo le ginocchia di fuori anche in pieno inverno e i calzettoni che pizzicavano....

Enrico Bo ha detto...

@Laura - In USA ormai trionfa il conservatorismo. Anche Santorum le porta.

@Sandra - Un prurito insopportabile!!

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!