Monviso |
La montagna è immutabile, ogni volta che ci arrivi, la ritrovi uguale, antica e arcigna come una vecchia tignosa che i nipoti non vanno mai a trovare al ricovero. Il mare si sa, è un'altra cosa; brezze pruriginose che stimolano gli ormoni, schizzi di onda che sferzano il viso come a sfidarti, sfacciati, in un senso di ribellione, di pelle scoperta, di carezza suadente di sole, coi profumi di mirto e di rosmarino. La montagna aspetta. La roccia cruda raccoglie i secoli e guarda il passaggio con sguardo di sufficienza. Accetta di malagrazia chi sale sui sentieri pietrosi tra le macchie di rovo. Come tutti gli anziani detesta la gioventù, pronta a divorare i padri ed a prenderne il posto. I boschi di pini scuri e impenetrabili, di lontano paiono isole segrete ed irraggiungibili, pronti a celar segreti, cerchi di streghe, gemiti di masche di tempi passati, di storie mai chiuse da raccontare d'inverno nelle stalle, con l'aria di chi non la vuole dir tutta per non spaventare troppo e ancor di più, quindi paurose e piene di mistero. Il montanaro poi, che ti guarda sempre in tralice, dubbioso del tuo essere straniero, comunque estraneo, venuto chissà a razziare o peggio a portare la peste che arriva appunto d'oltremare, pericolo sconosciuto e minaccioso al solo nominarla e che socchiude gli occhi mantenendo una piega amara sulla bocca. Parla poco perché poco vuol dire, geloso del suo mondo di aria sottile, abituato al silenzio. Davvero sempre uguale questo mondo di creste scoscese, di valli ricurve e corrotte dai rii che brontolano nelle forre tra gli alberi.
Erba rada che fatica a divenir foraggio per i sempre più rari animali
d'alpeggio. Anche i fiori che
punteggiano il pascolo spuntano con fatica, timidi e ritrosi. Nessuno che li
colga. Il vento quando tira, è sempre teso e gelato, come a voler spazzare via
l'intruso e se ne va con sibili cupi sollevando sterpi; resiste solo il pastore
fuori della malga a rimestare latte e a compattar formaggio, solo, senza una
donna al fianco a dar serenità e calore. Voci e grida, anche se lontane nella
valle danno sempre un senso di fastidio, manca allegria nell'aria. Il vecchio
vede sempre nero, al massimo grigio, seduto su una vecchia panca a lasciar
passare il tempo, barbottando lamenti. Sotto il balcone sbrecciato è rimasto
solo il segno di un vecchio nido di rondinotti che non vengono più, anche per
loro quel tempo è passato e incombe la crisi. Larici ed abeti stanno immobili
al vento, come se non soffiasse, rigidi e privi di sentimento o di quel senso
di tremore e paura che han le acacie o i salici giù nella piana, che fremono al
minimo refolo; ma quelle son piante femmine, troppo istintive, troppo uterine.
La montagna è severa, non ti aspetta e neanche ti accoglie, al massimo ti
sopporta come un ospite di passaggio, non desiderato, che tanto tra un po' se
ne andrà.
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2 commenti:
azz.... umor nero....non hai digerito la peperonata....?
@Diego - è la vita un po' up , un po' down...
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