lunedì 1 luglio 2013

Cittadella e Tai Ji.



Bisogna dire che la Cittadella è ridiventata davvero una realtà fruibile per i cittadini. E' davvero una delizia, spazi sconfinati, vibrazioni di calma ed allo stesso tempo carica di energia. Luogo ideale ad esempio per praticare Tai ji nel grande prato centrale. Sta finendo il profumo dei tigli, l'estate reclama la sua parte imponendoti l'afa della piana, ma sotto l'ombra densa delle piante che circondano la piazza respiri profondamente ed i piedi si muovono nell'erba spessa come mai potrebbero in nessuna palestra, radicandosi alla terra. Certo il luogo è ormai pieno di gente e di manifestazioni, ma in realtà, vuoi per gli spazi, vuoi per la maestosità del luogo non si danno fastidio le une con le altre. Ieri c'era un raduno di macchine da amatori, credo con scambio di parti e gadget vari. Su di una era stato installato un impianto stereo, che di certo per propagandarne la potenza, veniva dispiegando a pieno volume musica house et similia. Certamente qualcuno era in ascolto sulle alture di Pietramarazzi per valutare se il suolo arrivava bene fino là. Pur stando dall'altro lato del piazzale i timpani fungevano da membrane percosse violentemente dalle percussioni e il tumpf tumpf dei bassi martellavano impietosi, eppure anche questo è servito al perfezionamento della pratica. 

Il Tai Ji ti spinge a svuotare il te stesso, a porti fuori dalla corporeità, a lasciar scorrere sul corpo e nel corpo lo stimolo esterno. La violenza aggressiva dei watt sparati al massimo entra dentro di te come in un tubo vuoto e scorre giù fino a terra disperdendosi come una scarica di un fulmine la cui potenza devastante viene assorbita e annichilita, come l'olio scorre sul corpo di un lottatore mongolo per vanificare le prese, come le proteste dei condomini nell'orecchio dell'amministratore durante le prime ore della riunione stessa. La violenza e l'aggressività, assecondata e lasciata scivolar via lungo le tangenti  senza ostacolarne il flusso, anche questo è Tai Ji. Così non nutri neppure più pensieri aggressivi verso chi ha, inopinatamente e con motivazioni arzigogolate, abbattuto il ponte che permetterebbe di accedere a questo straordinario spazio pubblico con comodità, così non hai pensieri di odio verso chi ti ha obbligato a lunghi giri per arrivare, ma ti abbandoni al fluire lento della tecnica ed ai suoi ritmi respiratori. Inutile schiumare rabbia, Alessandria è sempre la stessa, non negli anni, ma nei secoli. Sentite un po' cosa è successo nel 1848 e proprio in questo stesso luogo, dove allora c'era l'antico ponte coperto. Ecco la puntuale relazione nei Cartolari del Conte Civalieri, testimone dell'epoca: 

...ordinò che si discoprisse il nostro caro antico e maestoso ponte sul Tanaro, ch'era una maraviglia per la sua costruzione, per la sua antichità; ciò che si eseguì in fretta, in pochi dì, fino gittandone le tegole ed i materiali nel Tanaro piuttosto che donar il brevissimo tempo necessario per condurli altrove, siccome tanti se n'erano offerti. Tutti gli alessandrini ne furono afflitti e tutta l'Armata rientrando in patria biasimò quell'atto vandalico ed inutile...

Niente di nuovo sotto il sole, tutto si è svolto con la stessa indegna modalità prevaricatrice, quasi due secoli fa lo stesso atto distruttivo compiuto sullo stesso ponte che sarà sostituito da uno nuovo e dallo stesso triste destino. Una nemesi storica che si è abbattuta sul manufatto, forse punizione divina proprio per i cittadini, primi colpevoli di non sapere mai scegliere i propri amministratori, salvo lamentarsi dopo sui successivi. La sindrome mandrogna dell'Avucat Truncòn, cul c'là sfac' la cà per vendi i mòn, si ripete anche a distanza di secoli.


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