venerdì 8 aprile 2016

Balsamo di tigre



Ho male il collo. Forse ho dormito male oppure è uno di quei dolori psicosodomici (come diceva un amico) nel senso che lo senti lì lì che dilata e temi che non sarà un piacere. Certo sentire che ogni presa di posizione, su qualsiasi argomento, dalle trapanature, ai conti e marchesi caraibici o alla troppa o troppo poca pioggia, sia esasperato con l'unico scopo di dare addosso al governo, per poter finire di distruggere il paese (specialmente da parte di chi ha già tanto contribuito in questo senso quando toccava a lui o da parte di quelli che, dall'altra parte, che poi alla fine è la stessa, non aspettano altro), me lo sento proprio sul collo come una cappa pesantissima e anche un po' più in giù a dire il vero. Sapete cosa faccio, quasi quasi vado a darmi una spalmata di Balsamo di Tigre, famosa pomata orientale, panacea di tutti i mali dal raffreddore, ai dolori muscolari dappertutto inclusi i guai appunto psicosodomici. Ne ho sempre una certa scorta che accumulo o durante i vari viaggi orientali oppure direttamente anche qui, ormai la globalizzazione te lo fa trovare anche ai banchetti della parrocchia. Però il mio rapporto con l'unguento miracoloso è davvero di lunga data, probabilmente una premonizione. 

Certo lo avevo trovato ad Hong Kong nel '75. Lì ero stato nel famoso Tiger Balm Garden, il parco tematico (erano già avanti gli orientali, eh!) creato appunto dal Dottor Haw Par, tra l'altro di origine birmana, che dopo aver fatto una fortuna sconfinata appunto con quel prodotto, costruì questi giardini di svago (uno anche a Singapore) a scopo più che altro pubblicitario. Sono il trionfo del kitch, con statue multicolori di draghi e figure mitologiche, tuttavia anche luoghi dove potevi rilassarti un poco uscendo dalla congestione ossessiva della città e poi te ne tornavi in albergo col tuo vasetto di pomata in mano. Proprio in quel parco ebbi anche il mio primo incontro ravvicinato con il latte di soya, che vendevano già in piccoli cartoni con cannuccia per il consumo da passeggio. Mi fece talmente schifo allora che probabilmente l'imprinting negativo mi ha accompagnato per il resto della vita, per estensione anche su tutta fuffa alternativa veganbiologica, dal tofu al seitan, succedanei anch'essi indecenti dei tanto amati latticini. Chi andava a pensare più di 40 anni fa, che al mondo che sembrava avviato a diventare sempre più razionale e scientifico, sarebbe poi esplosa una religione proposta alle menti semplici e facilmente manipolabili da furbacchioni di quattro cotte che sbarcano il lunario imbonendo la folla con teorie new age. 

Eppure dovevo capirlo, se uno ha fatto i miliardi con una pomata canforata, nel mondo si può fare di tutto. Ogni momento è buono per i dottori Dulcamara. Anzi a dir la verità, al riguardo ho un ricordo ancora più lontano nel tempo. Avrò avuto meno di dieci anni e andavo in giro col mio papà tenendomi ben stretto alla sua manona sicura. Mi facevo portare ai baracconi che ad Alessandria arrivano in aprile ed allora occupavano tutta la piazza Garibaldi, il nostro salotto più bello. Facevamo un lungo giro e io non ero mai sazio di guardare tutte quelle attrazioni, da fuori però, perché poi alla fine mi accontentavo, prima di tornarcene a casa, di un krapfen bollente da 30 lire, fatto a losanga. Quello rotondo da 50 ben più gonfio e dorato, l'ho sempre bramato pur non avendo mai osato chiederlo. Adesso che ci penso, sembravano esattamente uguali, sia nello stile che nella sostanza, con quel gran pentolone nero dove la pasta veniva buttata nell'olio di chissà cosa, che bolliva sfrigolando (altro che olio di palma!), al cibo di strada indiano che ora mi fa orrore. Bene, una di quelle volte ci fermammo a lungo attorno ad un piccolo banchetto dove un tizio dalla parlantina scorrevole magnificava un prodotto che guariva ogni male. 

Guarda caso era proprio il nostro Balsamo, nello stesso barattolino ottagonale con coperchietto avvitato di latta gialla e tanto di etichetta cinese con la tigre che salta. Poi la storia si sfuma un po', chissà quanto costava la meravigliosa pozione, non ricordo, anche perché ero piuttosto concentrato a masticare la mia delizia croccante, che aveva un profumo che certo adesso non si sente più. Una cosa però che ricordo con sicurezza, è che quando il mio papà la raccontava alla mia mamma attonita attorno al tavolo della cucina, mentre sulla stufa bruciavano le bucce di mandarino, lui parlava specificamente di Grasso di tigre, come se il contenuto del barattolo, fosse proprio tratto dalla sugna dell'animale, in linea con quanto si è soliti etichettare la farmacopea cinese. Fatto sta che alla sera la mia mamma me lo spalmò sul petto, sfregando a lungo con mani morbide ed amorose e, potenza dell'effetto placebo, la costipazione che mi beccavo ogni volta che mi portavano ai baracconi, il giorno dopo miracolosamente passò. O forse era il Vic's Vaporub.


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