sabato 12 ottobre 2019

Una sera lontana in Kurdistan

Il lago Van (1981)


Un caldo agosto di tanti anni fa. Era il 1981 e le strade dell'Anatolia sudorientale erano secche e malandate. La mia 127 con sulle spalle 100.000 km le percorreva con una certa lentezza, sollevando nuvole di polvere. Un paesaggio arido ed aspro, solitario e spesso privo di punti di riferimento. Avevamo lasciato da un centinaio di chilometri le mura nere di Diyarbakir e le case bianche della rocca di Mardin ad un passo dal confine siriano, dopo aver visto le abitazioni termitaio del villaggio di Harran e stavamo arrivando alla sponda meridionale del lago Van, la perla blu di questo angolo estremo della Turchia. Questo grande specchio d'acqua, che i raggi violenti del sole dipingono di un colore acceso ed aggressivo, incongruo nella scala di ocre e di verdi pallidi che lo circonda, si staglia immobile in un paesaggio quasi innaturale di rive deserte dalla presenza dell'uomo, tali da farti sentire in un pianeta sconosciuto se pur con sembianza terrestre, ma prepotentemente diverso, forse senza vita. Ci fermavamo di tanto in tanto ad ammirarne gli scorci formati dalle quinte di piccole penisole che ne scandivano la riva contorta e totalmente priva di villaggi o anche di case isolate. 

Le case termitaio di Harran (1981)
C'era come un silenzio innaturale in questo deserto non deserto, nel quale non vedevi neppure animali, neppure semplici capre selvatiche, per non parlare delle greggi che spesso si incontrano in questi territori asiatici dai confini teorici. Ci fermammo in un punto particolarmente piacevole con una sorta di spiaggetta a mezzaluna che bordava l'acqua, mossa soltanto dal fremito di un'onda, così piccola da essere impercettibile all'occhio. Si respirava un senso di solitudine e di pace infinita, quello di una terra dove la mancata presenza dell'uomo era di per se stessa ragione di una assenza di contrasto, della turpe condizione di perenne contrapporsi di gruppi, di religioni, di posizioni prevaricatorie, di bramosia di poteri. Tuttavia ascoltando il silenzio, divenne subito avvertibile un qualche movimento, uno sciabordare d'acqua che avveniva dalla parte estrema della spiaggia. Tra le frasche che ne nascondevano l'angolo più a destra dove si allargava una sorta di piscina naturale in cui l'acqua si faceva più verde e trasparente, qualcuno stava nuotando vicino alla riva e notata la nostra presenza, si avvicinò verso di noi che lo stavamo osservando uscendo dall'acqua come una sorta di deità lacustre disturbata dalla nostra innaturale presenza che aveva invaso quell'Eden solitario. 

L'uomo, che poi era un giovane sulla trentina con una gran barba nera ed un bel fisico scolpito venne per un po' verso di noi, le brache sdrucite grondanti acqua, poi si fermò ad una cinquantina di metri su una specie di monticello sopraelevato che ne metteva ancor più in evidenza lo sguardo fiero e la statuaria presenza. Ci osservò per un attimo, certamente identificandoci come estranei al suo mondo, poi rivolse verso di noi un grido forte e probabilmente liberatorio, che ci arrivò chiaro e netto: - Here is Kurdistan, not Turkey! - rimarcando con forza l'ultima parola che scivolò via, rotolando decisa sulla superficie del lago. Poi alzò un braccio, forse un ribadire il concetto, forse in un estremo segno di saluto, si voltò e tornò nell'acqua scomparendo subito tra i cespugli della riva. Non lo vedemmo più. Su un isolotto al largo, le mura giallastre delle rovine di un antico monastero cominciavano a colorarsi di rosso. La cittadina di Van all'estremità orientale del lago era ancora lontana e la sera stava per calare sull'orizzonte cupo e sempre più scuro.

Il posto di frontiera a sud di Mardin (1981)


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