venerdì 17 aprile 2020

Da Sana'a a Taiz


Taizz - agosto 1977

Il famoso Hotel Alexander nella città nuova
Finiti di esplorare i dintorni della città bisognava decidersi a lanciarsi nel resto del territorio. Nei giorni trascorsi a conoscere meglio Sana'a, d'altra parte non finisci mai di apprezzare questa città e le passeggiate per le tante vie secondarie che presentano scenari di palazzi sempre diversi, avevamo continuato a raccogliere informazioni da tutti quelli che incontravamo e che gravitavano attorno all'albergo Alexander, per capire come muoverci nella settimana successiva. Intanto la prima delusione arrivò quando andammo all'ufficio della compagnia aerea per confermare il volo per Aden. Allora bisognava farlo nelle 48 ore precedenti la partenza. Da un paio di mesi, lo Yemen del sud non accettava più i cittadini italiani senza visto, che prima invece era concesso senza problemi all'arrivo in aeroporto. Niente da fare, nessuna eccezione, né recriminazioni in quanto l'unica ambasciata dove poteva essere rilasciato prima della partenza, era a Parigi, uno dei pochi stati che lo riconosceva. Andammo a fare un tentativo all'ambasciata italiana, dove un funzionario annoiatissimo, probabilmente incattivito dall'essere stato inviato in quella sede disagiata, certo in punizione, ci trattò come pezze da piedi, dicendo chiaramente che a lui non fregava niente che noi non potessimo avere la possibilità di "visitare" lo Yemen del sud, e pronunciò queste parole con irridente e soddisfatta supponenza. 

Mercato di strada
Piuttosto incavolati per questa perdita che ci avrebbe impedito (e per tutta la vita, come si dimostrò in seguito) di vedere la valle dell'Hadramaut e Shibam, la New York delle sabbie, di cui solo l'anno prima i nostri amici ci avevano detto meraviglie, ci disponemmo a studiare le alternative. Un altro itinerario vietato era allora quello del nord che, attraverso un percorso accidentato portava fino a Sadah nel nord del paese, roccaforte dei ribelli che in quel momento stavano dando vita ad una specie di rivolta contro il governo centrale, quindi anche la possibilità di arrivare alla leggendaria Shaharah, la cosiddetta capitale segreta dell'Imam, col suo famoso ponte in pietra sull'abisso, tra le montagne ad una quarantina di km da Huth, per una difficile pista tra le montagne, ci era interdetta definitivamente. Libertà assoluta invece per il triangolo centrale Sana'a - Taiz - Hodeida, percorso tra l'altro dalle tre uniche strade completamente asfaltate del paese. Così con l'aiuto del tipo dell'hotel trovammo una macchina per arrivare fino a Taiz. Mohammed aveva un macchinone nero, residuato di qualche maggiorente che l'aveva dismesso di certo da anni. 

Pastore tra i monti
Occupava comunque, a causa della sua stazza abbondante, una larga parte del pur vasto sedile anteriore, ma, con soli due passeggeri al seguito, al confronto del taxi collettivo sembrava di stare in una limousine di lusso, con un solo difetto: costava un botto, ma dopo giorni di intruppamento all'interno di abitacoli ridotti gli uni tra le braccia dell'altro, ci permettemmo questa botta di vita, cosa tra l'altro utile, in quanto Mohammed, per tutta la giornata necessaria a percorrere i trecento chilometri che ci separavano da Taiz, non cessò un attimo di parlare, raccontandoci vita, morte e miracoli della situazione politica del paese e delle rogne che stava attraversando, con una guerra civile, mai sopita, i ribelli del nord in perenne sollevazione, il sud in mano alla Russia che pareva un nemico sempre in attesa di scatenare scaramucce alla frontiera, l'ingombrante vicino, l'Arabia Saudita con il quale la vecchia guerra non poteva dirsi completamente conclusa ed il presidente sempre in posizione di pericolo, infatti venne ucciso da un attentato l'anno successivo. Il paesaggio attorno intanto era assolutamente straordinario, fin dal primo passo di Yslah a 2650 metri dove la strada saliva su per le balze di un monte aspro e spigoloso e poi dopo Yarim fino agli oltre 2700 metri del passo di Sumara. 

La moschea di Taiz
Un viaggio bellissimo tra panorami strabilianti. Demmo un'occhiata solo da lontano alla cittadina di Ibb, costruita su due rocce opposte che conservava ancora l'architettura tipica dei palazzi a torre non toccata da contaminazioni moderne mentre facemmo la deviazione per Jiblah, un'altra magnifica città addossata al monte a cui si accede attraverso un ponte e proseguendo a piedi su strette stradine a scalini. Arrivammo invece a Taiz che era quasi sera, in tempo però per camminare un poco per le strade contorte fino alle pendici del Jebel Sabir, la montagna della pazienza, fino al suk popolatissimo, tenuto conto che si trattava sempre di una città di quasi centomila abitanti. Non ricordo neppure dove trovammo da dormire, ma intanto ci sedemmo poi nella piazzetta antistante la moschea di Sharifiah che coi due minareti bianchi dominava il quartiere ad osservare la gente che camminava frettolosa. Qui si respirava un aria diversa da quella montanara e chiusa di Sana'a e dei suoi dintorni. Qui si sentiva già decisa, anche se in fondo eravamo ancora attorno ai 1500 metri, l'aria della costa, la torrida Tihama, con il carattere più aperto ai commerci ed ai movimenti insiti nel DNA dei popoli del mare, là dove le comunità si aprono al mondo esterno e allo scambio che arricchisce le tasche ma soprattutto le menti.



Pastori al passo di Sumara




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