Visualizzazione post con etichetta canzone italiana. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta canzone italiana. Mostra tutti i post

giovedì 17 marzo 2011

Buon Compleanno.

Che cosa brutta, quando festeggi il tuo compleanno e qualcuno, chiuso nella suo accidioso egoismo, non solo non festeggia con te, ma ti detesta chiaramente e anche se non te lo dice ti augura ogni male, spera insomma, che ogni boccone di quella torta ti vada in veleno, come pensa che in fondo ti meriti. Pazienza, vorrei lasciarlo solo nella sua tristezza, anche se lo invito volentieri alla mia festa.

A me invece l'appartenenza fa gioia e non esclusione. Anche perchè ogni "far parte di" mi dà un orgoglio ed una particolare ragione di essere felice. L'essere Alessandrino mi dà una dolce malia, forse provocata dalla nebbia bagnata che sopisce le asperità e lascia il tempo di riflettere; l'essere Piemontese mi mi aiuta a mantenere un ragionamento pacato, a non esagerare al di là del reale sentimento, cercando più di celarlo che di esternarlo esageratamente; l'essere Europeo mi fa considerare la fortuna di possedere, ormai innato geneticamente, il germe del dubbio, la disponibilità ad esaminare anche le ragioni degli altri, a dare per scontata una socialità mutua e imprescindibile alle società civili; l'essere uomo e dunque cittadino del mondo, mi dà la gioia di appartenere ad una tribù globale che trae vantaggio solo se tutti hanno la possibilità di migliorare le loro condizioni.

Infine essere Italiano è insieme orgoglio e consapevolezza di un evento fortunato, per quello che sta alle mie spalle. Mi fa certo di avere con me tutta la cultura mediterranea, mediata dalla forza di un impero che ha dettato i pilastri del diritto e che ha gettato le basi del sapere e delle arti che ne sono oggi il maggior concentrato al mondo e a cui tutti fanno riferimento quando si parla di bellezza, di stile e di piacevolezza di vita. Che piacere essere Italiano. Davvero non credevo che nella mia vita sarei rimasto preda di sentimenti che ho sempre considerato un po' vuota retorica. Non pensavo che un giorno avrei appeso sul mio balcone una bandiera che non ho mai avuto voglia di esporre durante i campionati del mondo, quando avrebbe avuto molta compagnia, certamente molta di più di oggi, quando si guarda attorno un po' spaesata a cercare qualche sorella, ma poche ne vede e un pochino forse si intristisce. E pensare che proprio da qui, ad Alessandria a poche centinaia di metri da me, nella Cittadella nel 1821, fu esposta per la prima volta in questa forma da ragazzi di venti anni che ci credevano e, davvero sembra incredibile dirlo oggi, erano disposti a dare la vita per questa idea, e molti lo fecero davvero. Chissà come la prenderebbero al vedere il paese di oggi.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
diceva l'uomo che forse più ci rappresenta in tutti i chiaroscuri. Ma bisogna mettere da parte questi sentimenti negativi, oggi vuole essere un giorno sereno e non voglio intristirmi guardando la parte mezza vuota. Per questo motivo voglio farti tanti auguri, Italia, vedrai che in qualche modo ce la faremo e mi piacerebbe che tutti voi che mi leggete vi uniste a me in un brindisi ideale, per chi vuole litigare ci sarà tempo domani oppure, se crede, vada pure al bar, che il caffè glielo offriamo lo stesso. Buon Compleanno Italia.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

La mandibola.
Italia povera o povera Italia.
La vergogna.
Pudore.


sabato 19 febbraio 2011

La mandibola di Andrea Vochieri.


Siete abituati a sentirmi borbottare mugugnado sulla mia città e sugli alessandrini in generale, abitudine peraltro molto comune agli Italiani. Ma badate che il passato recente di Alessandria non è mica stato cosa da poco. Dopo bella la performance di Benigni (che tristezza che i comici debbano fare quello che toccherebbe ai politici!) mi corre l'obbligo segnalare che è proprio nella mia città che il tricolore (benchè inventato a Reggio Emilia nel 1797 come bandiera della Repubblica Cispadana) sventolò per la prima volta a rappresentare l'idea dell'Italia, sugli spalti della Cittadella (attualmente la più bella e ben conservata d'Europa, non per dire) durante il tentativo di rivoluzione di Santorre di Santarosa che si indica come data d'inizio del Risorgimento. Tutti ragazzi di vent'anni, teste calde diremmo oggi, pronti alla morte davvero, come dice il nostro inno e che in molti casi morti lo sono davvero, per quell'idea pazza che faceva fremere di ardore le contessine del tempo.


Quanti ideali, quante vite perdute per quel sogno e per quella bandiera con la quale qualcuno oggi si vorrebbe pulire sapete cosa. Proprio da qui partì la scintilla, subito soffocata, ma che rimase a covare sotto le braci per poco più di un decennio. Questa mattina nell'aula magna della nostra Università (in corso di soppressione, sapete com'è i costi, e poi con la cultura non si mangia), l'Istituto Nervi ha organizzato una interessante riedizione del processo ad Andrea Vochieri, il martire alessandrino del Risorgimento, di cui rimane un monumentino nei giardini della stazione, mentre dimenticato, offre il petto al plotone. Certo dopo che gli insorti del '21, erano scappati all'estero, in città erano rimaste le idee di cui, forse, si parlottava segretamente nei caffé. Beh allora non era come adesso che aprivi un blog e dicevi quello che pensavi del governo, se ti sentivano dire repubblica al bar o al ridotto del teatro, il giorno dopo ti trovavi in casa la polizia segreta. Questo capita appunto nel 1833 al nostro Andrea Vochieri. Come ben illustrato nella rievocazione, con gli atti originali del processo, i servizi, che probabilmente avevano buone orecchie intercettanti in ogni locale pubblico, conoscevano già molto bene i nomi dei vari ufficiali implicati, affascinati dall'idea della Giovane Italia mazziniana ed avendone catturato qualcuno, venne fuori anche il nome del nostro Vochieri.

Nella perquisizione si trovò ben poco, un quaderno su cui aveva ricopiato qualche articolo della gazzetta della Giovane Italia, un frammento di pagina della stessa, che lui goffamente giustificò come usata per avvolgere tabacco di contrabbando ricevuto dalla Svizzera, e una lettera di raccomandazione, vergata però da un avvocato sospettato di essere il capo dei mazziniani alessandrini per un altro avvocato torinese anch'egli carbonaro. Ai ceppi nella Cittadella di cui vi ho detto, non parlò, anche se si contraddisse nell'interrogatorio, al contrario di alcuni "pentiti", ma, con candore ingenuo, lasciò una struggente lettera alla moglie che svelavano i suoi ideali e che fu subito messa agli atti come prova di colpevolezza. Il processo doveva essere esemplare per bloccare i venti di rivolta che spiravano ogni giorno più violenti, così una decina di implicati furono fucilati "con disonore" alle spalle. Il suo difensore tentò l'unica strada possibile, dipingendo la cosa come una congiura costituita da chiacchiere da bar, fatta da sognatori anche un po' a corto di senso pratico, privi di armi e completamente isolati dal contesto reale, in pratica si sottomise alla clemenza della corte, che invece fu assolutamente spietata, anche nell'intento di far fare altri nomi al condannato. Così alle 7 della mattina di sabato (non si fucilava di venerdì) 22 giugno 1833, il Vochieri attraversò a piedi in catene tutta la città, passando sotto la finestra della sua casa dove moglie e figlie stavano in lacrime, nell'estremo tentativo di farlo parlare, per essere condotto nella piazza d'Armi. Qui pretese di essere fucilato al petto, ma per due volte il plotone, poco pratico, sbagliò la mira ferendolo soltanto, fino a ché intervennero con un colpo di grazia alla tempia.

Pare che nessun alessandrino sia voluto scendere in strada per assistere a questo passaggio, ma il giorno dopo, tutto il percorso fu trovato ricoperto di fiori. Naturalmente i pentiti se la cavarono tutti, e il presunto capo dei mazziniani alessandrini (il famoso avvocato che aveva scritto la lettera) denunciò tutti i compagni si fece un po' di fortezza, come racconta il Civalieri, blogger dell'epoca, nei suoi Cartolari, ingrassando grazie ai pasti che gli venivano portati dalla vicina taverna e dopo qualche tempo, con 1500 lire di premio se ne andò col vapore a cercar fortuna nelle Americhe. Poi tutto passò nel dimenticatoio, mentre il ricordo a poco a poco si seppellisce nella nebbia alessandrina. Oltre al monumentino nei giardini (che vedete nella foto dell'amico Tony Frisina) è rimasta solo la via dove era la sua casa. Pare che qualche tempo fa sia saltata fuori la mandibola del martire, conservata chissà perchè, ma sembra che non si trovi neanche un posto idoneo dove metterla. Gli Alessandrini, a volte sono strani.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:


mercoledì 24 febbraio 2010

Prìncipi o princìpi.

Senza parole (da un suggerimento di Fabristol).





E con questo direi che se ne è già parlato troppo.

lunedì 18 gennaio 2010

L'importanza della musica.

E' inutile, volevo tenermi lontano dalla Russia per un po', ma è una calamita, ne vengo morbosamente attirato. E poi ero proprio un bel bambino, nel mio abitino grigio da prima comunione. Che c'entra con la Russia? C'entra, c'entra. Il collegamento mi è nato spontaneo dopo aver guardato il bel video che ha postato Annarita a proposito di bambini che cantano. Ora, quelli che mi conoscono sanno che ho una voce particolarmente poco adatta ad esibizioni che la mettano in gioco, eppure quando andavo alle elementari, il maestro di canto (c'era questa figura allora, incredibile) mi portava ad esempio come intonazione. Suonava in un fischiettino e io facevo "Laaaa..." e lui tutto tronfio "Ecco, sentite come si deve fare", mi portava in giro per le altre classi e io ero tutto contento. Poi credo che non si fece neanche il coro natalizio e lì finì la mia carriera di cantante, ma chi poteva dire se questa attitudine mi sarebbe mai servita nel corso dell' esistenza? Ed eccoci a Celijabinsk, una delle città siberiane più anonime e prive di interessi, appena la di là degli Urali. In un ennesimo gelido febbraio, io e Ferox eravamo alle prese con un difficile problema. In quel periodo, la Russia, essendo stata cattiva pagatrice aveva perso ogni credibilità commerciale internazionale (meditate, meditate) e ogni acquisto veniva fatto Stoprozientov predoplata (cento per cento pagamento anticipato). Ma anche quando il contratto era firmato era sempre molto difficoltoso ricevere i soldi; le carte si fermavano più volte in un meccanismo vischioso, transitando da un ufficio all'altro, mentre il cliente aspettava la merce e in Italia non si cominciava neanche il progetto se prima non era arrivata la grana. Avevamo firmato un contrattone storico, ma le settimane passavano e dei soldi neanche l'ombra, sempre in giro, rimandati da ufficio in ufficio, incastrati nella burokratija sovietica, quando arrivammo al famoso ufficio amministrativo che doveva firmare e soprattutto apporre i timbri rossi e rotondi sull'autorizzazione di pagamento. Entrammo con baldanza in un ambiente spazioso dove la capa responsabile, circondata da due indaffaratissime addette, non ci prese molto in considerazione. Ferox, dotato di un russo mirabile cominciò la sua opera affabulatoria, che fece subito breccia nella glaucopide biondona. Essere italiani è comunque un buon passepartout da quelle parti, anche se in un angolo la prima attendente non staccò minimamente la mano dal mouse e la seconda, dai lunghi capelli, continuò infervorata la sua attività. Ferox spiegò a Tanija (bisogna sempre entrare un po' nell'intimo con i Russi) la nostra impellente necessità di avere i soldi e chiarì le procedure da eseguire sulle nostre carte, ma anche se ascoltato, si avvertiva una certa sufficienza dalla controparte. Ci volevano giorni, controlli e comunque avremmo dovuto tornare tra una settimana. Chiedere era semplice ma fare tutta la procedura, non era facile come cantare una canzone. Ferox appoggiò i gomiti sul bancone e guardò fissa negli occhi colei che aveva nelle mani il nostro destino e propose: "E se ve la cantassimo una bella canzone italiana?". Istantaneamente anche Irina smise di fissare il solitario che aveva sul monitor e si girò verso di noi, mentre Natasha, le cui forma procaci erano avvolte in un morbido e pelosissimo golf cinese, cessò di limarsi le unghie, lavoro in cui era completamente assorta, ci guardò con occhi diversi e inclinò dolcemente la testa appoggiandola alla mano. Conoscendo l'affetto delle russe per Celentano, partimmo subito con Azzurro e mentre le tre grazie avevano gli occhi perduti nell'oceano della melodia, passammo ad 'O sole mio. Ferox, mentre mi faceva il controcanto, aveva estratto come per non parere i documenti dalla cartellina e li aveva disposti in bella mostra davanti a Tanija. Avevo appena attaccato Fenesta ca luciva e'mmo non luce, che già il famoso timbro tondo era comparso come per magia e calava implacabile sui fogli lasciando l'indispensabile marchio rosso del nulla osta. Le ultime note della canzone si fusero con il ticchettio del fax che trasmetteva alla banca il mandato di pagamento. Uscimmo nella neve che risplendeva in delicati cristalli al pallido sole alto nel cielo sereno invernale. Non sentivamo il freddo intenso. Due giorni dopo i quattro milioni di dollari erano nella banca italiana e i nostri progettisti cominciarono a tracciare le prime righe, l'uffico a ordinare i materiali, i ragazzi dell'officina a fare lo spazio dove sarebbe sorta la nuova linea.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!