venerdì 11 novembre 2011

Il parco di Djudj.

Il delta del fiume Senegal è immenso. Ad ogni braccio che scavalchi, è palude e poi ancora fiume, di cui non vedi l’altra sponda, che scorre lento  e maestoso tra le dune lontane, massa d’acqua incongrua in questa terra assetata. La pista si inoltra su un terrapieno rosso fuoco e il mezzo procede a fatica sulla tole ondulée che fa tremare le lamiere e la plastica come se l’auto si dovesse sfasciare da un momento all’altro. Tutto intorno stagni, pozze d’acqua, canneti. Il parco di Djudj è una immensa area umida al confine con la Mauritania. A novembre, milioni di uccelli che nel nord Europa cominciano ad avere freddo, se ne vengono a sud e questo luogo fatato è uno dei primi che incontrano sulla lunga via del sud, migratori al contrario lungo le rotte millenarie del cielo che non ha barriere, che non sente confini o divieti per questi eterni clandestini padroni del mondo. Quanta vita attorno ai sottili strati di acqua fangosa attorno ai quali sguazzano grufolosi, piccoli gruppi di facoceri neri, enormi e tranquilli, non tesi ed attenti al pericolo come tanti loro colleghi di altre parti di Africa, là sempre vigili nel terrore dell'agguato dei grandi felini e forse per questo più piccoli e magri. La grande piroga ti porta lungo un braccia secondario del delta, facendosi largo nelle vie d'acqua laterali prima di lanciarsi nel grande fiume tra assembramenti di uccelli che appena sembrano disturbati da questo passaggio.


Sulle rive, occhieggiando tra l'erba, grandi aironi cinerini, contendono i pesciolini alle egrette, ai più piccoli aironi bianchi, alle diverse anatre. Le spatole erano rimaste nelle distese paludose poco lontane assieme ai cavalieri d'Italia a zampettare sulle lunghe aste rosse, mentre col becco curioso scavano nella fanghiglia del fondo. I cormorani che pescano, invece sono uno spettacolo da gustare in silenzio, godendo del volteggiare nell'aria, quasi inquieto, seguito dall'affusolamento di tutto il corpo in un attimo di immobilità, prima di lasciarsi cadere in verticale come una lancia acuta che saetta la superficie scura e poi riemergere quasi con lentezza, con il grosso groppo che scende a tratti nella gola sottile, così orribilmente gonfia da sembrar di scoppiare per l'ingordigia. Ma lo spettacolo più incredibile arriva quando, dietro le erbe alte compare d'improvviso un piccolo rilievo nascosto dall'ansa del fiume. Sopra, ammassati come se una condanna li avesse costretti a rimanerne prigionieri, centinaia di migliaia di pellicani  hanno fissato il loro luogo di riproduzione. Il loro roco gugolio, forma un rumore di fondo gracchiante che riempie l'aria. I becchi gialli si agitano e sbattono con un rumore secco. La piroga si infratta nell'erba e tu rimani a guardare, incredulo quello che la natura ti ha preparato.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Questi racconti sono uno più bello dell'altro. Enrico, sei un artista, ma lo sapevo già.
Cristiana

Enrico Bo ha detto...

@Cri - Grazie, continua così che sono sensibile.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!