mercoledì 15 ottobre 2014

Mozambico 16: Considerazioni finali

Mecati




Negozio di scarpe
Direi che qui il viaggio si ferma e (per ora) lo possiamo considerare concluso. Quello per cui eravamo andati è stato fatto secondo previsioni e sono stati impostati contatti interessanti per il futuro con nuove possibilità di fare cose. Le carte necessarie sono state firmate, le difficoltà aggirate e tutto sembra procedere per il meglio, in ogni caso vi terrò informati di come stanno procedendo i lavori. Per me è rimasta a coté, l'opportunità che ho avuto di conoscere questo paese in molti dei suoi aspetti più interessanti e che vanno al di là di un semplice approccio turistico. E' un paese diverso da tutti gli altri africani in cui sono stato; quello che predomina e lo differenzia nettamente dagli è la povertà (172° nel mondo, uno degli ultimi), la mancanza di strade e di comunicazioni (pare al terzultimo posto) e la quasi totale assenza di turismo. Nonostante la speranza di vita sia pessima, attorno ai 40 anni e curiosamente uno dei paesi in cui è inferiore nelle donne, è uno dei più fecondi, tanto che in quaranta anni, dopo la fine della guerra di liberazione, la popolazione è passata da 6/7 milioni a oltre 25, alla faccia delle malattie, delle carestie, della guerriglia che ha insanguinato il paese per decenni. Un altro segno della vitalità incredibile dei popoli africani. Tuttavia anche loro cominciano a capire che troppi figli significano miseria, impossibilità di istruzione, degrado. Quelli più attenti e all'apparenza più responsabili, te lo dicono chiaramente, non si può più fare come una volta, io non avrò di certo più di cinque o sei figli. 

Un villaggio
Grande tre volte l'Italia e con un terzo di popolazione si può definire un paese quasi spopolato, considerando che quasi la metà dei suoi abitanti vive negli agglomerati urbani più importanti; a Maputo si contano infatti ormai 2 milioni di persone. Difficilmente ci verrete per ragioni turistiche come ho già detto, anche se pare che alcune zone sul mare, nell'area di Pemba al nord e nell'arcipelago di Bazaruto al centro, siano molto belle. C'è poi il lago Niassa con il suo fascino misterioso di terra incognita e spopolata ed infine alcune riserve assolutamente poco frequentate in cui si dovrebbe trovare una wilderness davvero rara. Il fatto è che tutte queste aree sono scomodissime ed estremamente costose da raggiungere in aereo o con trasferimenti in macchina di giorni su strade dissestate. Dunque tutto rimane lì, a livello potenziale, diamanti nascosti in attesa che cambino le condizioni di accessibilità e che qualcuno si decida a scoprirli. Il paese vive di una agricoltura di sussistenza, spesso del tipo taglia e brucia, pratica primitiva che devasta i terreni più di ogni altra, che consente alla gente dei villaggi di sopravvivere discretamente se la stagione delle piogge è in regola in quantità e distribuzione. Diversamente è la fame. La situazione sanitaria è pessima con forte presenza delle parassitosi classiche africane, dalla bilharziosi alla malaria; non per nulla, proprio a causa di questa insalubrità, tutta l'area e le coste in particolare, vennero popolate molto in ritardo rispetto al resto del continente. 

Gente del Niassa
L'industria manifatturiera, anche di piccole dimensioni è quasi completamente assente. Quasi tutti i prodotti sono importati o dal vicino Sudafrica o dalla Cina, la fabbrica del mondo. Nel primo impatto che avrete, Maputo non vi parrà molto dissimile dalle altre capitali africane, la frenesia di costruzioni di cattiva qualità, accanto a quelle del passato recente che si stanno sbriciolando al sole del tropico e a quelle del passato coloniale, paradossalmente le meglio in salute, mescolate disordinatamente tra lucidi centri commerciali, palazzi di vetro delle telecomunicazioni e hotel di lusso, dove camminano veloci neri giganteschi soffocati da cravatte lucenti, dentro vestiti scuri e camicie bianchissime e incongrue all'ambiente circostante. Appena più in là, la distesa delle baracche della periferia che si allarga ogni giorno come una piovra malefica. Nei grandi viali già comincia ad esserci molto traffico di SUV neri e pick up giganteschi che sollevano la polvere rossa che si accumula ai lati, in nuvole spesse che si depositano poi con calma su tutto, insultando il color lavanda delle jacarande fiorite. La città è viva, negozi, commerci e poi tutto l'apparato amministrativo e di governo con gli addentellati della politica e dei suoi affari in chiaroscuro. Su molti angoli, poliziotti appostati a fermare gli automobilisti per estorcere loro qualche mancia. Intanto crescono torri di cristallo, banche, supermercati, destino comune agli altri vicini già ricchi o in attesa di diventarlo. 

Ragazza bantù
Poi, al di là di spazi infiniti, di distese di bosco e di colline coperte di cespugli,  c'è il paese rurale, con i suoi villaggi ai bordi della strada, nella maggior parte dei casi non asfaltata, polverosa nei mesi secchi, letto di fango in cui impantanarsi, nella stagione delle piogge. Capanne di mattoni crudi coperte di paglia, le palhotas, un'unica stanza con un unico arredo il palo interno di sostegno, che serve anche per appoggiare abiti o recipienti. Ognuna è circondata da un recinto di frasche secche tenute insieme da canne che racchiudono un cortile in un angolo del quale, vicino alla casa, c'è lo spazio per il fuoco della cucina e nell'angolo opposto, più lontano, il gabinetto. Fuori del villaggio, anche molto lontane, le machambas, i campicelli dove ogni mattina si va a lavorare sperando in una stagione buona, che consenta di riempire il magazzino rotondo sollevato da terra per evitare topi e altri animali, di pannocchie di mais bianco per fare la xima, una polentina da arricchire con le proteine dei fagioli, in pratica il pasto tipo giornalierodi tutti i contadini. Su tutto aleggia come un incubo il problema dell'acqua, sempre lontana, insicura, fangosa che costringe donne e bambine ad ore di cammino con 30 chili sulla testa, ogni giorno della loro vita. Questo deve essere un incubo continuo, procurare l'acqua per la giornata e non ammalarsi di dissenteria o peggio. I bambini non li contano nel numero degli abitanti, non si sa in quanti arrivano all'età adulta, l'ho già detto mi sembra, ma è sempre opportuno ricordarlo. 

Una festa di villaggio
Per questo i pochi villaggi dove c'è un pozzo, si possono dire fortunati, rappresenta davvero un salto di qualità di vita, ore in più da dedicare al lavoro o alle relazioni e magari, se c'è, per andare a scuola. Una vita dura insomma, condita delle grandi feste delle occasioni sociali, matrimoni, circoncisioni. Un'Africa antica, vecchia di millenni in cui la sola novità sono i telefonini, oggetti alieni catapultati qui dal cielo ad opera di qualche stregone maligno che opera di certo in stretto contatto con il demonio. Un paese difficile insomma, popolato anche da avventurieri da romanzo, da cercatori di opportunità e dagli ultimi lampi di una lotta tra fazioni che ha contribuito molto a far rimanere questa nazione indietro nella corsa della storia. Guerre, morti, sangue, il kalashnikov nella bandiera qualche cosa vorrà pur dire. In città tra politici occhiuti, una classe media che comincia a cresce bramosa di beni di consumo, impiegati con gli occhiali e borse dei documenti, donne in abiti eleganti o in capulane multicolori e fazzoletti in tinta, ma con acconciature accurate e tacchi altissimi, gente che rovista nell'immondizia prima di tornare ai bairros di periferia, è cominciata una corsa all'avere. Nei campi, tra gli stocchi stentati e secchi del granoturco, i contadini stanno seduti a terra e ti guardano con occhio stanco, senza capire ancora dove e perché devi continuare a correre. 

Al pozzo

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