venerdì 12 giugno 2020

Luoghi del cuore 13: In camper alle Lofoten


Lo skyline delle Lofoten - Norvegia - agosto 1983



Il topone grigio
Avere un camper dà una sensazione di grande libertà. In effetti mi manca un po’ quella possibilità di decidere sul momento dove andare, cambiare destinazione o luogo dove fermarsi a seconda dell’umore del momento o della piacevolezza del luogo. Certo in una mia vita precedente ero nomade ed il gusto mi è rimasto. Il primo camper che ho avuto, acquistato dopo lunga trattativa nella primavera dell'83, era un Fiat 238 attrezzato Camo, come dire Anonimous, un usato di vent’anni piuttosto spartano, diciamo un mezzo primordiale fatto da un guscio di roulotte messo su uno chassis di un furgone. Poco pratico del mezzo e della tecnica del camperista, volendo sperimentarlo, andando come prima uscita a capo Nord, una meta classica, lo portai vicino a casa, da un cosiddetto mago dei camper di cui per amor di patria non faccio il nome. Volevo che gli desse una guardata, magari mettendo a posto le eventuali magagne che il mio occhio inesperto non avevano saputo valutare al momento dell’acquisto e che mi mettessero in grado di partire tranquillo per il grande Nord. Seduto su una seggiola da campeggio sbrindellata, circondato da una fila di camper nuovi di zecca in vendita ed in affitto, da far sognare un emiro in vacanza con le 18 mogli, alzò gli occhiali da sole sulla testa, si alzò lentamente, dette un’occhiata di traverso al mio gioiello, si aggiustò il pacco e pronunciò una frase che rimase celebre nella mia memoria negli anni futuri. “Mé, anc’on s’afari lé, a vag nonca fin al Mandrogn” (per chi deve preparasi ai futuri esami necessari per avere la residenza da noi potrà servire come esercizio quindi traduco: - Io, con quell’affare lì, non vado neanche fino a Mandrogne -, noto paese della provincia di Alessandria, distante 3 km dal luogo del consulto). 

Le isole
E se ne andò nell’ufficio vicino, senza aggiungere altro. Scornato, ma non domo, me ne tornai a casa; il giorno dopo caricammo il mezzo di tutto punto, pieno di gas e benzina, acqua e cambusa e partimmo all’indomani verso le 6 di mattina. La prima tappa fu la costa svedese 36 ore e 1800 km dopo, in un bel campeggio nel bosco. Devo dire che alla prima prova, il misconosciuto e zingaresco mezzo non aveva battuto ciglio. Proseguimmo per la costa norvegese, divertendoci come non mai. Incontrammo altri camperisti, come capita lungo la strada. Si dorme vicini, si fa comunella, ci si scambiano esperienze. Certo tutti guardavano con sufficienza il mio topolone grigio, ma tra camperisti c’è più complicità e nessuno ci derise; piuttosto erano tutti prodighi di consigli nel caso avessimo incontrato difficoltà tecniche o meccaniche prima di raggiungere la meta. In particolare una coppia di fiorentini di lunga esperienza, alla guida di un imperiale Hymermobil Mercedes, di sette metri, con ogni comodità che potessi immaginare nella mia mente di neofita, ci fu molto vicina e facemmo un bel tratto di strada insieme. Li lasciammo andare avanti perché volevano arrivare velocemente a capo Nord, ma attrezzatissimi com’erano ci lasciarono un dettagliato elenco di posti a cui rivolgerci in caso di rotture, default meccanici, insomma necessità varie. 

Nomen Omen
Noi ce la prendemmo con calma, procedendo prima alle isole Lofoten, una vera meraviglia naturalistica, che rimasero comunque la parte più indimenticabile del viaggio. Montagne nude in mezzo al mare ricoperte da una sottile patina di verde, muschi, licheni, magri pascoli per pecore risparmiose. Pareti di roccia e scogliere a strapiombo ed alla base minuscoli paesi, poche case colorate come (espressione abusatissima), mattoncini di Lego. Ci rimanemmo tre giorni gustando quei paesaggi estremi ed indimenticabili; nelle orecchie un suono continuo, il tintinnio degli stoccafissi stesi a seccare su grandi grate in riva al mare, un rumore secco ed argentino che in un primo momento avevo confuso con le campanelle degli ovini che giravano loro intorno. Uomini pochi, pescatori infagottati nelle cerate o nei maglioni spessi,che rassettavano le attrezzature sulle barche da pesca, ultimi epigoni di vichinghi orgogliosi che avevano un tempo sfidato mari perigliosi, ora rassegnati ad essiccar merluzzi. Il luogo era talmente bello, c'era anche un piccolo paesino che si chiamava irresistibilmente Bo, che avrebbe meritato una sosta maggiore con una esplorazione più meticolosa delle varie isole, anche se arrivammo fino all'ultima della collana, protesa come la prora di una nave in un mare grigio e pauroso alla vista, anche se innaturalmente calmo come l'olio. 


Paese delle Lofoten


Un'esperienza in camper alle Lofoten, dormendo in riva al mare, sognando saghe nordiche di troll e folletti, con le nubi grige che oscurano almeno un poco la luminosità innaturale della notte è davvero consigliatissima, non oso immaginare d'inverno, con le aurore boreali che illuminano il cielo. Ma la strada da percorrere era ancora lunghissima e procedemmo quindi ancora verso nord per gustarci il sole di mezzanotte negli ultimi giorni utili. Invece inopinatamente, ritrovammo i nostri amici ad un migliaio di kilometri dal capo. Avevano rotto irrimediabilmente la frizione; mezzo bloccato fino all’arrivo del pezzo da Oslo. Erano molto nervosi e sapemmo poi al rientro in Italia che non erano riusciti a raggiungere la meta, ma se ne erano tornati lemme lemme a Firenze. Noi procedemmo di conserva, gustandoci l’estrema appendice dell’Europa, anche se con un cielo un po’ rannuvolato, poi scendemmo tutta la Finlandia con uno slalom tra i laghi, la Russia allora misteriosa, l’Estonia, prima di tornarcene a casa sani e salvi dopo 11.000 km in un mesetto. Lo tenemmo per cinque anni il topone grigio e ci portò in ventidue paesi, fino in fondo al Marocco, dove una sbarra dice che più a sud non ti lasciano andare e non si bucò mai nemmeno una gomma, mai un problema, mai una lira spesa da un meccanico. Anni dopo, mi comprai anch’io un Hymermobil, non era spaziale come quello dei fiorentini, ma era sempre l’università dei camper. Ad ogni viaggio ebbi un problema meccanico grave, pompa dell’acqua, cardano dell’albero motore, coppa dell’olio e così via cantando. Per fortuna se lo portò via l’alluvione del ’94 se no non avrei proprio saputo come liberarmene.


Case sparse




Pescatori
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4 commenti:

Pierangelo Martinengo ha detto...

Certamente per chi non si fidava del tuo topolone grigio deve essere stato uno smacco incredibile. Ciao a tutti.

Anonimo ha detto...

...erano tutti invidiosi del topolone

Enrico Bo ha detto...

@Pier - In effetti ne sono andato orgoglioso, anche se visivamente lasciava a desiderare

@An - tu dici?

am ha detto...

@An - tu dici?

forse no , ma io -e soprattutto ora che sto invecchiando- ho sempre invidiato quello spirito di partire un po' all'avventura .

Mi ricordo l'anno scorso , quando abitavo in trentino, che andavo a fare i sentieri di montagna col le scarpe da ginnastica mezze rotte e che pena l'incrociare degli sguardi dei super professionisti con abiti tecnici : la loro pena, io ero più che contento.

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