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domenica 14 giugno 2020

Luoghi del cuore 14: Mezzanotte a Capo nord


Tra stoccafissi e fiordi - Norvegia - agosto 1983

Porcini morvegesi
La strada per Nordcap è lunga ma piacevolissima, un seguito di boschi, di strade che corrono lungo il mare, di paesini e piccole città molto distanti tra di loro. Ma i boschi non sono scure distese di alberi nelle quali perdersi irrimediabilmente, anzi, piacevoli luoghi dove sostare a dormire di notte di fronte al mare, ripararsi per mangiare qualcosa o camminare in cerca di funghi e mirtilli. Già, la raccolta dei mirtilli, che puoi fare anche in maniera industriale se disponi dell'apposita paletta oppure i porcini spettacolari che qui, a quanto pare, non raccolgono, forse perché considerati cibo improprio o velenoso e che in questo modo riempiono il sottobosco in quantità esagerata. Ne trovammo un paio belli grossi, addirittura in mezzo al sentiero di un museo all'aperto, ignorati da tutti. Incontrammo lungo la via una macchina di due bergamaschi che venivano qui ogni ogni anno a raccoglierli in quantità; mentre procedevano verso nord, dopo la raccolta giornaliera, li pulivano e li stendevano a seccare. Sembra che se ne portassero a casa quasi trecento chili ogni anno. Le strade che corrono lungo il mare invece regalano paesaggi sconfinati, certo non manca lo spazio e corrono rettilinee spesso arrivando al bordo di un fiordo, dove un piccolo traghetto attende per evitarti un lungo giro tra le montagne. Le percorri fino a tarda sera, tanto è sempre chiaro e la luce è strana, anomala, per noi assolutamente innaturale. 

Hammerfest
I paesino sono per lo più di pescatori, poche case attorno ad una rada naturale dove stanno ormeggiate barche colorate e tutt'attorno il terreno risale leggermente, coperto di prati rasati e tralicci per l'essiccazione digli stoccafissi. Le città, le pochissime che incontri, Tromso, Trondheim, Hammerfest, sono piacevolissimi agglomerati apparentemente tranquilli e puliti. Insomma un viaggiare piacevolissimo che regala scenari maestosi. La temperatura è ovviamente moderata, considerata la latitudine che fa sempre più estrema, ma grazie al fatto che tutta la costa, fino al suo punto più estremo, è lambita dalla corrente tiepida del golfo, mancano i rigori estremi, i ghiacci e il gelo propri di tante altre terre così al nord del mondo. Tuttavia piove, piove spesso, è il drammatico contrappasso e le strade, allora per lo meno, spesso non asfaltate diventano un fangoso e sgradevole problema. Ricordo un campeggio-rifugio dove ci riparammo per la notte, dalle attrezzature molto spartane. Nel locale centrale fatto in tronchi di legno, dove mangiavamo qualcosa su grandi tavoli comuni, arrivò un gruppo di motociclisti ricoperti alla meglio di cerate e tute che li coprivano alla meno peggio (a quei tempi, la gente non era certo così ben attrezzata come adesso), completamente inzaccherati di schizzi di fango e bagnati come pulcini. Per attaccare bottone esordii con un: bella la strada eh? 

La predace Sami
Il tizio che sembrava il capo, scrollò un po' la testa, e sospirando confessò: sì, sì, er fatto è che c'avemo 'sta maledetta mania de la moto... e lasciò la frase in sospeso continuando a masticare un hamburger di renna che fornivano all'ingresso del campeggio. Poi uscirono a montare le tende della notte, maledicendo gli dei del profondo nord, mentre quella sera il cielo continuava a liberarsi dell'acqua in eccesso. Quasi al termine della strada ci fermammo ad un campo di Sami, allevatori di renne, che in estate si piazzavano lungo la strada in attesa di uccellare i turisti di passaggio. Comperai un palco di renne imponente, che volevo regalare ad un collega appassionato che me lo aveva commissionato espressamente, ma che non stava all'interno del camper, per cui lo legammo davanti alla cabina di guida, il ché dava al mezzo una magnifica aria cornuta che lo identificava da lontano e  insieme faceva simpatia e che ci fu utile in seguito. Comprai anche una spessa pelliccia di renna, sapientemente conciata da quel popolo che vive a stretto contatto con natura e conosce a fondo i suoi segreti, tanto che dopo un paio d'anni dovetti buttarla perché aveva sparso per la casa più della metà dei suoi peli e anche l'odore non era poi così gradevole, vista la perizia conciatoria di quei popoli che conoscono i segreti più profondi della loro vita naturale e biologica. Come sapete sono sempre piuttosto critico verso questi miti del buon selvaggio che sa rispettare il pianeta e i suoi ritmi naturali al contrario di noi uomini devastatori adoratori della kimica e della plastika, mali del mondo.

Il sole a mezzanotte
Nell'ultima parte, la strada diventava sempre più brulla e nuda; altipiani sassosi e pascoli deserti si succedevano sull'isola estrema, al termine della quale, la terra finisce e davanti ti rimane solamente, al di là del cippo commemorativo, la nuda distesa grigia dell'artico. Avevamo calcolato appositamente di arrivarci a tarda sera per poter avere l'esperienza di quel sole di mezzanotte, scopo ultimo ed esoterico del viaggio, che compiva il suo arco sfiorando la superficie lontana del mare per le ultime volte, visto che era ormai il 2 di agosto. Naturalmente il cielo era coperto di basse nuvole grige, così rimanemmo seduti davanti al cippo nell'attesa di un momento solamente teorico, nel desiderio di autoconvincerci che fosse la stessa cosa. Invece all'ultimo momento, proprio pochi minuti prima della mezzanotte, come in un puntuale appuntamento col destino, il cielo si squarciò per un piccolo tratto, tale da lasciare intravedere il momento topico nel qual il mare rimaneva illuminato, specchio dorato che rifletteva quell'attimo nel quale la rotta dell'astro sfiorava il suo punto più basso per poi a poco a poco risalire, mentre il sipario grigio inevitabilmente si richiudeva sull'attore principale della recita, che ricominciava la sua giornata di lavoro. Quasi commossi, rimanemmo ancora a lungo, senza parlare, prima che una ripresa della pioggia ci costringesse a riparare nel nostro mezzo. Dormimmo nell'ampio parcheggio alla base della collinetta del cippo, soli ospiti di quella notte magica, felici della missione compiuta, prima di riprendere, il mattino dopo, la strada. Questa volta, per la prima volta dopo molti giorni, verso sud.

Quasi arrivati



La via per Nordcap
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venerdì 12 giugno 2020

Luoghi del cuore 13: In camper alle Lofoten


Lo skyline delle Lofoten - Norvegia - agosto 1983



Il topone grigio
Avere un camper dà una sensazione di grande libertà. In effetti mi manca un po’ quella possibilità di decidere sul momento dove andare, cambiare destinazione o luogo dove fermarsi a seconda dell’umore del momento o della piacevolezza del luogo. Certo in una mia vita precedente ero nomade ed il gusto mi è rimasto. Il primo camper che ho avuto, acquistato dopo lunga trattativa nella primavera dell'83, era un Fiat 238 attrezzato Camo, come dire Anonimous, un usato di vent’anni piuttosto spartano, diciamo un mezzo primordiale fatto da un guscio di roulotte messo su uno chassis di un furgone. Poco pratico del mezzo e della tecnica del camperista, volendo sperimentarlo, andando come prima uscita a capo Nord, una meta classica, lo portai vicino a casa, da un cosiddetto mago dei camper di cui per amor di patria non faccio il nome. Volevo che gli desse una guardata, magari mettendo a posto le eventuali magagne che il mio occhio inesperto non avevano saputo valutare al momento dell’acquisto e che mi mettessero in grado di partire tranquillo per il grande Nord. Seduto su una seggiola da campeggio sbrindellata, circondato da una fila di camper nuovi di zecca in vendita ed in affitto, da far sognare un emiro in vacanza con le 18 mogli, alzò gli occhiali da sole sulla testa, si alzò lentamente, dette un’occhiata di traverso al mio gioiello, si aggiustò il pacco e pronunciò una frase che rimase celebre nella mia memoria negli anni futuri. “Mé, anc’on s’afari lé, a vag nonca fin al Mandrogn” (per chi deve preparasi ai futuri esami necessari per avere la residenza da noi potrà servire come esercizio quindi traduco: - Io, con quell’affare lì, non vado neanche fino a Mandrogne -, noto paese della provincia di Alessandria, distante 3 km dal luogo del consulto). 

Le isole
E se ne andò nell’ufficio vicino, senza aggiungere altro. Scornato, ma non domo, me ne tornai a casa; il giorno dopo caricammo il mezzo di tutto punto, pieno di gas e benzina, acqua e cambusa e partimmo all’indomani verso le 6 di mattina. La prima tappa fu la costa svedese 36 ore e 1800 km dopo, in un bel campeggio nel bosco. Devo dire che alla prima prova, il misconosciuto e zingaresco mezzo non aveva battuto ciglio. Proseguimmo per la costa norvegese, divertendoci come non mai. Incontrammo altri camperisti, come capita lungo la strada. Si dorme vicini, si fa comunella, ci si scambiano esperienze. Certo tutti guardavano con sufficienza il mio topolone grigio, ma tra camperisti c’è più complicità e nessuno ci derise; piuttosto erano tutti prodighi di consigli nel caso avessimo incontrato difficoltà tecniche o meccaniche prima di raggiungere la meta. In particolare una coppia di fiorentini di lunga esperienza, alla guida di un imperiale Hymermobil Mercedes, di sette metri, con ogni comodità che potessi immaginare nella mia mente di neofita, ci fu molto vicina e facemmo un bel tratto di strada insieme. Li lasciammo andare avanti perché volevano arrivare velocemente a capo Nord, ma attrezzatissimi com’erano ci lasciarono un dettagliato elenco di posti a cui rivolgerci in caso di rotture, default meccanici, insomma necessità varie. 

Nomen Omen
Noi ce la prendemmo con calma, procedendo prima alle isole Lofoten, una vera meraviglia naturalistica, che rimasero comunque la parte più indimenticabile del viaggio. Montagne nude in mezzo al mare ricoperte da una sottile patina di verde, muschi, licheni, magri pascoli per pecore risparmiose. Pareti di roccia e scogliere a strapiombo ed alla base minuscoli paesi, poche case colorate come (espressione abusatissima), mattoncini di Lego. Ci rimanemmo tre giorni gustando quei paesaggi estremi ed indimenticabili; nelle orecchie un suono continuo, il tintinnio degli stoccafissi stesi a seccare su grandi grate in riva al mare, un rumore secco ed argentino che in un primo momento avevo confuso con le campanelle degli ovini che giravano loro intorno. Uomini pochi, pescatori infagottati nelle cerate o nei maglioni spessi,che rassettavano le attrezzature sulle barche da pesca, ultimi epigoni di vichinghi orgogliosi che avevano un tempo sfidato mari perigliosi, ora rassegnati ad essiccar merluzzi. Il luogo era talmente bello, c'era anche un piccolo paesino che si chiamava irresistibilmente Bo, che avrebbe meritato una sosta maggiore con una esplorazione più meticolosa delle varie isole, anche se arrivammo fino all'ultima della collana, protesa come la prora di una nave in un mare grigio e pauroso alla vista, anche se innaturalmente calmo come l'olio. 


Paese delle Lofoten


Un'esperienza in camper alle Lofoten, dormendo in riva al mare, sognando saghe nordiche di troll e folletti, con le nubi grige che oscurano almeno un poco la luminosità innaturale della notte è davvero consigliatissima, non oso immaginare d'inverno, con le aurore boreali che illuminano il cielo. Ma la strada da percorrere era ancora lunghissima e procedemmo quindi ancora verso nord per gustarci il sole di mezzanotte negli ultimi giorni utili. Invece inopinatamente, ritrovammo i nostri amici ad un migliaio di kilometri dal capo. Avevano rotto irrimediabilmente la frizione; mezzo bloccato fino all’arrivo del pezzo da Oslo. Erano molto nervosi e sapemmo poi al rientro in Italia che non erano riusciti a raggiungere la meta, ma se ne erano tornati lemme lemme a Firenze. Noi procedemmo di conserva, gustandoci l’estrema appendice dell’Europa, anche se con un cielo un po’ rannuvolato, poi scendemmo tutta la Finlandia con uno slalom tra i laghi, la Russia allora misteriosa, l’Estonia, prima di tornarcene a casa sani e salvi dopo 11.000 km in un mesetto. Lo tenemmo per cinque anni il topone grigio e ci portò in ventidue paesi, fino in fondo al Marocco, dove una sbarra dice che più a sud non ti lasciano andare e non si bucò mai nemmeno una gomma, mai un problema, mai una lira spesa da un meccanico. Anni dopo, mi comprai anch’io un Hymermobil, non era spaziale come quello dei fiorentini, ma era sempre l’università dei camper. Ad ogni viaggio ebbi un problema meccanico grave, pompa dell’acqua, cardano dell’albero motore, coppa dell’olio e così via cantando. Per fortuna se lo portò via l’alluvione del ’94 se no non avrei proprio saputo come liberarmene.


Case sparse




Pescatori
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sabato 29 ottobre 2011

Il milione 57: Racconti attorno al fuoco.

Samara - Il Volga ghiacciato.



Siberia - Mercanti di pelli.
Marco Polo è ormai arrivato al Mediterraneo, ormai anziano, secondo i canoni dell'epoca e reso ricco dalle esperienze di una vita unica e straordinaria. Siamo nel 1295 e mentre il secolo sta finendo in una sorta di globalizzazione piena di navi che vanno e vengono per i mari, di carovane che trasportano beni preziosi, di mercanti che gioiscono per il periodo relativamente calmo che da libertà ai commerci, per l'assenza di frontiere che permettono gli scambi dalle terre più lontane, questo mare è ormai piccolo e da ogni parte si sente aria di casa. Rimane ancora un tratto di Turchia da traversare perché ormai le terre sono meno pericolose dei mari dove la natura può sempre giocare brutti scherzi. Una Turchia che nella parte orientale, quella devastata dal recente terremoto, era chiamata Grande Armenia, mentre la parte occidentale Grande Turchia, entrambe sotto il controllo del Gran Khan, terre quindi assolutamente sicure per chi come Marco viaggiava con i salvacondotti e e le lettere imperiali. Terra di contatto tra i due mondi un tempo esattamente come oggi, dove due modi di vivere, di pregare e di pensare, che già allora gli uomini di intelligenza capivano essere una grande opportunità di arricchimento scambievole. Io la percorsi in lungo ed in largo per più di due mesi negli anni 80 e vi trovai una accoglienza ed una disponibilità rara e spesso commovente. Proprio sulle rive del lago Van un ragazzo ci accolse nella sua tenda di pastore, ci offrì lo yogourth delle sue bestie e ci precisò con orgoglio che quella terra era Kurdistan, dicendoci di andare tranquilli che dovunque avremmo avuto ospitalità. Lì vicino mangiammo i pesci del lago, in piccole polpettine (vedi la ricetta da Acquaviva) , specchio azzurro con la gemma della piccola isola dova anche dalla riva vedevi il cono ottagonale della piccola chiesa armena che si alzava al centro. Un paese bellissimo i cui contrasti tra gli uomini sono sempre stati forti così come quelli contenuti nelle viscere della sua terra, pronti a scatenarsi all'improvviso, senza avvertire, con una violenza che lascia senza fiato. Anche Marco Polo la percorre tutta e mentre la carovana si muove raccoglie notizie di terre lontane, a nord, informazioni che si scambiano i mercanti nei caravanserragli come quello splendido ancora oggi di Sultanhani, dove mi fermai a dormire anch'io tra suggestioni antiche.
Mosca - San Basilio.

Cap. 204
Dalle parti di verso  tramontana della grande Turchia sì à un re chiamato Conci, della schiatta di Ginghis Kane. E sono Tartari e sono genti molto bestiali. Questa gente non à città ne castella ma sempre istanno in piani e in tende. Sono grande gente e vivono di latte di bestie e di carne, biade non ànno. Non fanno mai guerra altri e stanno in grande pace. Anno orsi che son tutti bianchi e lunghi 20 palmi e volpi e asini salvatichi assai. Ancora ànno giambelline (zibellini)  donde si fanno le care pelli che una per uomo vale ben mille bisanti; vài (rat musqué) ànno assai. In questa contrada i cavagli non possono andare, perciò che v'à grandi laghi e fontane e sonvi ghiacci sì grandi e fango la state che non si puote menare cavallo. E alle poste v'ànno cani per portare li messaggi da una posta a l'altra.Egli sì ànno ordinate tregge sanza ruote (slitte), perciò ch'elle si ficcarebbero nel fango e per lo ghiaccio scivolarebbero. Su questa treggia si pongono uno cuoio d'orsa e vannovi menati da 6 di questi cani che sanno bene la via infino all'altra posta. Li uomini sono cacciatori di molte buone bestiole e ne fanno molto guadagno sì come sono giambellini e vài e ermellini e coccolini (scoiattoli) e volpi e altre care pegli.

Chi può resistere all'offerta dei colbacchi caldi e gonfi dei mercati siberiani. Io a Ekaterinburg lasciai il cuore per un cappello di zibellino nero che faceva parere Putin nella sua dacia di campagna. Ma di questa terra selvaggia ed infinita sono pieni i racconti vicino al fuoco, tra i mercanti di lungo corso che hanno visto ghiacci gelati e deserti infuocati.

Cap. 205
L'antica cattedrale a Trabzon (Trebisonda)
Andando più innanzi a tramontana trovamo una contrada chiamata Iscurità (la Siberia)e certo sì à lo nome bene a ragione, ch'ella è sempre iscura e qui non v'apare mai il sole. La gente che v'è vi vive come bestie e sono gente pallida e di malo colore. Anno pelli molto care perché sono maravigliosi cacciatori. E Rossia è grandissima provincia verso tramontana e son cristiani a la manera dei Greci e rendono trebuto a' tartari. La gente è molto bella e le femmine alte e bionde. Quivi si à molte argentiere e confina a mezzodì con la provincia di Lacca (Daghestan) che son cristiani e saracini, mentre più a settentrione si à grandissimo freddo che a pena si puote campare  e dura insino al mare Ozeano e ad Orbeche  (Norvegia) e no v'à grande via che per lo grande freddo non si può bene andare.
Istambul - La cupola di santa Sofia.

Come si vede non solo le pelli colpivano Marco, ma la proverbiale bellezza delle donne russe, anche a quei tempi doveva essere registrata.  Ma la strada corre lungo la costa del Mar Nero allora ben tenuto dalle varie Repubbliche Marinare e il nostro si trova ormai in terra amica a due passi da casa. 

...e se ne vennero quindi a Trapisonda e poscia a Costantinopoli e poscia a Negroponte prima di arrivare a Vinegia.

Istambul - Il ponte di Galata 


Refoli spiranti da: Marco Polo - Milione - Ed.Garzanti S.p.A. 1982
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lunedì 25 luglio 2011

Il seme dell'odio.

Diceva un tizio che prima di aprire la bocca e dare fiato, bisogna aspettare un attimo, perlomeno attaccare la spina al cervello, cosa che richiede sempre un po' di tempo, quello necessario tanto per capire come stanno le cose e magari ragionare in maniera un po' più lucida e non stravolta dall'emozionalità dei fatti. Certo, chi può non essere colpito dalla vampata di violenza di Oslo, dalla furia cieca ed insensata, quella che solo l'odio puro sa generare fino alle sue estreme conseguenze? E' un difetto genetico incistato nella nostra specie, questo male oscuro che cova in tanti di noi, che sta lì acquattato e silente, pronto a ravvivarsi ed esplodere. Basta poco, è sufficiente rinfocolarlo man mano con parole suadenti, con teoremi basati su fatti concreti ma volti a dimostrare la correttezza e la necessità della volgarità e dell'egoismo insensato, naturalmente volto a difendere, a proteggere il nostro, il particulare. Disprezzare con scherno il vivere civile, etichettandolo con qualche neologismo d'accatto, ad esempio il buonismo, con cui ci si può gigioneggiando riempire la bocca, e tutto si giustifica, anzi si colora di necessario. E la cellula maligna dell'odio cresce, prende vigore e si fa mostro e, come una metastasi, infetta la società sana e si ramifica qua e là conducendo l'intero corpo verso la fine. 

Così anche lassù, l'estremo nord in cui tutto è sereno e tranquillo, ricco ed efficiente, scopriamo la presenza di nuclei malati e pericolosi, che naturalmente già si conoscevano, ma le grancasse di chi in fondo li sostiene e di coloro che si nutrono dell'odio come di una ambrosia, sottovalutano interessatamente, che ben altri sono i problemi, anzi in fondo questi sono dalla nostra parte. Ecco, come riporta La Stampa, l'intervista a botta calda del famoso politologo Stale Ulriksen. "Dopo gli attentati islamici a Stoccolma e a Copenhagen era naturale che sarebbero arrivati anche qui. Inoltre AlQaeda ha più volte indicato i nostri governi come una minaccia per il mondo islamico". E alla richiesta se potesse esserci una matrice politica interna : "Sarei molto sorpreso. Il binomio violenza-politica qui non si è mai affermato. Siamo un paese tranquillo". Certo un paese che conta circa 20.000 simpatizzanti per movimenti neo-nazi che in queste ore stanno scatenando sul web una furia di inneggiamenti all'attentatore, un paese con un fortissimo partito nazionalista, anche se non forte come quello della vicina Svezia o come la Finlandia di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi. Tutti sapevano già tutto. La famosa scrittrice Anne Holt sebbene dica che è bene aspettare che polizia faccia il proprio lavoro, poi sbotta:"Vuole che dica quello che penso? Tutto porta a concludere che sia un attacco islamista e ci sono molte buone ragioni intorno a cui riflettere". 

Riflettere, questo è il punto, questa è la difficoltà. Nessuno che vuol fermarsi un attimo a riflettere sul punto del seme di odio che viene seminato proprio dal pensiero religioso come categoria. Perché è proprio la fede, l'assenza del dubbio, difetto vituperato e non ammesso, la certezza di essere nel giusto che dipinge chi non la pensa come te come un nemico pericoloso da eliminare, quello che fa, nascere all'interno di ogni pensiero trascendente lo steccato fondamentalista che si deve preparare alla distruzione dell'altro. Anche in paesi apparentemente avanzati e sereni, dove la ragione sembrerebbe trionfare, anche qui la parte peggiore del clericalismo si muta in difesa della razza o dell'identità culturale o di qualunque altra forma che permetta la genesi di altro odio, in quelle persone , molte purtroppo che probabilmente per prima cosa odiano sé stesse. Così il fatto che in Giordania sia stata dedicata una moschea a Gesù, ha fatto subito storcere il naso a molti ambienti cattolici, perché qui se no si finisce con avallare il relativismo e poi dove andiamo a finire. Certo ci vuole anche chi ci soffia sopra al fuocherello, chi non aspetta altro per farlo diventare fuoco pieno e poi incendio devastante, sono sufficienti anche le copertine dei giornali , anche se poi magari basta aspettare di sentire i fatti e vieni obbligato a ritirarle precipitosamente e a rifare tutti gli articoli interni (anche se poi il giorno dopo ospiti un articolo di Magdi Allam, una vera perla da non perdere).



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Moralità assoluta.



mercoledì 19 agosto 2009

Affidabilità.

Avere un camper dà una sensazione di grande libertà. In effetti mi manca un po’ quella possibilità di decidere sul momento dove andare, cambiare destinazione o luogo dove fermarsi a seconda dell’umore del momento o della piacevolezza del luogo. Certo in una mia vita precedente ero nomade ed il gusto mi è rimasto. Il primo camper che ho avuto era un Fiat 238 attrezzato Camo, come dire Anonimous, un usato di vent’anni piuttosto spartano. Poco pratico del mezzo e della tecnica del camperista, volendo sperimentarlo, andando come prima uscita a capo Nord, una meta classica, lo portai vicino a casa, da un cosiddetto mago dei camper di cui per amor di patria non faccio il nome. Volevo che gli desse una guardata, magari mettendo a posto le eventuali magagne che il mio occhio inesperto non avevano saputo valutare al momento dell’acquisto e che mi mettessero in grado di partire tranquillo per il grande Nord. Seduto su una seggiola da campeggio sbrindellata, circondato da una fila di camper nuovi di zecca in vendita ed in affitto, da far sognare un emiro in vacanza con le 18 mogli, alzò gli occhiali da sole sulla testa, si alzò lentamente, dette un’occhiata di traverso al mio gioiello, si aggiustò il pacco e pronunciò una frase che rimase celebre nella mia memoria negli anni futuri. “Mé, anc’on s’afari lé, a vag nonca fin al Mandrogn” (per chi deve preparasi ai futuri esami necessari per avere la residenza da noi potrà servire come esercizio quindi traduco: -Io, con quell’affare lì, non vado neanche fino a Mandrogne-, noto paese della provincia di Alessandria, distante 3 km dal luogo del consulto). E se ne andò nell’ufficio vicino, senza aggiungere altro. Scornato, ma non domo, me ne tornai a casa; il giorno dopo caricammo il mezzo di tutto punto, pieno di gas e benzina, acqua e cambusa e partimmo all’indomani verso le 6 di mattina. La prima tappa fu la costa svedese 36 ore e 1800 km dopo, in un bel campeggio nel bosco. Devo dire che alla prima prova, il misconosciuto e zingaresco mezzo non aveva battuto ciglio. Proseguimmo per la costa norvegese, divertendoci come non mai. Incontrammo altri camperisti, come capita lungo la strada. Si dorme vicini, si fa comunella, ci si scambiano esperienze. Certo tutti guardavano con sufficienza il mio topolone grigio, ma tra camperisti c’è più complicità e nessuno ci derise; piuttosto erano tutti prodighi di consigli nel caso avessimo incontrato difficoltà tecniche o meccaniche prima di raggiungere la meta. In particolare una coppia di fiorentini di lunga esperienza, alla guida di un imperiale Hymermobil Mercedes, di sette metri, con ogni comodità che potessi immaginare nella mia mente di neofita, ci fu molto vicina e facemmo un bel tratto di strada insieme. Li lasciammo andare avanti perché volevano arrivare velocemente a capo Nord, ma attrezzatissimi com’erano ci lasciarono un dettagliato elenco di posti a cui rivolgerci in caso di rotture, default meccanici, insomma necessità varie. Noi ce la prendemmo con calma, procedendo prima alle isole Lofoten, una vera meraviglia naturalistica, prima di andare ancora verso nord per gustarci il sole di mezzanotte negli ultimi giorni utili. Invece inopinatamente, ritrovammo i nostri amici ad un migliaio di kilometri dal capo. Avevano rotto irrimediabilmente la frizione; mezzo bloccato fino all’arrivo del pezzo da Oslo. Erano molto nervosi e sapemmo poi al rientro in Italia che non erano riusciti a raggiungere la meta, ma se ne erano tornati lemme lemme a Firenze. Noi procedemmo di conserva, gustandoci l’estrema appendice dell’Europa, anche se con un cielo un po’ rannuvolato, poi scendemmo tutta la Finlandia con uno slalom tra i laghi, la Russia allora misteriosa, l’Estonia, prima di tornarcene a casa sani e salvi dopo 11.000 km in un mesetto. Lo tenemmo per cinque anni il topone grigio e ci portò in ventidue paesi, fino in fondo al Marocco, dove una sbarra dice che più a sud non ti lasciano andare e non si bucò mai nemmeno una gomma, mai un problema, mai una lira spesa da un meccanico. Anni dopo, mi comprai anch’io un Hymermobil, non era spaziale come quello dei fiorentini, ma era sempre l’università dei camper. Ad ogni viaggio ebbi un problema meccanico grave, pompa dell’acqua, cardano dell’albero motore, coppa dell’olio e così via cantando. Per fortuna se lo portò via l’alluvione del ’94 se no non avrei proprio saputo come liberarmene.

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