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mercoledì 2 febbraio 2022

Haiku gelido

Finland, - 35°C

corre nel bosco 

una muta di cani -

baffi gelati


venerdì 19 giugno 2020

Luoghi del cuore 18: La luce di Helsinki


Cattedrale - Helsinki - Finlandia - agosto 1983

 
Piazza del senato
Quel tratto di mare identificato come golfo di Finlandia è in realtà una specie di lago interno, non molto dissimile al Ladoga che ne è la sua naturale prosecuzione a est o il golfo di Botnia, l'omologo spazio che gira verso nord. In sostanza uno specchio d'acqua assolutamente tranquillo, costellato da una miriade di isolette lungo coste basse e verdeggianti, oltre che assai scarse di popolazione e solcate dall'andirivieni di grandi traghetti che ne collegano le opposte sponde appartenenti a stati che sono rimasti sempre politicamente piuttosto lontani tra di loro, come spesso accade quanto più i luoghi sono simili e apparentemente fratelli. Comunque la grande nave che ci portava verso la costa finlandese, lasciava una terra che se da un lato si definiva a quel tempo e con buona ragione come Oltre cortina, dall'altro pareva mettere in contatto due luoghi talmente omogenei da renderli quasi indistinguibili tra di loro, per storia ed aspetto fisico. Terre fredde insomma con stagionalità incongrue alle mentalità mediterranee, che sono da sempre scandite da un'alternanza di giorni e notti quasi uguali, nel clima e nei comportamenti. Qui invece è il regno delle notti infinite, che regalano pochissime ore di una luce crepuscolare che sa raccontare di saghe popolate di fate e folletti, di elfi buoni e troll ferocissimi  nascosti tra i tronchi bianchi delle betulle che corrono all'infinito su terre ondulate senza nome, ingioiellate da stagni e laghetti di mille forme e colori, mentre nel cielo compaiono fasci verdi di luci che si muovono come scenari di una fantascienza di anni '50, tra lande innevate ed ombre misteriose. 

Il salmone
E poi, quei giorni infiniti nei quali la luce non finisce mai, anche quando la stanchezza ottunde un po' i sensi e navighi in un chiarore altrettanto irreale quanto lo era quello del mezzodì invernale, con il desiderio di non dormire mai ed il corpo che invece cerca disperatamente di abituarsi a questi ritmi sempre più dilatati, quasi bramoso di ritrovare al più presto quella fase letargica perduta da mesi e nella quale finalmente abbandonarsi. Pure questa luce estiva è la sensazione topica che caratterizza questo grande nord e che ti porti a casa  sopra ogni altra cosa. A questo pensavo mentre il traghetto si avvicinava al grande porto di Helsinki dove arrivammo proprio verso mezzogiorno, con la città adagiata intorno in questa luce surreale e fortissima. E questo mi rimase principalmente di questa capitale, la luce che la avvolgeva per tante e tante ore, rendendone godibile aggirarsi per i suoi larghissimi spazi, dove mai hai la sensazione della folla.  Dove la gente ti è anche distante a causa di questa lingua impossibile, diciassette casi, declinazioni, radici incomprensibili, lontanissime dal tuo sound, dove telefono si dice Puhelin e centro, Keskusta, non so se mi spiego. Capisco bene come praticamente tutte le zone scandinave, in tempi di coronavirus, abbiano adottato misure paco restrittive in campo di distanziamenti sociali. Qui creare l'affollamento è di per se stesso un problema, tanto territorio c'è per tanta poca gente. Sei in centro nel grande spazio della piazza del senato, dominata da una scalinata grandissima che appare nella sua solitaria presenza, ancora più immensa. 

Pesce sotto sale
La risali lentamente in una sensazione di assoluta pace, come un'ascesa tra le nuvole che ti portino verso la cattedrale bianca, un tempio che chiama a sé con la forza di antichi Asi millenari che dominano leggende nordiche e che solo casualmente si sono adattati a nuovi nomi, a differenti etichette, a diversi riti, ma che conservano imperturbabilmente la loro potenza pagana. Anche il mercato lungo il porto, mi colpì particolarmente con i suoi banchi così distanziati e lindi; come è facile avere soluzioni dove l'ambiente da solo ti aiuta già per l'80%! Dietro ognuno di essi, donnine piccole e grassocce, quasi uguali tra di loro, una congregazione forse di sorelle o un popolo a sé di questa terra estrema, dalle gote rosse ed i cappellini di lana colorati di blu, calcati su binde capigliature. Banchi dove si agitavano ancora salmoni dalle dimensioni inquietanti, ancor vivi o già sfilettati che si adagiavano gli uni accanto agli altri, lingue rosa intenso dal profumo di mare. E poi i frutti del bosco, montagne di mirtilli neri, grossi e sugosi, di ribes rosso e blu a piccoli grappoli, di lamponi vermigli e morbidi da prendere con piccoli secchielli e fragole rosse e aglio e patate e poi fiori, tantissimi fiori di ogni colore, segnale di amore infinito per quello che nei luoghi del grande freddo, rimane una rara bellezza, da apprezzare e da avere il più possibile con sé, di fronte a sé, intorno a sé, per ricordare il piacere della vita colorata, quando sei circondato solamente da una continua, se pur bellissima, scala infinita di grigi. Una città dai ritmi lenti che ti dà grande pace e ti ottunde la furia ipercinetica. Una sensazione che ti segue a lungo sulla strada tra i boschi per Turku, verso un altro traghetto, un altro braccio di mare, un altro non luogo uguale seppure diverso. 


Savonlinnaa

Frutti del bosco
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Pelli di volpe







lunedì 15 giugno 2020

Luoghi del cuore 15: Tra i laghi finlandesi


La terra dei mille laghi


Mezzanotte a Rovaniemi
Dopo aver raggiunto la meta, l'estremo nord europeo, uno dei confini del nostro mondo, da tempo sognato, si trattava di procedere lungo la via del ritorno, che avevo progettato secondo una rotta circolare che tentava di ricongiungersi alla strada dell'andata attraverso un percorso più politicamente, almeno allora, complicato. Facemmo quindi rotta verso sud e qui scoprimmo di stare traversando un territorio di una bellezza inattesa e credo unica per la sua solitaria vastità. Lasciataci alle spalle Rovaniemi e la casa di Babbo Natale, si procedeva in una landa spettacolare che per centinaia di chilometri fino a Koupio ed oltre, fino all'estremo su del paese, alternava laghi e foreste, boschi e specchi d'acqua di ogni forma e dimensione. Le strade secondarie si perdevano su terrapieni tutte curve che si insinuavano tra pozze isolate da quinte di betulle o vasti laghetti bordeggiati da boschi di conifere. In ogni caso non riuscivi a non fermarti per godere dei punti di vista sempre differenti ed ogni punto successivo ti pareva più bello e scenografico del precedente. Ci fermammo molto sfruttando le varie piazzole per mangiare sulla riva e semplicemente guardare quello che ci circondava. A Kuopio poi, c'erano delle basse colline con punti di vista che consentivano di ammirare il panorama con un arco maggiorato. 

Il bosco
Finimmo in un locale a mangiare bistecche di renna e salsa di mirtilli. Al tavolo vicino c'era una famigliola di napoletani, lui e lei piccolini e rotondetti con ragazzino sovrappeso al seguito che sprizzavano felicità da tutti i pori (noi allora lo notavamo in negativo essendo magri come stecchi, bei tempi!). Quella vacanza se la stavano davvero godendo e ci manifestarono la loro meraviglia soprattutto per la pulizia e l'ordine che avevano riscontrato in tutta la Scandinavia, oltre naturalmente all'assenza di persone, cosa che mi sembra molto condizionante per queste situazioni. E' inutile calcare la mano, ma secondo me è la folla che crea il problema piuttosto che le abitudini di una popolazione, che in ogni caso vengono condizionate definitivamente proprio dalla densità abitativa. I nostri amici, tra l'altro avevano scoperto anche la catena dei McDonald, che evidentemente allora non era ancora arrivata in Italia e ne erano entusiasti assolutamente, cibo gustoso e prezzi assolutamente abbordabili, cosa rara da quelle parti. Ancora oggi penso a quello che avranno raccontato a casa al loro ritorno, di quel mondo fatato dove la vita è meravigliosa. Che poi sarà proprio vero? Certo un luogo dove puoi dormire tranquillo nei boschi, orsi a parte. Dall'esterno tutti sembrano sempre i paesi della felicità, poi scopri che la Scandinavia ha il più alto tasso di suicidi e ti consoli. Forse la lunga notte polare, forse la solitudine dei grandi spazi non rende poi così felici e l'alcool non aiuta più di tanto. 

Un bungalow nel bosco
Ricordo, un pomeriggio verso le cinque in una cittadina lungo la strada. Vedemmo una signora piuttosto anziana, almeno allora mi appariva tale, elegantissima, con cappello e veletta, uscire da un bar. Aveva un passo malfermo e barcollante e più volte si fermò lungo la strada appoggiandosi agli angoli per non cascare per terra. Credevo stesse male, ma vista da più vicino si capiva bene che era ubriaca fradicia. Faticò parecchio a raggiungere l'ultima casa della via, ma alla fine riuscì anche a infilare la chiave nella toppa ed a rifugiarsi nella sua villetta, linda, ordinata, solitaria, come forse la sua vita. Almeno questo è il film che mi ero fatto allora. Un breve tratto in battello su uno dei laghi più grandi ci regalò un altra giornata di intensi panorami, anche se una parte del pomeriggio lo passammo sbocconcellando l'infame kalakukko, servito sul traghetto, specialità tipica della terra dei laghi costituita da una specie di pasta sfoglia farcita di pesce, strutto e bacon, servito freddo, che terminammo di digerire verso la fine del viaggio. La sterminata distesa dei laghi tuttavia rimane una delle più belle cose che ho visto lassù, in particolare grazie anche al clima che divenne improvvisamente favorevole ed invece della pioggia continua dei giorni precedenti, ci accompagnò fino al confine russo con un bel sole piacevole che faceva risplendere la superficie dei laghi e le foreste, con colori intensi sempre in equilibrio tra le tonalità verdi e blu. 

I laghi di notte


renne selvatiche
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mercoledì 19 agosto 2009

Affidabilità.

Avere un camper dà una sensazione di grande libertà. In effetti mi manca un po’ quella possibilità di decidere sul momento dove andare, cambiare destinazione o luogo dove fermarsi a seconda dell’umore del momento o della piacevolezza del luogo. Certo in una mia vita precedente ero nomade ed il gusto mi è rimasto. Il primo camper che ho avuto era un Fiat 238 attrezzato Camo, come dire Anonimous, un usato di vent’anni piuttosto spartano. Poco pratico del mezzo e della tecnica del camperista, volendo sperimentarlo, andando come prima uscita a capo Nord, una meta classica, lo portai vicino a casa, da un cosiddetto mago dei camper di cui per amor di patria non faccio il nome. Volevo che gli desse una guardata, magari mettendo a posto le eventuali magagne che il mio occhio inesperto non avevano saputo valutare al momento dell’acquisto e che mi mettessero in grado di partire tranquillo per il grande Nord. Seduto su una seggiola da campeggio sbrindellata, circondato da una fila di camper nuovi di zecca in vendita ed in affitto, da far sognare un emiro in vacanza con le 18 mogli, alzò gli occhiali da sole sulla testa, si alzò lentamente, dette un’occhiata di traverso al mio gioiello, si aggiustò il pacco e pronunciò una frase che rimase celebre nella mia memoria negli anni futuri. “Mé, anc’on s’afari lé, a vag nonca fin al Mandrogn” (per chi deve preparasi ai futuri esami necessari per avere la residenza da noi potrà servire come esercizio quindi traduco: -Io, con quell’affare lì, non vado neanche fino a Mandrogne-, noto paese della provincia di Alessandria, distante 3 km dal luogo del consulto). E se ne andò nell’ufficio vicino, senza aggiungere altro. Scornato, ma non domo, me ne tornai a casa; il giorno dopo caricammo il mezzo di tutto punto, pieno di gas e benzina, acqua e cambusa e partimmo all’indomani verso le 6 di mattina. La prima tappa fu la costa svedese 36 ore e 1800 km dopo, in un bel campeggio nel bosco. Devo dire che alla prima prova, il misconosciuto e zingaresco mezzo non aveva battuto ciglio. Proseguimmo per la costa norvegese, divertendoci come non mai. Incontrammo altri camperisti, come capita lungo la strada. Si dorme vicini, si fa comunella, ci si scambiano esperienze. Certo tutti guardavano con sufficienza il mio topolone grigio, ma tra camperisti c’è più complicità e nessuno ci derise; piuttosto erano tutti prodighi di consigli nel caso avessimo incontrato difficoltà tecniche o meccaniche prima di raggiungere la meta. In particolare una coppia di fiorentini di lunga esperienza, alla guida di un imperiale Hymermobil Mercedes, di sette metri, con ogni comodità che potessi immaginare nella mia mente di neofita, ci fu molto vicina e facemmo un bel tratto di strada insieme. Li lasciammo andare avanti perché volevano arrivare velocemente a capo Nord, ma attrezzatissimi com’erano ci lasciarono un dettagliato elenco di posti a cui rivolgerci in caso di rotture, default meccanici, insomma necessità varie. Noi ce la prendemmo con calma, procedendo prima alle isole Lofoten, una vera meraviglia naturalistica, prima di andare ancora verso nord per gustarci il sole di mezzanotte negli ultimi giorni utili. Invece inopinatamente, ritrovammo i nostri amici ad un migliaio di kilometri dal capo. Avevano rotto irrimediabilmente la frizione; mezzo bloccato fino all’arrivo del pezzo da Oslo. Erano molto nervosi e sapemmo poi al rientro in Italia che non erano riusciti a raggiungere la meta, ma se ne erano tornati lemme lemme a Firenze. Noi procedemmo di conserva, gustandoci l’estrema appendice dell’Europa, anche se con un cielo un po’ rannuvolato, poi scendemmo tutta la Finlandia con uno slalom tra i laghi, la Russia allora misteriosa, l’Estonia, prima di tornarcene a casa sani e salvi dopo 11.000 km in un mesetto. Lo tenemmo per cinque anni il topone grigio e ci portò in ventidue paesi, fino in fondo al Marocco, dove una sbarra dice che più a sud non ti lasciano andare e non si bucò mai nemmeno una gomma, mai un problema, mai una lira spesa da un meccanico. Anni dopo, mi comprai anch’io un Hymermobil, non era spaziale come quello dei fiorentini, ma era sempre l’università dei camper. Ad ogni viaggio ebbi un problema meccanico grave, pompa dell’acqua, cardano dell’albero motore, coppa dell’olio e così via cantando. Per fortuna se lo portò via l’alluvione del ’94 se no non avrei proprio saputo come liberarmene.

domenica 28 giugno 2009

Notti bianche

Il post di ieri mi ha messo nostalgia del topone grigio che mi faceva girare l'Europa 25 anni fa. Così ho ripescato questa diapo del cornuto davanti alla Moschea dell'allora Leningrado. Certo, perchè c'è una moschea a San Peterburg; un tempo il mondo era molto più tollerante di oggi, forse. Quindi vi tocca il seguito del post di ieri. Era l'ultimo decennio del regime e si sentiva nell'aria uno sfacelo incombente, uno sfascio di un sistema che, da quando aveva cessato di basarsi sui metodi forti ed era scivolato a poco a poco nella gerontocrazia bresnieviana, perdeva a poco a poco autorità e funzionalità. C'era nell'aria una voglia di lasciar andare le cose come andavano, tanto non ci si poteva fare niente. Dei temuti controlli neanche l'ombra e anche se l'amico che era con noi, prevenutissimo, continuava a guardarsi intorno convinto di essere seguito dagli agenti del KGB, non c'erano limitazioni evidenti e nonostante l'obbligo di pernottare in campeggi prepagati (unica cosa che interessava, il versamento delle svanziche), si capiva che avremmo potuto tranquillamente dormire davanti all'Ermitage senza che nessuno ci dicesse qualcosa. Proprio sotto l'arco della grande piazza, mentre sistemavamo le cose prima di partire per il giro, un paio di ragazzotti ci avvicinò chiedendoci cosa avevamo da vendere. Parto sempre preparato, quindi estrassi dall'apposito contenitore il pacco di musicassette che tenevo pronte. Gli occhi dei tipi si arrotondarono e il sorriso arrivò alle orecchie alla vista degli ultimi successi di Celentano, Matia Bazar, Ricchi e poveri et similia. Dopo aver controllato nel mangiacassette di ordinanza del mio mezzo, il buon funzionamento del materiale (fidarsi è bene, ma con gli stranieri....) completammo la transazione e mentre l'amico friggeva, timoroso di essere internato in un gulag per commercio illegale, aggiunsi al patto anche un paio di mie vecchie e sdrucite sportosky (così chiamavano le scarpe di gomma ) non resistendo agli occhi bramosi e al filo di bava alla bocca che illustravano il desiderio inestinguibile di materiale occidentale di uno dei compratori. I jeans vecchi li avevamo purtroppo già piazzati il giorno prima. Con le tasche gonfie di rubli che avemmo poi grosse difficoltà a spendere, non essendoci quasi nulla da comprare (il diavolo fa le pentole ma non i coperchi), ce ne tornammo al camping per organizzare la serata. Pioveva forte e dovemmo fermarci a tirare fuori i tergicristalli da sotti i sedili per metterli sulle asticelle, sotto un cavalcavia intasato di zhigulì ferme che facevano la stessa operazione. Era merce ambita il tergicristallo e di quei tempi nessuno osava lasciarlo incustodito sul vetro della macchina. Così quando arrivammo al campeggio era già un po' tardi, anche se le notti bianche lo facevano sembrare pomeriggio pieno. Per concludere la serata eravamo interessati ad uno spettacolo di danze folkloristiche, che si rivelò poi bellissimo. Mi infilo quindi nell'office per cercare info precise e vengo subito accalappiato da una biondina tutta sorriso e moine, con cui cominciamo a chiacchierare. La prendo alla larga per rompere il ghiaccio e quella morde subito, partiamo con i soliti luoghi comuni che vanno sempre bene, Italia, spaghetti, pizza, come mi piacerebbe vedere Venezia, ecc. un repertorio conosciuto. Sfruttando il suo inglese oxfordiano si chiacchiera un bel po', e come mai siete in Russia, e come vi trovate e compagnia bella. Quando capisco che ormai sarà gentile anche se chiedo solo informazioni, sparo le mie richieste, dove, a che ora, che strada è meglio fare per arrivare al teatro, come avere i biglietti. Come pronuncio le domande scatta un clic, cala una maschera, il sorriso si azzera. " Per le domande di lavoro, deve rivolgersi alla mia collega, io sono l'interprete incaricata del tedesco", dichiara come un terminator e non c'è stato più niente da fare. Mi sono rivolto alla collega. Lo spettacolo fu fantastico, ma c'era nell'aria un senso di disfacimento incombente.

sabato 27 giugno 2009

Un incrocio.

Il 238 grigio topo di venti anni aveva lasciato con calma la landa desolata, ma mitica, di Nord Kap e dopo aver zigzagato a lungo tra i laghi finlandesi si avvicinava al confine sovietico in un mattino di fine agosto. E sì caro Doc, non solo andavo in Russia per vendere impianti, ma addirittura a farci le ferie! Dirai che ero matto, ma all'inizio degli anni 80, quel mondo chiuso e sconosciuto aveva un fascino ed un richiamo alla scoperta, a cui non ero riuscito a sfuggire. Poichè un amico voleva assolutamente che gli portassi a casa le corna di una renna e dato che, essendo di dimensioni esagerate, nel camper non ci entravano tutte, le avevamo legate con dei tiranti di gomma (il famoso e micidiale ragno) sulla cabina davanti al serbatoio del GPL a far bella mostra di sé, come la preda che i cacciatori espongono sui cofani delle macchine per fare vedere quanto sono stati bravi. Alla frontiera eravamo l'unico mezzo e, come mi avevano predetto ci apprestammo comunque ad una lunga attesa. Le corna facevano comunque simpatia e dopo aver ridacchiato a lungo ed averci fatto la consueta accoglienza a forza di Italiani, Sicilia, mafia, ecc. i due doganieri bardati, iniziarono l'opera di controllo accurato che avevo previsto (esperienziato da precedenti viaggiatori) in un paio d'ore. Cominciarono con controlli di routine con specchi, per vedere se volevo introdurre qualche clandestino nella Santa Madre Russia (bah?), poi passarono all'interno del mezzo, mi fecero smontare lo specchio nel bagno, timorosi che nell'intercapedine fossero nascoste pericolose riviste antisovietiche. La scoperta del doppio fondo sul pavimento provocò loro una grande eccitazione, mentre me ne imponevano l'apertura con occhi brillanti. Scostato il linoleum ed aperta la botola, frugarono a lungo coi musi lunghi e delusi avendovi trovato solo i ricambi motore che portavo dietro per precauzione. Allo scoccare delle due ore, benchè ci fossero ancora molti interstizi da esplorare, cadde loro in cacciavite di mano e ci lasciarono liberi. Capii dall'occhiata che avevano dato in alto, verso la guardiola degli uffici che l'intensità e la durata del controllo previsto dallo standard era ormai stata rispettata e perdettero ogni interesse a noi dandoci via libera. Un segnale netto di come le cose procedevano per burocrazia immutata e priva di vero interesse. Purtroppo il mezzo non voleva rimettersi in moto, rimanendo ad ingombrare il passaggio comunque deserto. I cerberi rimasero a sonnecchiare su due sedie facendo stanchi cenni della mano a levarci dalle scatole, ma, niente da fare, il maledetto rimaneva morto col cofano alzato e io ed il mio amico a guardarci dentro con aria da finti competenti, a chiederci in che modo ci saremmo tolti dal guano. Tiziana, che era stata estromessa dall'operazione meccanica in quanto femmina, butta l'occhio dentro il cofano e fa: "Ma quel filo lì come mai è staccato e pende?" Con sufficienza proviamo a infilarlo nel buco vicino e bruuum, come per magia il mostro riprende vita e ci consente di lasciarel'area dogana, silenziosi, senza fare commenti di nessun genere. Così pensosi, si arriva alla periferia della allora Leningrado e ci si infila un po' a casaccio per un lungo prospiect. Vietato chiede informazioni sul percorso, il maschio italiano, si sa non chiede, va a istinto. Arriviamo ad un semaforo verde con frecce e vigile al centro. Svolto a destra contravvenendo all'unica regola stradale diversa da quelle italiane. Non si svolta a destra con semaforo verde, bisogna aspettare anche la freccia verde. Vado imperterrito, mentre al centro dell'incrocio il GAI' comincia a fischiare sbracciandosi. Fingendo si non sentire, proseguo, ma il delitto non paga, dopo 500 metri la strada termina senza uscita, bisogna tornare indietro; intravedo lontana in mezzo all'incrocio l'ombra vindice che mi aspetta a braccia conserte. Accosto e scendo in attesa di un processo rapido ed implacabile. Memore dell'andazzo e dei processi sovietici, un po' timoroso della Lubianka, sebbene lontana, sarei pronto ad una autoaccusa formale con annessa procedura di autocritica, ma, mentre si è ormai radunato un capannello di sfaccendati, pensionati e babuske con le sporte, il milite mi punta il dito gridando "пять рублей штрафа!", 5 rubli di multa. Non so come, ma mi viene spontanea la supercazzola. Carta alla mano, comincio a chiedergli indicazioni per trovare il campeggio a cui eravamo diretti, in italiano, mostrando le vie e chiedendo lumi. L'agente dell'ordine continua a richiedere disperatamente il pagamento mostrandomi le cinque dita della mano e mimando la mia infrazione. Intanto attorno al camper bicornuto si è radunata una piccola folla che partecipa con vigore al dibattito, chi cercando di fare segni sulla carta, chi cercando di deviare le intenzioni della legge, chi commentando cosa ci andava a fare da quelle parti un baraccone di quel genere, proveniente per di più dall'Italia. Le invettive della guardia diventano sempre più flebili, alla fine una vecchietta lo prende di punta e lo rimbrotta con aria severa. Credo che il senso fosse: "Ma va là non vedi che sono stranieri, poveretti e che bisogna dargli una mano?" Il GAI' cedette di colpo e se ne andò borbottando imbronciato nella sua guardiola e dopo aver stretto un po' di mani ce ne andammo verso la nostra meta. Le prime crepe nel gigante dai piedi d'argilla del regime, cominciavano a mostrarsi nella loro tragica evidenza.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!