Quando arrivi nella casa abbandonata da mesi, oltre allo sconforto
ed alla desolazione del rudere ricoperto di polvere che appare come una tomba
etrusca appena scoperchiata, nasce subito il problema delle cose da fare o da ripristinare.
Questa situazione è nota anche come sindrome del bricoleur. Ci sono persone
infatti a cui non solo questo incubo, dà piacere ed eccitazione, ma si capisce
subito che se non ci fosse se lo
andrebbe a cercare, tanto gli friggono le mani per mettersi subito a lavorare
alacremente, aggiustando, sistemando, rimettendo in funzione. Compaiono subito
attrezzi di ogni tipo che il nostro ammirevole uomo di casa, si porta sempre
con sé, casomai ne sorgesse la bisogna, che so io, per una porta che si chiude male o una spina
pendula ed ecco saltar fuori da borse
segrete, cacciaviti e arnesi
multitasking per affrontare la necessità del momento. Forse non si è capito ma
io non sono mai stato accettato in quel club. Mettere le mani in qualsivoglia
meccanismo o lavoro che rimetta in grado qualunque cosa di funzionare, è
superiore alle mie forze, alla mia comprensione, di più mi ripugna applicarmici
e cerco di sfuggire come un cane rabbioso alla vista dell’acqua, quando questo
obbligo diventa imprescindibile. Già vi ho detto della messa in funzione della
stufa, ma stamane, anche se ho cercato di defilarmi con una manovra di
aggiramento degna di miglior causa, sono stato bloccato sulla soglia di casa e
portato di peso davanti a una cosetta che nella scorsa stagione era stata messa
da parte il giorno prima della partenza dicendo, ci penseremo un altro anno. Un
punto luce, assolutamente indispensabile che dà vita alla cucina, aveva cessato
di funzionare irrimediabilmente e a nulla era valso un primo contatto
ispettivo, né il tentativo di sostituire semplicemente la lampada al neon aveva
prodotto risultati.
Quindi eccomi davanti al problema. Uno, avesse almeno una
schiera di assistenti che, a richiesta, gli fornisse gli strumenti necessari,
che so io, bisturi, forcipe, garza, ecc, sarebbe un piacere, il chirurgo
potrebbe operare con tranquillità e profitto, invece l’infermiera di sala è al
livello del dottore e le cose si fanno subito difficili. Il primo problema è
smontare la vecchia applique. Semplice direte voi, ma se serve il cacciavite a
stella, voi quale pensate io abbia in dotazione? Naturalmente quello a taglio.
Quindi già questa prima operazione si è rivelata complicata, riverso col collo
piegato in maniera innaturale verso l’alto, mentre le cervicali chiedono aiuto,
le braccia sembrano di cemento, il cacciavite non caccia le viti, frammenti di
soffitto si sbriciolano e ti finiscono negli occhi. Un inferno. I tasselli sembrano fusi nel mattone,
insensibili a qualsiasi richiamo e non si muovono, quando le prime urla
belluine cominciano la scalata verso il cielo. In un modo o nell’altro qualche
cosa si smuove, poi d’un tratto tutto crolla, per fortuna l’assistente lo
acchiappa al volo prima che si infranga al suolo, il grosso rimane appeso ai
fili al soffitto. Bisognerebbe staccare tutto e riattaccare il nuovo appena acquistato
al Fai da te, che il Signore se lo portasse via chi lo ha inventato. Via le
valvole, almeno fin lì ci arrivo, poi cominciamo le operazioni. Naturalmente
mancano le forbici, il nastro adesivo e quanto altro serve all’elettricista.
Subito un veloce messo viene mandato ad acquistare il dovuto, poi tra cristi e
madonne si taglia, o meglio si strappa via tutto con rabbia. Poi il compito più
arduo, bisogna leggere le istruzioni della nuova applique da appendere.
Un
romanzo di fantascienza, da cui è impossibile sviscerare se i fili 1 e 2 vanno inseriti
nei punti 3 o 4, poi bisogna trovare i punti per inserire il filo della terra ,
ma ahimè la terra non c’è data la vetustà del sistema. Alla fine è chiaro che
bisognerà andare per tentativi. Quando viene il momento della presa delle
decisioni e quando rimangono solo i duri, ecco l’inghippo insormontabile, i
buchi preesistenti sono come ovvio, in punti diversi e non combacianti, quindi
l’applicazione diventa impossibile, sono necessari nuovi tasselli, trapano per
i buchi, volontà di osare e soprattutto tanta tanta pazienza. Tutto è perduto,
vista l’impossibilità di procedere, giocoforza si deve abbandonare il campo
lasciando a terra morti e feriti, dopo avere sommariamente avvolto i fili col
nastro appena ricevuto in dotazione, lasciandoli poi mestamente penzolanti dal
soffitto martirizzato in pieno nulla di fatto. Tutto il vecchio accantonato a
lato, il nuovo, lì a terra in attesa di essere ripreso in considerazione. Si
vedrà, in seguito. Per intanto le truppe che orgogliose avevano disceso la
valle, si ritirano in rotta risalendo l’antico cammino. Un tavolino del Bar
della Rosa Rossa, immortalato dal De Amicis in Alle porte d’Italia, attende,
porto sicuro il soldato sconfitto per ristorarlo con un marocchino e brioche al
cioccolato.
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:
2 commenti:
Enrico .. la tua caparbietà è commovente e ti fa onore !!!!!!
Gianna
@Gianna - Faccio quello che posso ma è la fatica di Sisifo!
Posta un commento