mercoledì 9 ottobre 2013

Il Bar Baleta: Il Vespasiano.

Il vespasiano del vicolo - gent. concessione Gino "Baleta" Gemme

Il nostro bar aveva una collocazione un po' anomala, considerato che la prima necessità di un locale è quella di avere un ingresso ben riconoscibile ed attirare i clienti di passaggio. Invece il Baleta aveva due ingressi, uno in un cortile a cui si accedeva attraverso un portone anonimo e l'altro in un vicoletto che, anche se sbucava nella piazzetta centrale di Alessandria, non invitava certo nessuno ad accedervi, tanto era stretto, buio e poco significativo. Non solo, appena passata la strettoia, di fianco alla porta a vetri segnalata da un vaso di cemento ed una pianta (mi pare) troneggiava una istituzione ormai assolutamente desueta nelle città italiane ed anche allora, sul viale del tramonto. Un vecchio, sporco e tristissimo vespasiano open air a due piazze, incistato in un angolo formato da un allargamento inatteso del vicolo, nascosto per modo di dire da una malandata paratia, forse, ma non mi ricordo bene, di lamiera consunta e rugginosa. Emanava un odore caratteristico, tuttavia svolgeva la sua utile funzione, in quanto allora, gli esercizi pubblici non avevano credo, l'obbligo di avere i servizi. Per noi ragazzi, era forse allora un problema poco avvertito, non coscienti ancora dei problemi di ipertrofia prostatica che la vecchiaia futura ci avrebbe presentato implacabilmente a suo tempo; la televisione non avvisava ancora nelle pubblicità di questo importante aspetto, quanto alla disfunzione erettile, ne eravamo ben lungi. Sta di fatto che il "luogo" aveva una sua funzionalità che nessuno metteva in discussione. Credo che la svolta avvenne in occasione di un evento che rimase comunque negli annali della città. Gino Baleta, tra le altre attività, inconsuete per un bar, a quei tempi ancor di più, sponsorizzava anche eventi culturali rimasti poi famosi per anni.

Uno di questi fu una mostra di pittura all'aperto denominata appunto Il Vicolo che raccoglieva opere di pittori alessandrini, dilettanti e non solo, lungo tutta la stradina, richiamando un notevole numero di visitatori che dalla vicina piazzetta transitavano finalmente in massa, osservando, ammirando, discutendo animatamente, ma soprattutto, come fanno gli alessandrini, criticando senza pietà in maniera sarcastica e distruttiva. Le malelingue, affermavano che Gino organizzasse il tutto al solo scopo di incrementare gli affari, dato che praticamente tutti i visitatori, finito il giro, transitavano poi nel bar a farsi un caffé, ma io non credo, almeno non completamente a questa maligna versione. Gino è sempre stato un grande appassionato di arte, figurativa, buon conoscitore e mi sembra anche collezionista. Molti quadri infatti, finivano poi, acquistati da lui, appesi alle pareti del locale, d'altra parte, la sua vocazione d'artista traspare anche dai suoi disegni, non vi sembra? Comunque, sta di fatto che per organizzare l'esposizione, non si poteva non tenere conto dell'ingombrante presenza del pisciatoio, che occupava la posizione centrale nello spazio espositivo, anche a causa della puzza che emanava. Così il servizio pubblico venne in qualche modo coperto e nascosto da paratie posticce per nasconderlo alla vista dei cittadini e soprattutto delle cittadine. Poco dopo, lavori di rifacimento dei muri esterni del palazzo d'angolo, una banca, che uno sfottò classico del bar attribuiva alla proprietà stessa di Gino, che caffè dopo caffè si sarebbe impadronito della maggioranza azionaria, eliminarono definitivamente l'ultima delle istituzioni alessandrine e anche il Vespasiano andò in pensione.


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3 commenti:

Juhan ha detto...

Non dico niente sullo stile letterario (non sono invidioso (davvero (per niente))).
parlo invece dell'arte: un esercizio che frequento ha attualmente preso a esporre i quadri di un amico del figlio. A me viene da fare come i tuoi concittadini; sarò mica di origini mandrogne oltre che langarole e chisonesi?

Unknown ha detto...

Mi rammento dei templi così sacri al raccontarsi assieme e al mezzolitro
George Grosz dice i cessi — sgraffio di vite confessate uno sberleffo — sua accademia

Enrico Bo ha detto...

@Juh - il fatto è che siamo cattivi di natura, in certi casi poi il destino si accanisce!

@Tent - anche i cinesi li chiaman cé suò, forse son luoghi sacri, specie con prostata premente.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 114 (a seconda dei calcoli) su 250!