giovedì 20 marzo 2014

La famiglia Cong

Saigon - Palazzo della riunificazione
Già. I giovani di oggi faticano a raccontarti le storie del passato. O non le conoscono o a loro non interessano. Hanno altro a cui pensare, il loro futuro, sempre incerto per cui combattere. E' lì che bisogna indirizzare le energie. Le storie di un tempo le lasciano ai vecchi, loro sì che sono sempre pronti a raccontarle. Anche troppo pensano i ragazzi. Per te invece, che te li senti più vicini, almeno per un senso generazionale, è un piacere starle ad ascoltare queste vecchie storie, un po' romanzo, un po' telenovelas, di quelle che fanno inumidire il ciglio alle casalinghe di Voghera. Quella della famiglia Cong, per esempio. Molto spesso si pensa che le vicende di una vita siano sempre condizionate dalle scelte personali, ma spesso non è così. A volte sono gli eventi che ti trascinano in una direzione più che le convinzioni personali. Il signor Cong era giovane quando la guerra con gli americani cominciò a subire quella che noi chiamammo escalation. A Saigon i ragazzi furono chiamati a svolgere il servizio militare. così lui si trovò per obbligo o per caso ad essere arruolato nell'esercito del Sud. Qualche suo amico, con idee più decise, scappò verso Hanoi e cominciò a combattere dall'altra parte. Era così a quel tempo che andavano le cose, per una combinazione o per un'altra, magari per il caso in cui ti trovavi in quel posto e in quel giorno, saresti poi finito, senza essere tu a scegliere da una delle due parti della barricata. In fondo il signor Cong non ci stava male nell'esercito, aveva compiti esclusivamente di approvvigionamento, da noi si direbbe che era in fureria. Nel frattempo si era anche sposato con la ragazza che abitava nella sua strada e sulla quale aveva messo gli occhi fin da ragazzino. Cominciavano ad arrivare figli, mentre la guerra cresceva di intensità. 

Le cose però non andavano per niente male, grazie all'imponente afflusso di materiali che arrivavano da oltre oceano, c'era da fare per tutti a Saigon e anche senza volersi buttare in affari illeciti, la famiglia Cong non soffriva certo la fame, anzi si può dire che aveva un minimo di agiatezza, una casa e di che vivere tranquillamente. Poi a poco a poco le cose cominciarono a precipitare; i Vietcong erano alle porte finché quella mattina di fine aprile, l'Esercito di liberazione entrò a Saigon. Il signor Cong, come tutti quelli che avevano lavorato a vario titolo con gli americani erano terrorizzati. Ci sarebbe stato il temutissimo bagno di sangue di cui il regime propagandava l'inevitabilità, per mantenere alte le difese? Come molti, il signor Cong scelse di nascondersi in attesa degli eventi. Mentre la moglie con i sette figli rimaneva a guardia della casa, lui se la filò attraverso le linee, fino ad un villaggio sugli altipiani. Lì abitavano certi parenti. Il villaggio era nella zona comunista e di certo lo avrebbero nascosto senza suscitare troppi sospetti in attesa di vedere come sarebbero andate le cose. A Saigon intanto non c'era stato nessun bagno di sangue, anzi il nuovo potere aveva iniziato una politica di riappacificazione, dichiarando che i fratelli che avevano sbagliato schierandosi con gli americani, lo avevano fatto perché ingannati e che dovevano essere capiti e perdonati, certo dopo un piccolo periodo di rieducazione, purché si presentassero ammettendo il loro errore. Molti, come il signor Cong, non si fidarono e rimasero nascosti. Molti altri si presentarono nelle caserme e dopo una settimana di chiacchiere e di ammissioni di colpe se ne tornarono a casa, reintegrati e perdonati. 

Il signor Cong era in mezzo al guado, ogni giorno con il pigiama nero da contadino se ne andava nella risaia dei parenti a trapiantare riso, in attesa di notizie dalla capitale, che la moglie gli faceva arrivare tramite conoscenti fidati. Sembrava che tutte le paure fossero fugate e quasi quasi il signor Cong pensava che sarebbe stato meglio tornare e consegnarsi, prima che scattassero le sanzioni che il regime minacciava verso i cosiddetti "ostinati". Ma pensa e ripensa, non son mica decisioni facili da prendere, un bel giorno ecco che in fondo alla risaia arriva un plotoncino di militari con le fasce della polizia che da lontano gli gridano il suo nome. Butta la zappa dal manico corto nell'acqua e comincia a correre nel fango, per scappare verso il bosco in fondo alla risaia, di là potrebbe arrampicarsi sul fianco della montagna; la frontiera con il Laos non è lontana. Corre con il cuore in gola, il fango gli rallenta il passo, sembrano mani e artigli che afferrano le gambe e lo tengono incolato al fondo. Ansima, incespica, cade lungo disteso, faccia nell'acqua piena di alga verde, che non lo lascia respirare, non riesce nemmeno a vedere quegli uomini che corrono sull'arginello più sodo, lo circondano in breve, lo prendono, lo portano via. Si vide perduto, già morto o rinchiuso in qualcuna delle cosiddette gabbie di tigre che usavano i suoi e di cui, per la verità aveva sentito solo parlare. Lo caricarono su un camion un po' scassato su cui viaggiò per un giorno intero insieme ad altri disgraziati come lui, presi qua e là per le campagne, dopo che qualche "caro amico" li aveva denunciati, anche senza motivi particolari, per livore verso i vicini o per semplice accidia personale. 

Arrivarono al campo che era ormai notte e assieme ai suoi compagni di sventura si buttò su un giaciglio di una delle baracche che stavano raggruppate in fondo alla grande spiazzo centrale. Non sembrava una prigione però e già il giorno dopo capì assieme ai compagni che forse le cose non si mettevano male. Ci stette sei mesi nel campo, più che altro noia e scarsità di cibo, cosa del resto comune a quel tempo in cui tutto il paese cercava di ricostruirsi dopo le devastazioni della guerra. Un paio d'ore al giorno di lezioni di educazione, dove un ragazzo spiegava la linea politica, evidenziava dove avevano sbagliato, perché erano stati ingannati e quanto il nuovo regime comprendeva gli errori ed era disposto a perdonare chi li avesse riconosciuti e si fosse messo al servizio del nuovo corso. Sembrava di essere a scuola nei piccoli banchi stretti che erano stati di una scuola di paese. Il signor Cong non era certo stupido e seguì l'onda con fervorosa accettazione, ammise le sue "colpe" forse andando anche al di là della realtà per dare maggiore credibilità, così quando tornò dalla sua famiglia, che non aveva più avuto notizie e lo credeva morto, fu accolto con grande sollievo e si capì che, anche se il benessere passato era in gran parte perduto, quello che contava era la ripresa di una vita normale, facendo alla fin fine, più o meno le stesse cose che faceva prima. Gli anni sono passati tranquilli, certo molto difficili e pieni di privazioni i primi, poi a poco a poco sempre migliorando, con i figli che crescevano e cominciavano a lavorare, le opportunità che diventavano sempre più possibili, la vita che scorreva via via più facile. 

Il signor Cong è diventato un po' filosofo. E' ormai convinto che le cose capitino un po' per caso, un po' per karma, bisogna non affannarsi troppo e cercare di comportarsi in maniera eticamente accettabile, un po' Tao, un po' Confucio, un po' Buddha, come prevede la religione vietnamita, ma sempre pensando alla protezione degli antenati. I figli ormai sono tutti sistemati e ha una serie nutrita di nipoti, alcuni già grandi. Con le figlie, ne sono arrivate un altro paio dopo la guerra, è stato ragionevolmente severo, perché le ragazze devono stare attente, che gli uomini sono dei balordi, forse si riferiva a qualche ricordo particolarmente sgradevole del passato, così ha insegnato loro l'aikido che aveva praticato a lungo nell'esercito. Essere buoni sicuro, ma sapersi difendere innanzi tutto. Adesso va a dormire presto alla sera, vorrebbe raccontare qualcuna delle storie del passato, di quando bisognava andare a cercare qualcosa da mangiare nei prati intorno alla città perché non c'era più niente o di quando le cannonate tambureggiavano per tutta la notte e nessuno riusciva a dormire o della paura che non ti lasciava neanche pensare, chino col cappello a cono, con i piedi nel fango a trapiantare riso. Ma i nipoti non hanno più voglia né tempo per ascoltare queste vecchie storie, devono postare cose su facebook e guardare i video su Youtube di Ho Ngoc Ha o di Dam Vonh Hung, l'icona pop del momento, che piace tanto alle ragazze romantiche quando vanno alla sala karaoke. Allora, tutte le sere, dietro la testa sulla parete in fondo, un bel ritratto di zio Ho Chi Minh sorridente, gioca a scacchi, con un vicino che era stato Vietcong dalle parti del delta, pensando a lungo prima di muovere, perché è sempre più convinto che ogni azione vada valutata bene prima di farla. 



Partite dal minuto 3.30

E questa è Ho Ngoc Ha:


 Poi sentite un po' questa che sorpresina, (perché anche in Vietnam, The Voice va per la maggiore!):

:


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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Molto interessante la storia della famiglia Cong. In particolare perchè non si parla di vendetta tra le parti,di stragi perdurate lustri. Forse nel loro dna non c'è la partigianeria come da noi che ,a distanza di settantanni , continuiamo con polemiche tra rossi e neri, tra partigiani e fascisti.
Inoltre a noi la guerra la raccontavano eccome. Del resto quando eravamo bambini, la città era ancora semidistrutta dai bombardamenti e a scuola si facevano i turni per mancaza di aule. Le immagini e le parole si sono impresse nella mia memoria in modo indelebile e non riesco ancora oggi a prenderne le distanze.

Paola

Ps Distrutta dagli esercizi ginnici mattutini, non sono riuscita a presenziare alla tua conferenza.

Enrico Bo ha detto...

@paola - Non importa è come se fossi stata presente

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!