Tra i banchi |
L'ingresso al mercato |
Un buon punto di partenza per cercare di interpretare, tentando
di comprendere il difficile rapporto che c’è tra Cina e Vietnam è Cholon, il
grande e antico quartiere cinese di Saigon. In realtà la zona è molto meno
cinese di quanto sembri, dato che molti se ne erano andati negli anni ’70 in
seguito alla campagna anticapitalistica, anche se ora stanno tornando alla
spicciolata in cerca di buone opportunità, vista la piega di economia
pragmatica che ha ormai preso il paese in maniera inarrestabile. Questa, un
tempo era una città a sé, popolata da
soli cinesi che ne avevano fatto una delle basi principali della loro
espansione commerciale in Indocina e ne conserva l’architettura tradizionale
dell’800. Poi l’ingrandirsi della città a poco a poco ha inglobato il villaggio,
lo ha fatto parte di sé conquistandolo e facendosene conquistare, rendendolo
quindi vietnamita a tutti gli effetti e fattore di una contaminazione che
rappresenta la strada obbligata che hanno seguito tutte le culture quando sono
venute a contatto con le culture vincenti di potenti vicini. I cinesi sono
stati l’incubo storico dei vietnamiti, invasori pervicaci e recidivi per oltre
un millennio, sempre combattuti e alla lunga scacciati e sconfitti, pur più
forti e potenti, come tutti gli altri che hanno voluto appropriarsi di questa
area. Ogni volta dominatori e poi cacciati con guerre sanguinose che hanno
creato epopee di racconti eroici, con la eterna lotta tra Davide che vince
Golia, fino alla ultima storia recente in cui la Cina, con la carità pelosa di
chi mostra di voler aiutare il debole nella lotta contro il forte, alla fine
getta la maschera e vuole con la violenza quello che non è riuscito ad avere
con la convinzione.
Aglio |
Così, se da un lato, lo scomodo e potente vicino, è vissuto
come una minaccia costante che va comunque sopportata per ragioni di
opportunità commerciale, dall’altro, l’influenza cinese, in tutti i campi,
anche se non voluta, è presente in maniera completa ed è ormai parte integrante
dello stesso substrato di pensiero del paese. Dalla lingua, in cui più di un
terzo delle parole sono di derivazione cinese, alla cucina, agli stili di vita,
alla religione, dove, come abbiamo visto il misto tra taoismo e confucianesimo
permea completamente templi, statue, decori e mentalità stessa dei fedeli,
inclusa la forte propensione alla superstizione ed alla passione per il gioco.
Tuttavia, il sentimento verso il regno di mezzo non è affatto positivo e,
complice la fortissima componente nazionalistica, si avverte una vera
avversione per tutto quanto arriva da quella parte, dimenticando naturalmente
che in questo momento di lotta economica globale, gli investimenti cinesi nel
paese, in cerca guarda un po’, di delocalizzazione, udite udite, per diminuirei
costi che ormai stanno crescendo anche in Cina, fanno piuttosto comodo in
termini di aumento di posti di lavoro e di ulteriore crescita del PIL. Ma nella
vulgata del popolino, quello che senti nei mercati, è di disprezzo assoluto
verso le merci che provengono da laggiù e ogni piccolo fatto di cronaca, viene
amplificato dai media e accolto dalla gente come una ulteriore dimostrazione di
pessima qualità di quella roba, ultima scelta naturale, quando non fatta
appositamente con materiali dannosi alla salute, come se il produttore fosse
così sciocco da volere intenzionalmente rovinarsi un mercato pur di avere
piccoli guadagni immediati.
In piena attività |
Si vocifera di magazzini in cui la robaccia cinese
viene riconfezionata con false etichette Made in Vietnam, simbolo di assoluta
garanzia di qualità. Con questa base bisogna tuffarsi nella confusione
dell’enorme mercato Binh Tay, nel cuore di Cholon, per bearsi della confusione,
del colore e della ridondanza di merci accatastate nella sfilata infinita di bugigattoli,
banchetti, negozi che si estendono a cascata fin sui marciapiedi, occupandoli
per la maggior parte fino a rendere difficile e penoso il passare. Dal grande portale giallo entri nel cortile e nel piccolo giardino. A lato il grande braciere dove tutti bruciano soldi finti, lingotti di cartone dorato, abiti e scarpe finte di carta, addirittura motorini, mercedes e i-pad di cartone, dedicandoli ai morti per ingraziarsi la fortuna nel nuovo anno. Ecco laggiù nella cenere e quasi paion veri, pacchi di biglietti da cento dollari, ti viene un tuffo al cuore, mentre tutti continuano a buttarne dentro gioiosamente, ridendo. Poi ti butti tra i vicoletti cercando di superare le barriere di merci. E’ il
concetto delle zone del mercato orientale, contraria specularmente al nostro,
dove tra esercizi simili deve esserci un minimo spazio concordato proprio per
evitare una troppo forte concorrenza.
Qui invece ogni tipologia merceologica,
sia frutta o pesce, o carne, o conservati, vestiti, stoffe, gadget di
capodanno, devono essere fianco a fianco in zone serrate e definite, proprio
per permettere al cliente di fare paragoni, cosa che spinge il commerciante a
rendere il proprio spazio il più possibile concorrenziale, attrattivo, bello da
vedere a confronto del vicino. Tante scritte in cinese e poi confusione, grida,
odori come in tutti i mercati d’Oriente. Poi d’un tratto ecco che da un vicolo spunta l’essenza della Cina, portato a spalle da un gruppo di ragazzi, un drago rosso con gli occhi enormi a palle sporgenti, che i bastoni fanno agitare nella sua danza scomposta; corre lungo i banchi del mercato al ritmo frenetico dei cembali. Lo accompagna la maschera dalla faccia di bambino grasso che porta la fortuna. Siamo a pochi giorni dal Tet e l’anno nuovo è appena cominciato, la buona fortuna è necessaria, così da ogni banco fanno a gara per richiamare il drago a “mangiare” qualcosa nel loro negozietto. Il gran testone vermiglio si avvicina e viene imboccato con offerte che il sacro animale gradisce imbizzarrendosi e fremendo lungo tutto il corpo, il muso spalancato in alto ad inghiottirle, mentre tutti ridono, cantano e si scambiano auguri. Poi il corteo prosegue il suo giro e si allontana tra i vicoli stretti lasciando tutti gli astanti a congratularsi tra di loro e a parlar male dei cinesi.
Conservati |
Il dragone di capodanno |
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SURVIVAL KIT 6
Cholon e mercato di Binh Tai - Nel quartiere cinese, raggiungibile in taxi e molto vicino al centro. Da vedere l'ingresso il giardino interno e lo stile cinese. Da abbinare alla visita nella stessa zona del tempio di Thien Hau, la dea dei naviganti.
In zona se vi capita provare il Banh Xeo, che servono in locali specializzati con questo nome. E' una gigantesca crepe all'uovo fritta e servita ripiena di gamberetti e verdure, niente male.
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4 commenti:
Bellissimo post. Anche in Italia la pensano così in molti, i cinesi forse fanno paura. Questo è uno dei motivi per cui spesso quando racconto dei miei viaggi in Cina (e di come ho visto io i cinesi) la gente a volte storce il naso.
P.s. passa da me, c'è un pensierino per te.
@Cic - vengo subito, metti su la caffettiera.
Eppure avevo commentato anch'io.
Leggo tutti i giorni con grande interesse e piacere.
Cristiana
@Cri- ma vengo anche da te a prendere il caffé!
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