venerdì 25 aprile 2014

Thai, H'mong e Dzao


Le sorelle Thai 


Il ponte di bamboo
Sveglia ragazzi, questa mattina bisogna alzarsi presto c'è molta strada da fare, in macchina attraverso panorami unici ed a piedi, girando di villaggio in villaggio. Se avrete voglia di venire da queste parti, di certo lo farete anche per riempirvi gli occhi di questi paesaggi, ma la motivazione decisiva sarà sicuramente quella di incontrare le etnie che popolano la montagna. Infatti tutto il nord del Vietnam è una costellazione di minoranze molto differenti tra di loro per origini, lingua e abitudini e soprattutto, ed è la cosa più appariscente e che più affascina, nel modo di vestire e di acconciarsi. Sono pochissime oggi, le zone del mondo dove è possibile osservare una così grande varietà di stili di vita e non passeranno molti anni a che tutte queste differenze saranno destinate a scomparire a favore di una uniformità globale che inarrestabilmente sta conquistando il mondo. Attenzione, non ho detto che questo sia un male o un bene. E' un discorso complicato che faremo un altro giorno, sto solo dicendo che è una conclusione inevitabile, già accaduta in molti altri luoghi, dove sono rimasti solo degli zoo umani per turisti paganti, dove fare il figurante di una etnia è un normale lavoro e quindi, nel caso vi interessino queste cose, dovete andarci prima che scompaiano definitivamente. Ma adesso lasciamo queste chiacchiere da parte e venite con me, perché qui bisogna camminare e io faccio già fatica a far questo, figuriamoci se devo anche chiacchierare.

Thai nera
Dopo un po' di chilometri tra ripe scoscese e scalinate di risaie digradanti, arrivate a Tu Lè, un piccolo villaggio del fondovalle occupato dai tanti rivoli di un torrente che si sfrangia in un letto vasto e destinato ad essere completamente invaso nella stagione delle piogge. Prendiamo un piccolo sentiero e basta superare i primi arginelli tra le camere delle risaie più basse e subito ti perdi nella campagna, proseguendo tra boschetti e orti familiari. Nascoste tra gli alberi, le capanne di piccoli agglomerati, case di legno su basse palafitte abitate dai Thai bianchi. Sono i grandi coltivatori di riso del nord ed hanno occupato quasi tutte le aree di fondovalle, dove coltivare è più facile e le risaie sono più grandi e produttive e vivono quindi una condizione più prospera di altre etnie confinate sulla sommità delle montagne. Le case infatti sono tutte piuttosto grandi e strutturate e dappertutto implacabili coperture di eternit hanno sostituito le frasche di foglie di palmizio. Le donne portano una gonna lunga e stretta, i capelli sono raccolti a crocchia e circondata da grandi fazzoletti a trama incrociata multicolore. Passare tra le case è piacevole, dappertutto vieni accolto con sorrisi quando non da inviti ad entrare facendoti largo tra maiali ed anatre. Ecco una signora accovacciata nell'orto a mondare rape. Allarga subito la bocca per mostrare orgogliosa, il suo arco di denti colorati di nero, bellezza assoluta, tra cui ne spicca uno d'oro.

Thai nero
Ride soddisfatta, poi, incroci donne con le gerle sulle spalle che vanno da un campo all'altro, ragazzi che raccolgono pietre dal fiume, torme di bambini che arrivano da scuola con le uniformi uguali anche se un po' malandate. Seduto sul gradino di legno di una casa, un vecchio dai denti spettinati costruisce un paniere di vimini e ti saluta ridendo senza paura di mostrare l'arcipelago della sua bocca. Di tanto in tanto incontri un braccio del torrente a far da barriera. Bisogna attraversarlo con una specie di ponticello costituito da due canne di bamboo, su cui procedere come sulla trave di equilibrio appoggiandosi ad una terza canna che dondola pericolosamente. Per te vecchio bolso panciuto, sarà un'impresa terribile, avanzando a fatica, un piede dopo l'altro con continui pencolamenti e la preoccupante probabilità di precipitare da un momento all'altro a mollo nell'acqua, mentre subito prima di te leggiadre fanciulle, con le gerle cariche di canna da zucchero, lo percorrono quasi di corsa e poi si fermano a ridacchiare dello spettacolo che ti appresti a dare. Ecco due donne robuste che ti vengono incontro, sono sorelle e ti invitano ad andare con loro ridendo, vanno ad una polla poco lontana, dove l'acqua esce da terra caldissima e tutti gli abitanti del villaggio vicino vanno alla fine della giornata a fare il bagno. La nudità non è un problema e questo è un momento di socializzazione collettiva che fa naturalmente parte del modo di vita di questa gente.

La gonna H'mong blu
Fai davvero fatica, quando il sentiero finisce e ricompare l'asfalto e la tua macchina che aspetta, a lasciare la valle. Sali e scendi un piccolo passo ed ecco sul versante successivo, altri gruppi di case più isolati e sparsi. Questi sono H'mog blu. Le gonne larghe e corte, una serie infinita di piegoline a strisce alternate blu, azzurre e nere, sembrano gonfiate dai sottogonna.Davanti un grembiale nero ed un giubbino ricamato all'inverosimile con complicati tratteggi paralleli. La testa coperta da un gran foulard blu o multicolore, acconciato per il largo. Le capanne basse e più povere hanno il pavimento di terra. In un cortile un gruppo di donne fa festa e ti invita a mangiare, poi quando arrivano le ragazzine da scuola è un assedio per essere fotografate, per ridacchiare, per godere della novità. Altre capanne, un'anziana madre con la nuora che ricamano in un cortile, inginocchiate vicino ad una vecchia macchina da cucire, un grasso gatto accoccolato sulle pieghe indaco della gonna. Sorrisi naturali. Si fa tardi e tutti tornano dal lavoro, gruppetti a piedi, qualche motorino. Un gruppo di giovani stanno portando a braccia un amico; si siedono sulle rocce a riposare. Il tizio ha la testa pencolante, è ubriaco fradicio, ride, guarda in tralice e discute con una ragazza che lo segue palesemente furiosa.

H'mong blu
Lei compita con sguardo truce un telefonino, forse legge qualche messaggio che non avrebbe dovuto vedere, perché di colpo si alza e lo scaglia per terra pestandolo, cerca di dare due ombrellate all'ubriaco che ride chioccio senza reagire, poi se ne va furiosa con grandi ancheggiamenti, facendo dondolate la gonfia gonna pieghettata. Mi sa che tutto il mondo è paese. Bisogna andare, avrai camminato tutto il giorno, qualche granchietto di fiume fritto, tofu e costine, per rifocillarti delle fatiche e recuperare le calorie dissipate, poi ancora un alto passo avvolto di nebbia cerulea prima che cali la sera, superando lungo la strada che scende ripida e tutta curve, gruppi di H'mong colorati e di Dzao neri, le donne alte con la fronte rasata per farla apparire più spaziosa ed imponente, grandi orecchini ad anello ed il cappuccio cilindrico nero, che tornano a casa dopo il mercato, con i bimbi dai cappellini pieni di sonagli sulle spalle o le gerle piene. Poi giù a precipizio tra le risaie prima che sia buio. A Mu Cang Chai la signora Don ha già preparato il thè e le stuoie per la notte. Il marito è sotto la palafitta che ci aspetta. Le zanzare cominciano il loro onesto lavoro.

Dzai nera

SURVIVAL KIT

Se siete venuti nel nord Vietnam per visitare le minoranze etniche, la zona tra Mai Chau e Mu Can Chai è una delle meno battute dai turisti, quindi molto interessante per fare trekking e vedere villaggi senza essere pressati né dagli altri turisti, né da abitanti che col turismo hanno deciso di campare. Quindi tutto molto piacevole e naturale. Camminate tranquilli da un villaggio all'altro, saranno gli abitanti stessi a parlare con voi o ad invitarvi in casa. Assicuratevi di avere le batterie cariche e molta memoria libera nelle schede, ne avrete bisogno. I trekking più interessanti e facili, da fare in giornata sono attorno a Tu Lè.

Lungo tutte queste valli potrete vedere H'mong, rossi, blu e fioriti, Thai bianchi e neri, Muong e Dzao neri.

Dal passo di Khau Pha (1500 m) a Mu Can Chai, paesaggi strepitosi, considerando che qui ci sono le risaie terrazzate più belle del Vietnam. Molte le possibilità di homestay presso le famiglie locali, attorno ai 100/150.000 dong a testa per notte.






Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:



2 commenti:

Anonimo ha detto...

bellissima la varietà umana (è una ricchezza).

Enrico, una curiosità, ma perchè hai definito il tuo: Un (finto) blog di viaggi?

antonio

Enrico Bo ha detto...

@Antonio - Perché in realtà, parlo di viaggi (anche se non sempre, adesso c'è il trip per il Vietnam, ma poi passa) ma è una scusa per far passare altri concetti più generali, oppure per raccontare storie e emozioni. Potrebbe però essere anche un finto (finto) blog di viaggio. Dipende insomma. bisogna stare sempre in campana.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!