sabato 5 aprile 2014

Dune





Sono arrivato. Il fiato mozzo, le gambe legnose, ma eccola, finalmente, la cresta della duna bianca, il punto più alto. Qui il taglio è netto come una lama. Da un lato la calda rotondità femminile venata da piccole ondulazioni che la brezza ha segnato nella sabbia, poi la linea precisa, una curva perfetta, il sif come lo chiamano i berberi, confine mobile tra salita e precipizio. Al di là, la caduta quasi verticale e senza traccia dove il vento spinge il polverino leggero che quasi non vedi mentre supera la barriera e cade giù nell'alveo della clessidra di un tempo che non finisce mai. Un quadro astratto di linee tagliate in una tela tridimensionale. Fontana non ha inventato nulla, tutto era già scritto nel bianco abbacinante della natura. Una serie infinita di parabole ed iperboli disegnano l'orizzonte con una scansione decisa tra il candore della terra e l'indaco del cielo senza nuvole. Sei preso dall'emozione, non riesci a scegliere, se rimanere muto di fronte allo spettacolo, appagato, mentre il respiro ridiventa regolare, rallenta sempre di più come si conviene ad un luogo perfetto, idoneo come nessun altro allo spazio meditativo oppure se cercare disperatamente attraverso le lenti dell'obiettivo quale tra i mille scorci possa rappresentale meglio quella ricerca di perfezione astratta. Se riesci a concentrare la tua non attenzione, comprendendo il tutto dell'immagine che ti circonda con il suo non senso grafico, puoi rimanere ore immobile a goderne l'effetto ultimo sulla mente, la fruizione della bellezza assoluta. In questo modo non ti accorgi di nulla, niente può disturbare il momento, non sei infastidito dal vociare di quanti ti circondano, dall'odioso rombo dei quad che distruggono la purezza delle superfici vergini, dalle grida di chi si lascia andare lungo le dune sui tappetini plastici per provare un piccolo brivido, l'ebbrezza della discesa. Il Buddha infonde uno spirito compassionevole che giustifica tutto ed esclude il disturbo. Se vuoi non senti i rumori, il tuo occhio esclude la confusione come un filtro che mantenga solo il disegno essenziale, cancellando le macchie e le impurità.

Il porto di Mui Ne

Chissà come sarebbe se tu fossi solo sul crinale della grande duna bianca, la più alta, la più perfetta ad avvolgere con lo sguardo, quasi una carezza d'amore, quanto ti circonda. Non è dato saperlo, lo puoi solo immaginare. Non puoi pensare che le cose belle vengano trascurate dalla folla; tutti sanno, tutti vogliono goderne, è logico. L'uomo è così una presenza, che per il solo fatto di esistere, inquina tutto, la sua scoria esistenziale corrompe ogni cosa ed ogni ambiente con cui viene a contatto, devi accettarlo, perché anche tu sei parte di tutto questo, non sei essenza pura e incontaminante, devi accettarlo. Godi dunque di quanto riesci ad apprezzare cercando di minimizzare il negativo per quanto è possibile. Il parco delle dune bianche di Mui Ne è davvero una pietra preziosa, a cui arrivi attraverso un crescendo di quadri successivi sempre più accattivanti. Hai percorso una lunga strada sull'oceano, bordato da una spiaggia solitaria di selvaggia bellezza; senza case, baracche, alberghi, resort e presenze umane. Solo palme, battigia e onde lunghe che dall'alto della collina vedi frangersi regolari sulla riva. Qualche capanna di pescatore nascosta nel verde lungo la riva. Hai lasciato lo spettacolo del porto, pieno all'inverosimile di barche e pescherecci, una specie di manciata di zaffiri blu gettati sul un velluto azzurro da un gioielliere mago che vuole stupirti con le cose che possiede. Anche questa è una visione che non riuscirai a dimenticare. Ma subito devi pensare ad altro, perché la strada si addentra tra le colline rosse e compaiono una serie di stagni color lapislazzulo dove le piccole macchie bianche degli aironi punteggiano le rive. Poi il colore cambia d'improvviso e compare l'infinita serie di alte dune candide lontane, circondate ai margini da boschi di eucalipto verde grigio. Più ti addentri e più il biancore diventa abbacinante, le linee si curvano, si tagliano, si spezzano; è la perfezione mutevole dei deserti di tutto il mondo che qui diventa tela immacolata da penetrare e sulla quale lasciare orme di presenza, affermazione del sé prepotente e violatore. Quando te ne devi forzatamente andare, vai controvoglia verso la casetta dove il corpo cerca ristori freschi e capisci di colpo come mai l'auriga della tua auto si era così arrabbiato perché avevi perduto troppo tempo negli stop precedenti. Non era, come avevi ingiustamente pensato, perché temeva di arrivare in ritardo all'ora del tramonto da spendere ad un altro luogo previsto.

Affatto. Lì dove il baretto allevia la sete dolorosa dei viaggiatori attenti più alle necessità del corpo che ai piaceri dello spirito, c'è una vera e propria bisca clandestina, dove tutti gli autisti delle decine di jeep che convergono come le mosche sul miele, mentre il loro carico di turisti scorrazzano come scarabei impazziti sulle dune, si gioca con ferocia  compulsiva i guadagni della giornata. Ecco il nostro, rabbuiatissimo lungo la strada per arrivare, che, sebbene giunto tra gli ultimi, si era fatto largo conquistando un posto da protagonista. Sotto una ciotola quattro pedine, rosse da un lato e nere dall'altro. Si agita un attimo il tutto,  poi  si scatena la furia degli scommettitori che puntano sulle probabilità dei colori sui lati che rimarranno visibili. Il banco tiene i mazzetti di banconote tra alluce e indice del piede destro, tutti gettano altri soldi, fogli da 100, 200, 500.000 dong, mica poco, ad ogni mano entrano in ballo interi stipendi. Poi si solleva la ciotola, Tre neri e un rosso. Qualcuno, disperatamente alza le mani al cielo imprecando alla sfortuna, qualche altro ride felice gettandosi ingordo sulla posta guadagnata, la arraffa e la aggiunge all'altra mazzetta che tiene tra  le mani. I soldi continuano a cambiare di mano, anche se ne rimangono sempre di più in quelle del banco, come in ogni bisca che si rispetti. Il mio autista ha vinto, riesco a strapparlo via che ancora vorrebbe tentare un ultima volta la sorte. Ce ne andiamo, lui allegro e felice, io più tranquillo di poter affrontare l'ultimo tratto di strada con un pilota non inferocito per aver perso tutto il guadagno della giornata. Mi posso godere così il tramonto dalle dune rosse, un altro campo perfetto, proprio vicino alla strada. Anche qui è pieno di gente sparpagliata qua e là, seduta sulle creste dove arrivi sfiatato per accorgerti che ce n'è sempre una più alta e più in là dove varrebbe la pena di arrivare. Quando la palla rossa scende proprio dove si incrociano le curve delle due dune più belle, il rosso vivo della sabbia, si muta in vermiglio, poi in viola sempre più cupo fino al nero della notte che arriva di colpo. Le silhouettes  che disegnavano le irregolarità sui crinali, si muovono e scendono scivolando e riempiendosi le scarpe di sabbia polverosa, ma lasciando dietro di sé un cimitero di rifiuti infinito che turberanno l'umore dei fruitori del tramonto di domani, che nessuno si preoccuperà di pulire così come nessuno si è preoccupato di lasciare. L'uomo è fatto così, barbaro razziatore, se riesce ad arrivare primo prende la sua preda, che sia una gazzella o la bellezza e non ne vuole lasciare a chi arriva dopo di lui. Se non riesce ad ingurgitarla tutta, piuttosto la distrugge.




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2 commenti:

Unknown ha detto...

Malinconico, oggi: uomo tra l'uomo; e la duna, mai illusa, che si aspetta

Enrico Bo ha detto...

@Tent - Il deserto fa melanconia, perde la via, che conduce alla luce. Non mi dispiace.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!