sabato 24 gennaio 2015

La magia di Kakku

Il bosco di Kakku


La guida Pa'o
Tun Tun è un ragazzo di etnia Pa'o che pare un bambino cresciuto troppo in fretta, magro magro e infagottato nei suoi vestiti tradizionali, una blusa e i larghi pantaloni neri, oltre alla fascia arancione attorno alla testa che gli conferisce un'aria un po' irreale, mentre spiega, in un'inglese grammaticalmente irreprensibile, anche se di difficile interpretazione a causa della sua masticata pronuncia tipica delle tribù di queste parti, le caratteristiche dei paesi Pa'o, una specie di enclave, con un ansa di fiume che fa da confine, circondata dagli Shan, molto più numerosi che popolano la regione. Beh lui ha fatto l'università, cosa non facilissima per un ragazzo di paese, non tanto per le tasse che sono di una cinquantina di dollari l'anno, ma per i libri ed i costi di mantenimento che ogni anno possono arrivare anche sugli 800 dollari. Comunque ce l'ha fatta e adesso mette a frutto i suoi studi facendo la guida, cosa sempre più richiesta dato l'aumento del flusso turistico che si prevede importante anche nei prossimi anni. Non bisogna pensare a questa come una zona selvatica o misteriosa, anzi, viaggi tra colline dolci e ben coltivate con una agricoltura puntigliosa ed attenta. I campi sono ordinati ed i gruppi di contadini seguono i diversi appezzamenti con cure attente. Già la mattina presto i villaggi si svuotano e gruppi di ragazze vanno verso i campi con falcetti e zappe a seconda delle attività da svolgere, gli uomini seguono pariglie di zebù di piccola taglia dalle grandi gibbosità nere che camminano spediti ruminando. 

La cucina in una capanna Pa'o
In questa stagione sono quasi tutti nei campi di aglio, per la sarchiatura, attorno alle piantine che si susseguono in file fitte ed ordinate, nella terra grassa marrone scuro, circondate da larghi appezzamenti di sesamo dai fiori giallo vivo e da quelli ancora più grandi delle piante di cheeroot dalle foglie larghe e rotonde, grandi quasi come quelle del tabacco che andranno a sostituire. E' un aglietto piccolo piccolo, ma dal profumo molto intenso, non come quello cinese, grosso e nodoso ma che non sa di niente, come provvede a farmi notare Tun Tun con un sorrisetto birichino. Davvero amati dappertutto questi poveri cinesi, bisogna sottolinearlo, par di sentire qualche salviniano o consimile genia, che parla della Merkel. L'altra coltura preminente nella zona, oltre alla soya è il green pepper, un peperoncino non troppo piccante alla base della cucina Pa'o ed anche di quella Shan. Quando entri in qualche paesetto, dove si incrociano due strade di campagna, lo trovi quasi deserto, qualche vecchia e un po' di bambini in età prescolare che scorrazzano nei cortili, separati da steccati di canne di bambù, richiusi da ingegnosi incastri tra le canne. Le capanne su palafitta, sono piuttosto semplici, anche se piuttosto grandi, residuo della cultura delle long houses monofamiliari che ospitavano gruppi abbastanza numerosi. Comincia pure a vedersene qualcuna in muratura, di certo più solida e confortevole di quelle, pur molto più accattivanti fatte di stuoie, i cui incroci formano disegni complessi. 

Gli stupa di Kakku
Anche queste però, tranne nei villaggi dall'apparenza più povera ed isolata, hanno ormai tetti di lamiera invece che di frasche e cannicciato. L'ambiente principale è una spoglia cucina con una zona centrale delimitata dove si accende il fuoco, qualche scansia con attrezzi e pentole, stuoie tutto attorno dove ci si dispone a mangiare la sera, di giorno invece, si rimane nei campi, ed un altarino con qualche povera offerta ancora visibile. A lato uno camerone comune piuttosto grande; in fondo alcuni spazi separati da tende che garantiscono la privacy alle coppie sposate, in cui si trascorre la notte. Sembra che nella zona comune si rimanga a lungo la sera a chiacchierare, i ragazzi del villaggio vanno nelle case dove ci sono ragazze e lì col tempo si "conoscono" meglio, specialmente quando gli anziani vanno a dormire, comunque dietro le tende adiacenti, dove rimangono i ogni caso vigili al fine di evitare che fuoco e paglia troppo vicini possano scatenare indesiderati incendi. Un paio di signore, oggi sono rimaste a casa a preparare dei biscotti di pasta di soya, prima confezionando delle palline scure che poi vengono battute fino a diventare sottili dischetti che sono infine allineati ordinatamente a seccare su stuoie. E' una attività quasi industriale, tra qualche giorno li porteranno al mercato degli Shan in città. Ridacchiano tra loro dell'interesse che destano negli ennesimi turisti che passano dal villaggio. In fondo sono ancora pochi e possono essere considerati ospiti graditi, anche se non vogliono assaggiare il frutto del loro lavoro, ma c'è ancora molta strada da fare. 

Foto T. Sofi - Kakku
Un'oretta di curve e di colline basse ed in fondo alla valle, prima della serpentina del fiume, arrivi ad un grande bosco di alberi secolari, dai tronchi immensi ed aggrovigliati come corde. I rami si estendono orizzontalmente per uno spazio immenso, occupando un'area talmente grande tra un tronco e l'altro da rendere il bosco chiaro, seppure in ombra. Al di là degli alberi, la meraviglia della regione, il complesso templare di Kakku. Un quadrato quasi perfetto, con un lato di diverse centinaia di metri, su cui sorgono 2478 stupa di ogni forma e dimensione che sorgono attorno al grande tempio centrale che innalza verso il cielo azzurrissimo il suo zedi dorato. Uno spazio magico che ti attira morbosamente come il luogo di qualche fiaba fantasy. Entri in quel mondo solitario salendo un paio di gradini e appena compiuti pochi passi, se lasci il decumano principale, ti perdi nella selva di guglie che superano la tua altezza di parecchi metri, come in un labirinto gigantesco in cui continui ad aggirarti, senza il minimo desiderio di ritrovare l'uscita, ma anzi fermandoti di continuo ad ammirare forme, sculture, bassorilievi che nei secoli si sono accumulate con un accrescimento continuo ed implacabile. La fede o la superstizione, questo dipende dai giudizi personali, hanno contribuito ad accumulare costruzioni successive, si dice per oltre duemila anni. Le strutture appartengono chiaramente a stili e ad epoche diverse. Alcune più antiche mostrano tutta la patina del tempo, con i mattini sottostanti sbrecciati che emergono a dimostrare l'usura di un clima ingeneroso, altri sono più recenti e curati, altri ancora appena ridipinti o restaurati da una pietas religiosa che non conosce sosta e che proviene da ogni parte del mondo buddhista. Così si alternano, biancore abbacinante, pittura dorata, sfumatura di rosa e concrezioni di muffa nera che l'umidità del monsone consegna implacabile ad ogni stagione. 

Foto T. Sofi - Le campanelle degli stupa di Kakku
Pietra, marmi, metallo; le curve dolci dello stile birmano e la spigolatura netta di quello Thai, le bombature ogivali Khmer e le barocche orlature nepalesi e quelle fiammeggianti tibetane, senza tralasciare gli stili locali e regionali. Rimani incantato a guardare, girandoti lentamente intorno per godere delle sagome nette che tagliano l'azzurro macchiato di cirri bianchi e mentre credi che solo il silenzio che ti avvolge sarà capace di stupirti, accade un'altra magia. Da oriente arriva un refolo di vento, leggero e carezzevole e di colpo tutte le migliaia di campanelle appese agli ombrellini dorati di metallo e di pietra, appena impiantati o aggiunte da secoli, cominciano un tintinnio leggero che riempie fisicamente l'aria con andamenti tonali che variano all'aumentare o al diminuire dell'intensità del vento. Forse al termine di questo suono dolce e sommesso compariranno le antiche ninfe del bosco o le Tare misericordiose del pantheon buddhista; se fossimo in India già scorgeresti il giovane Khrishna dalla pelle blu in equilibrio su un piede che suona il suo flauto circondato dalla una corte di Gopi vestite di veli trasparenti. Una favola senza fine che ti lascia immobile ed in attesa che accada qualcosa. Infine da dietro un gruppo di stupa rosati, una figura avanza lentamente, le mani giunte ed il passo incerto. E' una americana dai tratti orientali che arriva quasi saltellando tra i calcinacci a rompere l'incantesimo e con voce sgradevole chiede indicazioni incongrue. Anche Tun Tun sembra infastidito e la spedisce con un cenno della mano. Giriamo attorno al tempio, un gruppetto di contadini in preghiera sono ginocchioni davanti alla statua principale, pregano con un salmodiare sommesso e gentile. E' ora di tornare. Ti duole terribilmente lasciare questo luogo, ma Tun Tun ha già riposto nella bisaccia rossa ricamata il largo cappello dalla tesa rotonda di paglia e bisogna farsi forza e andare.

La selva di stupa


SURVIVAL KIT

Villaggi Pa'o - Sulla strada tra Taunggyi e Kakku, in tutto un paio d'ore lungo valli e basse colline di molto gradevole aspetto, fin dove arriva l'antica ferrovia inglese. C'è la possibilità essendo la guida Pa'o obbligatoria (15.000K tutto il giorno), di fermarsi a visitare i villaggi Pa'o che si incontrano lungo la strada e visitare le case, oltre che ad assistere ai lavori agricoli che si svolgono nel periodo.

Kakku - Impressionante sito templare, di 2476 stupa, alti 6/8 metri, ammucchiati su una piattaforma di circa mezzo km quadrato attorno al tempio centrale, costruiti in tutti gli stili a partire dal III secolo a.C. Ingresso 5000 K. Estremamente suggestivo, spesso solitario in quanto non arriva fin qui moltissima gente. Fuori c'è un ristorante per provare eventualmente la cucina Shan e Pa'o. Da non perdere.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

3 commenti:

Pierangel ha detto...

Grazie è sempre bello viaggiare con le tue descrizioni, sembra di essere assieme a tè.

Anonimo ha detto...

Magnifiques photos et beau texte .je me régale !
Jac.

Enrico Bo ha detto...

@Pier - Grazie a te!

@Jack - Le lieu était magnifique vraiment!!!

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 116 (a seconda dei calcoli) su 250!