martedì 7 settembre 2021

Tramonto a Pian dell'Alpe

Pian dell'Alpe


 Pian dell'Alpe in settembre è luogo iconico dello scorrere della vita. In giro sulle strade ritorte che salgono al colle delle Finestre, non c'è più la folla della piena estate, quella un po' caciarona, che fa chiasso nella stagione in cui ti sembra di potere tutto. Sei al massimo della tua forza, della tua capacità di influenza, del tuo contare nel mondo. Il sole è forte e brucia se ti alzi troppo nel cielo, ma mostra anche la tua vigoria. Non c'è più nemmeno un fiore però, quelli che nella primavera appena passata coloravano tutta la valle, dai primi timidi bucaneve, alle viole che dipingevano tutti i prati di lilla, seguiti poi dai narcisi bianchi e profumati con le loro sfumature di polline giallo, già circondati dalle api golose in cerca di bottino da accumulare. Come all'inizio della tua stagione, tutto ti sembrava possibile ed ogni possibile sfumatura di opportunità ti stava davanti, soltanto da scegliere, ad ogni passo potevi scoprire boccioli nuovi, le pulzatille timide, da cogliere con un gesto, le nemorose delicate da sfiorare appena per non rovinarle con un gesto maldestro. Per cogliere i gigli occorreva invece una primavera più avanzata, almeno ancora un mese di esperienza, di capacità e discernimento. 

Poi le distese di rododendri, che coprivano intere coste di monte, col rosa e vermiglio della consapevolezza della loro molle sensualità. Ma ora tutto è passato, settembre è la fine della stagione piena, il sentiero porta inevitabilmente verso il tramonto che ancora non si mostra nella sua piena ineluttabilità, ma evidenzia di continuo segnali inequivocabili. I costoni della montagna sono ancora verdi, ma appena appena, sotto sotto mostrano già il giallo seccume della mancanza di linfa vitale, dello spegnersi della forza. Gli steli appassiti sono spesso soltanto più stecchi duri e pungenti, isteriliti dalla fine naturale di un ciclo. Gli animali, che ancora sono sul monte, brucano paglie secche, illudendosi di ruminare erba fresca e il latte, il burro hanno perso la fragranza ed il profumo dei fiori. Sta lì la montagna, substrato indifferente che sente scorrere su di  sé le stagioni, che importa a lei se tra poco anche l'ultima ansia di vita fuggirà via e lascerà spazio al gelo invernale, alle dita fredde della tramontana che spazzeranno via quello che a noi è caro, l'odore della vita, per dare spazio al gelo mortale che avvolgerà ogni cosa. 

Corri, corri marmotta grassoccia, a balzelloni che fanno saltellare la tua coda appesantita dal lardo accumulato nei mesi della pacchia, quando fischiavi al vento per segnalare pericoli, per conquistare amori, ora è il momento invece di andare a rintanarti nel più profondo della terra, quasi per sfuggire al destino che ti manterrà in quel sonno profondo, quel limbo di pensiero così simile alla morte, per tanto tanto tempo, forse per sempre. Penserà mai la marmotta, mentre si raggomitola di fronte al letargo che l'aspetta? Avrà a volte la certezza di un risveglio possibile o sperato, tra mesi e mesi di attesa inconsapevole e senza sogni? Ci sarà mai un risveglio vero, una vita nuova dopo la stagione nera della morte? Le nuvole scendono dalla montagna, nere anch'esse come una premonizione maligna e senza scampo. Comunque sia, dite quel che volete, ma la polenta all'Alpe Pintas rimane davvero la migliore della valle, farina semintegrale macinata grossa di pignoletto rosso, annegata in una fonduta di tome d'alpeggio, uno spettacolo senza pari!


Col delle Finestre 2200 m.


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