mercoledì 15 settembre 2021

Eden

 

Menton

Mi sono fatto convinto, direbbe Montalbano, che se c’è mai stato un giardino dell’Eden, o come volete chiamarlo a seconda della vostra religione, che ognuna ha il suo particolare Paradiso terrestre, questo è sicuramente stato ideato in riva al mare. Non c’è ragione che non sia così, date retta a me che ne ho viste tante e tanti di posti bellissimi e accattivanti. Certo la montagna è magnifica, le vette incombono e portano a considerare il sentimento del sublime, d’accordo, ma al mare innanzitutto c’è il mare e questo credo che nessuno lo possa negare, è un assioma lapalissiano e incontestabile. E al mare non puoi stare che bene. Bastano i piedi al contatto con la sabbia, quella pressione delle dita che la penetrano come fosse carne viva, calda e pulsante, il leggero crocchiare che provoca il tuo peso quando il tallone la penetra e la stessa fatica dell’onda che bagna appena la riva, dove vai a mettere il piede affinché sia lambito dolcemente, affinché tu possa sentirne il calore, l’umidore accogliente di quel liquido amniotico da cui arriva la vita di questo pianeta. La carezza del sole sulla pelle e il profumo che ad occhi chiusi senti arrivare da quel piano azzurro in perenne movimento, un odore salso e sapido, di alga viva, di pietra bagnata, di scoglio scolpito dall’impeto della spuma bianca che lo tormenta nell’acme  infinito, mentre si sbrindella in mille schizzi di piacere. 

Il caldo non ti soffoca mai, intanto perché sei pressoché nudo, quasi allo stato di natura, anche se sgradevole alla vista, ma pazienza, in fondo nessuno vede se stesso e la tendenza comunque è a soprassedere, a giustificare, in ogni caso a non essere troppo severi nel giudizio, anche se non ci sono vesti che occultino o camicie che facciano difetto. E se per caso fa troppo caldo, proprio lì a due passi, c’è il più straordinario modo di rinfrescarsi, ogni altro è un succedaneo, un sostituto miserevole e non paragonabile al bagno di mare. Una vasca infinita nella quale crogiolarsi all’infinito e poi ancora. E quando ne sei sazio, se mai arrivi ad esserlo, c’è tutto quello che sta alle spalle della battigia, una terra di latte e miele, da cui vengono brezze di monte, leggere e profumate, sentori di rosmarino e borragine e più avanti odori più forti di lentischi e tamerici selvagge ed aspre (sempre così sono le tamerici, lo dicono almeno i poeti, io non so neanche cosa siano, al pari degli asfodeli dell’altro giorno, ma dai, fa tanto poetico e suona benissimo). Il monte del mare poi, è quasi sempre selvatico e spinoso, la macchia mediterranea impenetrabile e aspra, ma ricca di profumi forti e distintivi che richiama sempre il salmastro dell’ingombrante vicino. 

In questa stagione poi, la folla ha lasciato la spiaggia e stare sulla rena a piedi nudi, quasi da soli (oggi ci saranno state venti persone in un chilometro), solo qualche presenza lontana che prova col piede la temperatura dell’acqua, non ha prezzo. Sarà per questo che per non farti godere troppo, chi pensa all’organizzazione generale ha deciso che da oggi qui sulla côte debbia piovere, cielo grigio e nuvole spesse che non promettono nulla di buono, come dire: non farti troppe idee in fondo sei un travet con la nuvoletta nera che ti segue, non pretendere troppo, soffri in silenzio e vediamo se starai bravo, tra qualche giorno. Anche domani pioverà, stavolta copiosamente, pazienza, tanto siamo già nel paradiso terrestre, perché lamentarsi, al limite come consolazione, c’è sempre la sfilata dei ristoranti sulla passeggiata. E se non mi sentite per qualche giorno non fateci caso, un po’ sarà la pigrizia che mi prende quando mi spiaggio come un otaria, un po’ il roaming che con i suoi costi nascosti mi impedisce di collegarmi.

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