martedì 25 novembre 2025

Seta 57 - Verso nord

I templi di Qaraqoeum - Mongolia - giugno 2025 - (foto T. Sofi)
 

Comunque alla fine si parte, anche se mezzogiorno è passato da un pezzo. La nostra meta dovrebbe essere a circa 550 km di distanza e se la strada è buona, ce la dovremmo fare, anche se il nostro autista continua a farci capire che è impossibile e che dovremmo pensare a soluzioni alternative. Noi speriamo che la barriera linguistica sia il solo problema che non ci consenta di afferrare appieno il messaggio del pilota e facciamo finta di non aver capito, cosa tra l'altro reale. Ad un tratto ecco che molla la strada buona e prende una pista che si infila in una valle verde. Sarà una scorciatoia, pensiamo subito, il fatto è che la velocità passa subito dai quasi 90 km/h a meno di 40 e questo complica decisamente le cose per la tabella di marcia. Il paesaggio, tuttavia, è diventato magnifico, percorriamo valli infinite con pascoli ricchi, costellati di laghetti e stagni di piccole dimensioni. Col sole alto nel cielo appaiono come zaffiri incastonati in un pavimento di smeraldo. Le mandrie si moltiplicano, soprattutto di cavalli che brucano l'erba fresca voluttuosamente, questi sì che sono pascoli che fanno gola. I gruppi di giumente coi puledri nati da poco sono sparsi dappertutto, mentre al margine del gruppo, noti subito uno stallone dalla criniera foltissima e dalla coda nera che caracolla intorno preoccupato più di sorvegliare le sue femmine che di nutrirsi di un'erba così golosa. 

Attraversiamo una zona piuttosto acquitrinosa e, con le zampe nell'acqua ecco due gru grigie che scavano il fondo in cerca di cibo, con i lunghi becchi. Sono le cosiddette demoiselles de Numidie (Grus virgo), che d'inverno migrano fino alla lontana India scavalcando l'Himalaya e che avevamo visto in Rajastan anni fa. Un viaggio quasi impossibile che pure loro compiono ogni anno per sottrarsi ai -30 C° e più, che arrivano implacabili da queste parti. Intanto la valle finisce e faticosamente risaliamo verso un passo, mentre la velocità continua a rallentare. Ecco un'altra valle nella quale scendiamo e percorriamo per un tratto e poi ancora si risale e si ridiscende. Stiamo facendo un su e giù incredibile attraverso una serie di rilievi paralleli che costringono la strada a tortuose curve. Certamente è un ambiente bellissimo, credo che abbiamo percorso un lungo tratto all'interno del parco nazionale della valle dell'Orkhon, ma di chilometri se ne fanno pochissimo, dopo tre ore di giravolte ne avremo fatti meno di un centinaio. Continuiamo a consultare disperatamente tutti i mezzi a nostra disposizione, Maps.me, Google map, che qui inopinatamente funzionano e a noi sembra che stiamo andando da tutt'altra parte di quella prevista, anche lo studio dei punti cardinali dice che ci stiamo muovendo verso est invece che verso nordovest, accidenti, carta canta. 

I tentativi di segnalare la cosa al nostro autista, con continue richieste di spiegazioni, si scontrano con  una serie di grugniti, che non riusciamo ad interpretare in nessun modo. Alla fine la nostra disperata perplessità deve arrendersi e ci lasciamo andare agli eventi. Lasciamo fare a lui quel che deve succedere succederà, non si può fare altro e godiamoci il panorama. Intanto passiamo per una cittadina tra le montagne piuttosto grande, ma fatta come al solito da una distesa di recinti che racchiudono gher e baracche di legno verso il centro, probabilmente un paese dove si raduna la scarna popolazione degli alpeggi vicini durante l'inverno e continuiamo su una strada sempre sterrata, ma di dimensioni più grandi, quasi fosse approntata per un futuro di asfalto. Qui si procede un po' più velocemente e cominciamo ad incrociare altri mezzi sempre con maggiore frequenza. Ad un certo punto cominciamo a costeggiare un evidente progetto di futura strada, rialzata rispetto al nostro livello e con frequenti mezzi di movimento terra al lavoro, addirittura di tanto in tanto riusciamo ad introdurci su questa carreggiata e a percorrere diversi chilometri su quella che è ormai un percorso battuto in attesa di bitumazione. 

Intanto sono quasi le cinque, ma finalmente arriviamo a Bulgan, Una cittadina di almeno 10.000 abitanti a meno di 150 chilometri dal confine con la Russia siberiana, popolata principalmente da Buriati che non amano la vita nelle gher e infatti, qui intorno vedi solo casette di legno dall'aspetto nordico. Finalmente è comparso l'asfalto e la strada diventa buona, forse il nostro autista era a conoscenza che questo era l'itinerario migliore, ma compulsando le carte vediamo con orrore che per arrivare a Mörön ci sono quasi 340 km e almeno altri 100 per arrivare al lago e sono già le 5 del pomeriggio! Non ci resta che abbandonarci agli eventi. Lasciamo velocemente Bulgan alle nostre spalle dopo aver fatto rifornimento e procediamo in un ambiente che diventa sempre più bello e rigoglioso. Qui vedi campi coltivati a cereali e verdure, qualche frutteto, case sparse sulle pendici dei rilievi e cominciano a comparire boschi e vere e proprie foreste di alberi, i primi che vediamo in Mongolia. Siamo ormai oltre i 1500 metri costantemente e la strada sembra risalire ancora. Qui l'ambiente naturale è ormai completamente diverso da quello in cui eravamo questa mattina, Dall'altopiano desertico siamo passati alla taiga siberiana, con una serie di vallate verdissime caratterizzate da un clima continentale specifico, con inverni freddissimi e brevi estati molto piovose che ingrossano i fiumi che scorrono verso a nord verso l'Artico. 

Le foreste diventano sempre più ricche ed estese. Lontane oltre a qualche piccolo villaggio più colorato, si vede anche qualche piccolo tempio dai tetti dorati che brillano in lontananza. Intanto, dopo una giornata di sole, ha cominciato a piovigginare, da un cielo gonfio di nuvole grigie che però all'orizzonte tra cime lontane lasciano passare la colata vermiglia di un tramonto assolutamente fuori dal comune. Gli ultimi raggi passano al disotto degli strati lontani e illuminano la coltre grigia che si incendia, colorando alfine tutto il cielo di viola carico, mentre si aprono le cataratte e comincia a piovere a dirotto. La strada continua a salire e ormai è diventato buio. Il nostro, che guida ininterrottamente da stamattina alle sei, quando è venuto a prelevarci nel deserto, salvo la sosta di un paio d'ore attorno al mezzogiorno, sembra decisamente stanco e quando finalmente arriviamo a Mörön, la città principale del distretto, sono quasi le 11 e bisogna fermarsi, quantomeno per esigenze fisiologiche e trovare un supermercato aperto per prendere qualche cosa da ingurgitare. Ne peschiamo uno ancora illuminato e velocemente ci riforniamo di quanto serve. Per il resto finiamo per usufruire di un vicolo dietro le prime case, tanto è buio pesto e non si vede in giro nessuno. 

Poi bisogna procedere perché al lago mancano ancora 100 km. Il nostro scrolla il testone, mentre noi, spietatamente, lo incitiamo a partire e non vorrei dire, ma mi sembra che stia crollando dal sonno. Stiamo arrivando verso i 2000 metri di quota e la strada verso il lago, se pur di montagna, procede abbastanza rettilinea, anche se il nostro ha decisamente diminuito la velocità. Incrociamo i fari di molte macchine; Il lago Khövsgul Nuur è forse la meta turistica più importante del paese e anche i Mongoli che se lo possono permettere vengono fin qui dalla capitale per godere della sua bellezza, anche se ci vuole un giorno di viaggio per arrivare, quindi sembra che sulle sue rive siano sorti tutta una serie di campeggi e strutture per un turismo bucolico di amanti della natura. Anche noi però crolliamo dal sonno quindi non possiamo neppure mettere in atto qualche modalità per tenere sveglio il pilota che continua a stropicciarsi gli occhi e a scrollare la testa, tanto ha capito che di riffa o di raffa bisogna arrivare fino in fondo e quindi continua a procedere, se pur lentamente, quasi appoggiato al volante. Alfine arriviamo al lago; butto un occhi all'orologio, è ormai la mezza. La cittadina sembra ancora sveglia e sul lungolago c'è anche qualche locale ancora illuminato. Crediamo di essere arrivati e invece no. Infatti bisogna ancora trovare il campeggio, dove dovremmo essere attesi, almeno speriamo. 

Il tipo telefona, poi prende uno stradino sterrato che procede lungo la riva del lago, speriamo bene perché il lago è lungo almeno cento chilometri e non abbiamo idea in quale punto sia la nostra meta, Non ci resta che procedere nel buio fitto della foresta, anche se la strada diventa sempre più malandata e si procede a fatica. I campeggi continuano ad apparire lungo la strada, nascosti tra gli alberi, ma l'insegna col nome che cerchiamo disperatamente non è mai quella giusta. Di tanto in tanto si ritelefona e si riparte, nel buio più fitto, rischiarato solo dai fari del nostro van. Qualche luce lontana alla nostra sinistra dove dovrebbe essere il bordo del lago, occhieggia di tanto in tanto, ma sono tutti falsi allarmi. Qualcuno di noi è già crollato e russa sonoramente, io dormiveglio, per fortuna la necessità della ricerca tiene sveglio chi guida, intanto io ho lasciato ogni speranza, ci siamo irrimediabilmente persi nella taiga come nel film di Dersu Uzala. Finalmente, quando vi dico la verità, non ci si sperava più e si temeva un'altra notte a bordo, ecco l'insegna desiderata, seminascosta tra gli alberi; una fioca lampadina accesa; qualcuno che apre un cancellone che dà l'accesso ad un prato. Ombre nere nella notte ci scaricano i bagagli e ci infiliamo di corsa nei bungalow di legno dai tetti aguzzi, decisamente spartani che ci aspettavano. Il sonno cala benevolo e mi cuce le palpebre immediatamente. Sono le due e tutto va bene, dice la sentinella elettronica.


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lunedì 24 novembre 2025

Seta 56 - L'antica capitale

Le mura di Qaraqorum - Mongolia - giugno 2025 - (foto T. Sofi)
 

Anche la strada ed il paesaggio sono decisamente cambiati, man mano che si procede verso nord infatti, il terreno diventa più ondulato, le colline si alzano ed i pascoli sono più ricchi, il verde più intenso, il bestiame più frequente così come i gruppetti di gher bianche che li punteggiano. Hai subito la sensazione che ci sia più vita in giro e quasi scompare la sensazione di desolata solitudine che dà il deserto, specialmente quando non è fatto di scenografiche dune dorate, ma è una semplice steppa piatta come una pelle spelacchiata e rugosa di un vecchio malandato. Invece questa terra verdissima ti dà un rallegrante senso di vita, anche se la totale mancanza di alberi ne sottolinea la diversità. Sarà che abbiamo risolto un problema, sarà che l'asfalto sotto le gomme, sia pur meno romantico e avventuroso, è tanto più comodo, visto che i chilometri da percorrere sono tantissimi, ma procediamo finalmente allegri e fiduciosi. Il nuovo autista, al contrario di Nyamkaa, parla molto, ma dato che sa esprimersi solo in  mongolo, non capiamo assolutamente nulla di quello che ci dice ed è quindi assolutamente inutile fargli domande o chiedergli spiegazioni sull'itinerario, tanto neppure lui ci sta ad ascoltare. A domanda specifica, annuisce vigorosamente, poi risponde a caso e, per lo meno dalle parole che riusciamo ad afferrare, si riferisce ad altro. 

Così arriviamo finalmente a Kharakhorum, in pratica l'esatto centro del paese. Il luogo ha una grande importanza storica essendo stata la capitale dei Khan fino a quando Kublai Khan (quello di Marco Polo), non trasferì la corte a Cambaliq, l'odierna Pechino. Qui invece è arrivato anche il francescano Giovanni da Pian del Carmine nel 1246 e pochi anni dopo, un frate fiammingo, Guglielmo di Rubruck, ne racconta le mura quadrate ed il palazzo regale, posto al centro, di legno e con cinque maestose navate. Certo che allora la gente ne faceva di strada, massimamente a piedi! Tuttavia quando la stella dell'impero mongolo tramontò ed i Ming fecero fuori la dinastia Yuan, la città fu distrutta nel 1388, ma le mura rimasero, seppure in rovina. Certo che i Cinesi se l'erano legata al naso quella dominazione mongola durata oltre cento e cinquanta anni e non gli era parso vero di riuscire ad invadere proprio le terre dei ferocissimi guerrieri Nu, che li avevano terrorizzati per secoli, con le loro continue invasioni e contro i quali era stata costruita la ciclopica quanto inutile Grande muraglia.  Così la distruzione fu quasi completa e su questa area sorse alla fine del 1500, con  la diffusione del buddismo, il monastero tibetano di Erdene Zuu, utilizzando le pietre della città semidistrutta, all'interno delle mura stesse, arricchite lungo tutto i perimetro quadrato da 108 stupa bianchi, il numero dei grani del rosario tibetano. 

Il luogo divenne così una vera e propria città templare, come le molte sorte in Cina nel periodo dell'espansione tibetana e vide la costruzione all'interno della cerchia, che è di circa 400 metri di lato, di centinaia di edifici e decine di templi, che giunse il suo apice nell'800. Poi nella grande epurazione del 1939, furono uccisi migliaia di monaci e le costruzioni distrutte in massima parte. Pare che addirittura Stalin in una sua visita, impose di conservare il rimanente, che diventò quindi museo prima di essere restituito ai religiosi negli anni '90. Ci arriviamo dopo aver passato di qualche chilometro la vicina città di Harhorin ed effettivamente la cerchia di mura bianche che ti si pone davanti sullo sfondo delle montagne verdi, ha un bell'impatto. Certo, intorno c'è il consueto ambaradàn del turismo orientale, con annesso centro visitatori, locali, ristoranti e banchetti, oltre ai figuranti con le aquile in braccio in posa per le foto a pagamento, ma che ci vogliamo fare, se oggi i viaggi sono diventati di massa e, grazie a questo, tutti se li possono permettere a prezzi accettabili, senza essere esploratori che hanno dedicato la vita a queste cose, bisogna accettarlo, anche se qui si aprirebbe un lungo discorso. Sicuramente arrivare qui dal deserto e trovare tutto questo sito isolato e remoto, magari coperto da un velo di neve, sarebbe una emozione straordinaria. 

Ma altrettanto certamente, se così fosse, non saremmo nelle condizioni di permettercelo e neppure di farlo, viste le ovvie difficoltà che sorgerebbero ad organizzarlo. Dunque contentiamoci di spartire l'emozione con i gruppi di Cinesi e Coreani che si bardano da antichi mongoli, con pellicce e cimieri variopinti, in posa per le foto di rito e percorrono gli spazi interni della cittadella con passo marziale, da conquistatori, brandendo sciaboloni e mazze ferrate. In effetti entrare dalla grande porta rimane comunque una esperienza emozionante. In fondo stai percorrendo la strada calcata da Temucin quando si avviava alla conquista del mondo, in groppa al suo cavallo, seguito da un'orda di guerrieri invincibili, bardati da corazze fatte di strati accoppiati di seta, che risultando impenetrabili alle frecce, li facevano credere immortali, visto che, se colpiti, cadevano di sella e prontamente ci risalivano. La resistenza di questo materiale è infatti davvero incredibile e forse non sapete che l'imbottitura dei moderni giubbotti antiproiettile è fatta con lo stesso materiale, ricavato dai bozzoli fallati, distesi e messi uno sull'altro a formare uno spessore leggero ma resistentissimo. 

Li vidi produrre in una fabbrica di Su Zhou, qualche anno addietro e non credevo ai miei occhi, ma questa è una tradizione inventata 800 anni fa e che ancora funziona oggi. Ma noi continuiamo la nostra passeggiata all'interno della cerchia delle mura, passando da un tempio all'all'altro, quelli rimasti naturalmente. Qualcuno è stato trasformato in museo ed espone una bellissima serie di tankhe ottocentesche ed anche più antiche, oltre a molti oggetti devozionali del buddismo tantrico. Nel tempio centrale, la statua del Buddha del presente è una delle più belle e ricche che potrete ammirare in Mongolia. Ovviamente l'atmosfera non è particolarmente raccolta, visto il molto pubblico che si aggira nelle sale, ma basta uscire nel vasto spazio interno della cote, che ricordo è di 16 ettari od oltrepassare la porta posteriore della città, per allontanarsi di un poco nei prati circostanti. perché la massa scompaia a poco a poco e la sfilata degli stupa bianchissimi, forse sono stati ridipinti di recente, che spiccano sullo sfondo verde smeraldo che li circonda, è davvero impagabile. Le punte aguzze spiccano contro le alture lontane, le nubi bianche sul cielo indaco, ricordano gli sfondi degli affreschi delle pareti dei templi. 

Ma la devi prendere con calma, perché comunque siamo a 1500 metri e l'affanno che senti se cammini troppo in fretta, non è l'emozione, ma l'altitudine. Bandierine colorate, qualche monaco salmodiante raccolto in preghiera, pinnacoli dalla punta dorata, occhi di Buddha che ti osservano, qui senti chiaramente di essere in una terra dai sentori tibetani e comprendi il legame forte che ormai c'è tra Mongolia e Tibet, al di là di una parentesi sovietica che non è certo riuscita ad intaccare questa tradizione secolare. Bisogna considerare che gli aspetti e le tradizioni religiose, hanno comunque quasi sempre una prevalenza culturale sulla storia di un paese e dei popoli che lo abitano. Noi intanto, mangiamo qualche cosa ai banchetti considerando che siamo andando avanti a biscotti da ieri mattina e continuare a filosofeggiare non riempie le pance che cominciano a brontolare e poi è ora di andare, anche perché sono le 11 passate e siamo quindi in ritardo di oltre mezza giornata, considerato per questa sera bisognerebbe arrivare al lago di Hovsgoi Nuur, l'altra meraviglia naturalistica mongola, all'estremo confine nord con la Siberia. Quando cerchiamo di farlo capire all'autista, si mette a ridere, anche se noi non ne capiamo il motivo. Almeno per adesso.

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sabato 22 novembre 2025

Seta 55 - Persi nel deserto

Nel deserto - Mongolia - giugno 2025 - (foto T. Sofi)

 

Beh, che dire, bucare una gomma non è poi tutta questa tragedia, se non la perdita di una mezz'oretta di tempo ed in un luogo dove, come abbiamo già visto il tempo non ha valore assoluto, si può tranquillamente accettare senza disperarsi, tanto più che ci pensa Niamkaa a cambiarsela. Certo che prendere un chiodo, come risulterà poi dall'attento esame dello pneumatico,  in una steppa fatta di terra sabbiosa. è una bella sfiga, non c'è che dire,. ma capita, certo, direte voi, intanto il fulmine non casca mai due volte nello stesso posto e questo già tranquillizza visto che abbiamo ancora diverse ore di strada da fare. E, come mi permetto di puntualizzare io fin dall'inizio del giro, questi van (l'ho notato anche negli altri che abbiamo incrociato nei giorni scorsi), non ritengono assolutamente necessario dotarsi di una seconda gomma di scorta. Va bene. Terminata l'operazione e ricaricati i bagagli che erano stati sparsi all'intorno, dopo aver attentamente controllato di non avere lasciato niente a terra, risaliamo sul mezzo e partiamo serenamente visto che i chilometri sono ancora molti. La strada riprende diritta attraverso il nulla della piana erbosa. 

Queste piste nella steppa hanno la caratteristica di non essere tracce uniche, come noto vedendo frequentemente biforcazioni e ricongiungimenti delle carreggiate che si susseguono lungo il percorso, magari createsi, per aggirare ostacoli che si formano di volta in volta come pozze fangose che si allargano a dismisura dopo le piogge primaverili, qui abbastanza frequenti, quindi diciamo che ogni autista sceglie di volta in volta un suo percorso seguendo quelle che gli sembrano più efficienti e facilmente transitabili, visto che tutte più o meno vanno nella stessa direzione, anche se corrono parallele, pur se distanti tra di loro a volte di diversi chilometri. Ma qui non solo il tempo, ma anche lo spazio evidentemente è poca cosa e non si sta a misurare. Comunque sia, dopo una mezzoretta, eccola lì, un rumore diverso arriva dal rotolamento delle ruote. Abbiamo bucato di nuovo. E figuriamoci se non capitava. E mo'? Niamkaa salta giù con lo sguardo accigliato, poi tira fuori tutto quello che ha e comincia a guardarsi intorno. Noi non abbiamo neanche la forza di interrogarci su quale potrà essere la soluzione del problema. Intanto appare subito evidente che il nostro, non ha neppure un kit per aggiustare in qualche modo lo pneumatico o qualche cosa di simile. 

Dopo una mezz'oretta arriva un pastore in  moto. Deve essere il proprietario di quelle gher che abbiamo incrociato un paio di chilometri fa, da dove era uscita una donna rotonda e rubizza, che ci aveva fatto grandi saluti, ma dove non ci eravamo fermati e neppure scesi dall'auto dopo aver visto tre grossi cani che ci erano venuti incontro con la coda bassa e le orecchie penzoloni, che facevano i finti tonti arrotando i denti aguzzi tra le mascelle. Anche lui si ferma a guardare, scambia qualche parola e poi riparte verso il nulla. Non è chiaro cosa abbiano confabulato i due, ma staremo a vedere. Intanto si predispone il crick sotto l'auto per cominciare i lavori. Sinceramente mi sembra un attrezzo inadatto al peso di questa auto e anche un po' malandato come del resto tutto il resto. Infatti il van ha il portellone posteriore che non sta su da solo, obbligando ad avere uno che lo sorregga mentre si carica o si scarica, poi uno dei due portelloni laterali si è subito incastrato dopo la partenza ed il trattamento, diciamo impetuoso a cui è stato sottoposto per sistemarlo, lo ha bloccato definitivamente. Insomma un mezzo rudere, che però da queste parti, viene valutato in piena efficienza, come ci aveva confermato, la responsabile dell'agenzia di Ulan Baator, quasi infastidita dalle nostre rimostranze. 

Infatti mentre operiamo tutti insieme per sollevare il mezzo, il crick comincia a piegarsi in uno dei braccetti del pantografo e alla fine si spezza, rifacendo crollare il van nell'avvallamento, ma soprattutto facendo correre il rischio al nostro autista di rompersi qualcosa. Ci mancava pure questa. Mentre ci aggiriamo attorno all'auto in cerca di soluzioni, dopo un po' passa un'altra macchina; questo è un bel Mongolo bardato con una pesante mantella e con la moglie che sta tornando da qualche mercato perché ha tutto il cassone del pick-up pieno di masserizie. Subito si ferma, qua sembra sia quasi un obbligo quello di prestare aiuto a chi è fermo in difficoltà lungo la strada; esamina anche lui la situazione, poi tira giù dal suo mezzo tutta una serie di materiali che dovrebbero essere utili alla bisogna. In effetti il tizio è attrezzato e dispone delle cose giuste. Un crick come si deve, che ci consente di smontare la ruota; un piccolo compressore per rigonfiarla e soprattutto un kit di emergenza che una volta trovato il buco, guarda combinazione un altro bel chiodo, ma da dove saltano fuori tutti questi chiodi nella steppa, consente di riempirlo con una particolare soluzione che infila nella fessura del materiale che si rapprende e dovrebbe consentire di riprendere il cammino. 

Completata l'operazione e rigonfiato pneumatico che sembra reggere, ringraziamo sentitamente il santo che ci è venuto in aiuto e ci apprestiamo a ripartire. Ma ecco che la nuvola nera si appresta a colpire ancora. Il fulmine già caduto due volte, ricasca su di noi per la terza e definitiva. Infatti girata la chiavetta di avviamento, il motore rimane muto ed immobile. Il  mezzo non riparte in nessun modo. L'ulteriore guasto è evidentemente ancora più grave. L'avviamento è morto e sepolto e a nulla vale alzare il cofano e guardarci dentro con l'aria di caprici qualche cosa, Siamo fermi in mezzo al deserto in maniera definitiva. Il tizio delle gomme è ripartito dato che non averbbe potuto fare più nulla, dopo aver tentato anche di riavviare il nostro motore, visto che era dotato anche di una grande batteria di emergenza e relativi cavi e, tanto per gradire, qui siamo in una zona dove i telefoni non prendono per chilometri e se no accidenti, che deserto sarebbe! Niamkaa si sposta a piedi all'intorno salendo su ogni collinetta che sembra sollevarsi un poco nella piana, per cercare un po' di campo, ma niente da fare. Intanto arriva un altro van pieno di Coreani che vanno nella nostra stessa direzione e vengono incaricati non appena arriveranno a destinazione, che dista una cinquantina di chilometri, circa un'oretta di strada, di avvisare qualcuno che venga a tirarci fuori d'impiccio.

Il nostro invece, salito sulla moto del pastore che intanto è ritornato a curiosare, visto che siamo diventati un diversivo per la sua noiosa giornata, si sposta qua e là in cerca di campo. Il tempo, sarà pure che non conta nulla, intanto passa e le ombre della sera cominciano a calare. Nyamkaa sembra che sia riuscito a contattare l'Agenzia, che ha promesso di mandare qualcuno a salvamento, ma non si sa quando arriverà, visto non è neppure ben chiaro dove ci troviamo e come vi ho detto le piste sono molte e distanti tra di  loro. A questo punto non rimane che aspettare, mentre il cielo si incendia di rosso fuoco. Sarebbe un tramonto epocale, con striature che vanno dal rosso vivo al viola, da godersi con calma e soddisfazione se non fosse che essere persi in mezzo a quello che è a tutti gli effetti un deserto, dà una sensazione assolutamente strana. Intanto, basta mettersi a qualche passo dai tuoi compagni, ormai nessuno più dice una parola, e avverti subito il silenzio assoluto che ti circonda, e mentre questo è carezzevole beneficio quando sei andato cercandolo e lo hai  trovato a fatica, quando sei in una qualche difficoltà, è assolutamente inquietante. Sul terreno corrono lucertoloni strani, molto grandi, anomali si potrebbe dire, lontana la sagoma di una volpe o qualche cosa di simile, scompare subito oltre la cresta della collinetta. Sei alla fine solo e lontano da tutto, oltre ad avvertire l'assoluta impossibilità di fare qualche cosa per trarti d'impiccio. 

La temperatura comincia a calare, tiriamo fuori le giacche a vento pesanti e alla fine cala la notte. Non dico certo che il lupo cominci ad ululare dietro la colina, ma la situazione non è piacevole. Adesso è buio completo; purtroppo anche il cielo si è completamente coperto, per cui neppure questa volta e avremo almeno la consolazione di vedere quella stellata assoluta che ci meritavamo, con il grande fiume di luce della via lattea che attraversa il velluto nero della notte. Ci ammucchiamo all'interno del van, cercando di stenderci alla meglio per dormicchiare un po', ma per chi è sullo strapuntino, non c'è neppure la possibilità di appoggiare la testa. Da quando se ne è andato il pastore, non è passato più nessuno, d'altra parte, se no che cavolo di deserto sarebbe. Verso le tre Nyamkaa si riscuote e scende dall'auto, evidentemente pensa che possa arrivare qualcuno e si aggira in qua ed in là sventagliando nel buio la torcia del telefonino accesa (non dispone neppure di una torcia vera), come per segnalare a chi dovesse arrivare, la nostra presenza. Lo seguiamo sbracciandoci a nostra volta con i nostri telefonini, Sembriamo un gruppo di oche impazzite e inseguite dalla volpe, che si affannano a fare gesti a vanvera nel buio. In effetti non arriva nessuno. 

Le ore trascorrono lentissime, ad est comincia ad apparire un chiarore leggero, una sfumatura di arancio; sta arrivando un'alba livida come il nostro stato d'animo. Scendiamo per l'ennesima volta facendo scrocchiare dolorosamente le nostre giunture di anziani artrotici. Nyamkaa intanto ci fa capire che sa di quale pezzo ci ha tradito e che, essendo assolutamente conscio che stava per mollarci definitivamente, aveva concordato di cambiarlo in una officina di un suo conoscente, proprio nel paese dove avremmo dovuto arrivare. Peccato che abbia ceduto prima, ma noi non abbiamo neppure più la forza di maledirlo, mentre camminiamo all'ultimo orizzonte per espletare quantomeno i bisogni fisiologici e le tossine accumulate da quando il nervoso si è mutato in disperata rassegnazione. Il pastore in moto intanto aveva continuato ad andare e venire per tutta la notte, tanto per vedere cosa succedeva, inutile presenza, ma intanto ci ha fatto sentire meno soli. Verso le 7 ormai è chiaro ed il nuovo giorno si manifesta, anche se la temperatura è ancora fredda. Ci rassettiamo alla meglio, mentre Gianluca fa una corsetta intorno per riscaldarsi e anche per controllare che l'assenza del campo, non sia miracolosamente comparsa. 

Nyamkaa continua a non dire niente e il suo viso impenetrabile e segnato dalle rughe profonde che gli inverni hanno scavato nella sua fronte, non consente di farci intendere come sarà risolta la sua situazione, d'altra parte ieri era venuto fuori che lui è un campione di lotta mongola, che si è distinto in parecchi tornei a livello nazionale e questo è dimostrato dalla forte muscolatura che ha messo in risalto quando si è liberato del camiciotto, quindi non si può neppure pensare di mettergli le mani addosso, tanto per sfogarsi. Sono quasi le otto quando un van appare lontanissimo all'orizzonte. Sta percorrendo la nostra pista e viene verso di noi. Dopo poco ci raggiunge e si ferma. E' il mezzo che quella stordita della agenzia, ha incaricato di venirci a recuperare ieri sera, così almeno aveva detto. Alle nostre richieste di spiegazioni accampa una serie di scuse dicendo di essere venuto verso mezzanotte, ma di non averci trovato e quindi di aver rimandato l'operazione a questa mattina col chiaro. Non abbiamo neppure la forza di protestare e lasciamo perdere, traslochiamo i bagagli e ripartiamo abbandonando il povero Nyamkaa al suo destino. Abbiamo saputo poi che ha aspettato due giorni l'arrivo del pezzo che gli serviva, non è chiaro se la dinamo o qualche altra cosa riguardante l'avviamento, ma sembra che si tratti di cose del tutto normali in Mongolia. Noi intanto proseguiamo la strada e arriviamo finalmente al paesino di cui avevamo notizia e qui la strada ritorna asfaltata e in un'altra ora e circa cento chilometri arriviamo alla antica capitale di Gengis Khan, Kharakhorum!


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