giovedì 27 novembre 2025

Seta 60 - A Ulan Bator

La piazza centrale - Ulan Bator - Mongolia - giugno 2025 (foto T. Sofi)

Leggevo in un libro di viaggi: - Lo sguardo cerca punti di riferimento sul terreno. Non una strada, una pista, un sentiero, un fabbricato, una casa, tutto sembra vuoto: colline brulle, ondulazioni sinuose, corrugamenti appena accentuati, poi d'improvviso è un fiume scintillante, una strada dritta, un susseguirsi di edifici. È Ulan Bator la capitale -. Direi che non potrei descrivere meglio la sensazione che si ha, arrivando in questa grande città, che vi ricordo, ospita la metà della popolazione di un paese dalle dimensioni immense e già questa è una caratteristica così peculiare da rappresentarne la stranezza. Per la verità Ulan Bator è costituita da un nucleo centrale abbastanza piccolo, eretto in stile prettamente sovietico, una serie di abitati all'intorno piuttosto primitivi e malandati, ad esclusone di alcuni quartieri nuovissimi e poi da una sconfinata periferia fatta soprattutto di baracche e di gher, nella quale si ammucchiano tutti gli inurbati che, attirati dalla sua modernità, soluzione abbastanza semplice ed alla portata di ogni pastore che si rispetti, mal che vada si può sempre smontare tutto e tornare ai pascoli montani. Pensano di venire qui in cerca di opportunità e di una vita migliore da quella dei nomadi delle steppe. Ovviamente questa è una città di grandi contrasti tra cui si annovererebbe una popolazione di almeno 30.000 homeless che vivono sottoterra negli impianti fognari. 

Per il resto è una città che cerca di trovare il suo spazio nel mondo moderno, attraversata dalla ferrovia transmongolica che va diritta da nord a sud, dalla russa Ulan Udé, dove si congiunge con la Transiberiana, della quale costituisce uno dei rami meridionali e dall'altra arriva al confine cinese a Erenhot, la città dalla quale siamo entrati noi nel paese. Non si può certamente definire come una bella capitale, visto che è costituita per lo più da edifici anonimi dell'ultimo secolo e sappiamo che l'architettura sovietica non è certo nota per la sua grazia, tuttavia c'è sicuramente qualche interessante punto da visitare ed in ogni caso è sempre il luogo che definisce l'attuale anima e l'identità della Mongolia moderna. Non è una città molto antica, infatti la capitale è stata spostata diverse volte prima di stabilirsi in questo punto centrale del paese e ha cambiato diverse volte il nome, da Örgöö all'inizio del 1700, poi Ikh Kuree successivamente. Divenne poi nota fino al 1924 come Urga o Kuren. Infine appena fu nominata come nuova capitale della Repubblica Popolare creatasi dopo la rivoluzione, assunse il nome di Ulaan Baatar, cioè Eroe rosso, epiteto con cui veniva identificato il generale rivoluzionario  Damdin Sùchbaatar, morto qualche anno prima in circostanze misteriose e la cui statua fa bella mostra di sé nella piazza centrale della città, dove stava vicino alla statua di Lenin abbattuta prontamente alla caduta dell'Impero Sovietico. 

Ovviamente venendo in Mongolia non si può prescindere dal passare qui, vuoi perché in ogni caso è questo il centro pulsante del paese, e poi perché qui c'è l'aeroporto  internazionale per tornartene a casa. Un'altra caratteristica della città è che si tratta della capitale con la più bassa temperatura media dell'anno, -1,3°C, con minime medie a gennaio di -25°C e di +20°C nelle brevi estati, anche se è stata raggiunta una minima di -49°C e una massima di 38,6°C. Quindi il terreno è costituito da un permafrost ghiacciato già a piccola profondità, cosa che provoca grossi problemi statici nelle costruzioni dei moderni edifici di grandi dimensioni. Diciamo che solo le gher appunto, possono essere erette tranquillamente. Noi usciamo abbastanza presto, ma ci accorgiamo subito che qui la gente si sveglia tardi e di conseguenza tardi aprono i negozi. Riusciamo a fare una specie di colazione in un CU, catena coreana tipo 7eleven,  aperta 24 ore, qui la presenza dei Coreani è molto forte, poi andiamo a vedere il grande monastero di Gandan detto anche della Felicità perfetta. Al gruppo di templi, circondato da un muro, si accede traversando un quartiere di casupole modeste, fuori dal centro. All'interno si aggirano parecchi monaci, sembra che ne ospiti circa 400, ma anche diversi gruppetti di turisti, soprattutto Coreani, come ho detto. 

Gli edifici in classico stile tibetano, sono in massima parte templi dedicati ai diversi aspetti del buddismo tantrico. Uno è stato trasformato in una specie di museo che contiene molti oggetti antichi, bellissime tankhe e la biblioteca. Qui c'è un anziano monaco, sembra molto soddisfatto della nostra visita e ci accompagna nel giro, tentando di spiegarci qualcosa, ma in tibetano stretto o mongolo, che a questo punto per noi è un po' la stessa cosa. Davanti ad un altare c'è un certo numero delle classiche sciarpe di garzina bianca di benvenuto, che la Lina mostra di apprezzare e allora il monaco ne prende subito  una e gliela mette al collo con un grande sorriso. Usciamo più sereni di quando siamo entrati, forse essendo stati anche benedetti, che male non fa e passiamo al grande edificio bianco che racchiude la famosa statua dell'Avalokiteshvara, detta in mongolo Megjid Jianraiseg, il dio che guarda ovunque, uno statuone alto quasi trenta metri che occupa tutti i tre piani del tempio, di rame e acciaio, ricoperta di fregi di oro e di argento e almeno 2000 pietre preziose, ricostruita una trentina di anni fa e consacrata dal Dalai Lama in persona, per rimpiazzare quella portata via dai sovietici nel '37. Si dice che all'interno della statua siano racchiuse preziosissime reliquie e centinaia di libri sacri, cosa he aumenta notevolmente il potere apotropaico della statua stessa.

La squadra dei lottatori

Giro in senso orario attorno alla statua e rimango a lungo ad ammirare le meravigliose tankhe appese ai muri laterali. Bisogna dire che l'interno dei templi di religione buddista tibetana sono sempre straordinari per il rutilare dei colori, delle stoffe, dei dipinti e delle statue che li riempiono con una sorta di horror vacui che non lascia spazi liberi. Anche gli altari sono pieni di offerte di fiori e di frutta, nonché dalle tante sculture di burro colorate. Mentre ammiro tutto questo, ecco che entra un gruppo di colossi dalla muscolatura imponente. Dai loghi e dalle scritte delle magliette si indovina che si tratta della squadra nazionale coreana di lotta mongola, che è qui evidentemente per un importante campionato continentale. E' seguita dai fan e dalle telecamere di una stazione televisiva coreana che sta girando un documentario. I campioni rendono omaggio alla statua alla quale fanno devozioni evidentemente scaramantiche in vista delle gare e vengono filmati abbondantemente nei loro atti di preghiera. Ovviamente mi intrufolo e vado subito ad omaggiare il campione assoluto che mi viene indicato da un suo fan che lo sta a guardare con occhi adoranti. Mi complimento con lui, ma sono immediatamente adocchiato dalla Tv, e vengo quindi intervistato come ghiotta preda occidentale. 

Come è giusto mi spaccio per grande appassionato di questo sport, di cui mi sono ignote anche le più semplici regole, ma faccio i migliori auguri al campione ed a tutta la squadra, che mi saluta all'unisono con grande calore. Probabilmente non  capita tutti i giorni di avere un grande fan italiano che li segue. Poi ci aggiriamo un po' fuori nel grande giardino all'inseguimento di monaci che vanno alle varie sedute di meditazione, alcune delle quali si svolgono in un tempietto un po' separato, dedicato al guerriero Ghesar Khrom, dove si possono comprare anche benedizioni o erbe miracolose. Magari non lo sapete, ma il suddetto re guerriero, figura mitica del Bhutan e interprete del loro poema epico nazionale, non rappresenta altro che una storpiatura del nome di Cesare di Roma, ritenuto evidentemente il più grande condottiero  mai esistito e la cui fama era giunta fino alle più remote vallate himalayane attorno al V secolo. Per chi fosse curioso, vi do una chicca, infatti una tankha dedicata a questo personaggio divinizzato, è conservata anche al MAO di Torino, dove potrete ammirarla nella sala dedicata all'arte tibetana. Strani incontri si fanno girando per il mondo, non è vero? Usciamo di lì sazi di dedizione religiosa e ci dirigiamo verso i centro attraverso un quartiere piuttosto vivace con case zariste e sovietiche rimesse a posto, molte delle quali ospitano bei locali moderni all'occidentale. 

Nella piazza principale si aggirano gruppetti di turisti, molti dei quali locali, almeno dall'apparenza, tutti bardati in vesti tradizionali, i pesanti cappottoni mongoli con le bordure di pelliccia ed i cappelli adeguati coi pennacchi, donne comprese, che si fotografano l'un l'altro per l'occasione davanti al parlamento e alla grande statua di Gengis Khan seduto sul trono che domina la immensa scalinata anteriore, che con uno sguardo pacioso ricorda a tutti di essere stato il più grande di tutti. In fondo alla piazza, oltre il giardino campeggia il grande monumento equestre dedicato proprio a Damdin Sùchbaatar, che ha dato il nome alla città. La sua posizione, davanti al cosiddetto grattacielo a lenticchia, una iconica costruzione piuttosto recente che vuole inserire la città a pieno titolo nel novero delle più avanzate architetture, è davvero scenica e tutti la vogliono fotografare. Appena dopo le porte di legno rosse del tempio di Choijin Lama, dietro alle quali si indovinano gli incastri dei tetti di maiolica verde in stile cinese delle costruzioni. Purtroppo è chiuso e non riusciamo ad accedere, ma alla fine il colpo d'occhio migliore pare essere appunto quello dall'esterno. Oggi è stato trasformato in museo e i cinque templi paio ricchi di opere d'arte soprattutto religiosa. Ma bisogna procedere veloci perché la giornata è ancora lunga e avendo solamente un giorno da trascorrere nella capitale, bisogna darsi una mossa. 

    


SURVIVAL KIT

Ulan Bator - La capitale del paese con circa 1,5 mln di abitanti, in continua crescita, a circa 1400 m di altitudine, con un clima estremo. Vivace e culturalmente interessante, sta sviluppandosi tumultuosamente. Traffico assolutamente convulso per cui nei trasferimenti potreste occupare molto più tempo del previsto. Da vedere: La piazza centrale con la statua di Gengis Khan davanti al Parlamento e dell'eroe nazionale a cavallo che dà il nome alla città. Sempre nella piazza Suhbaatar il Museo Nazionale di storia, il Museo Naturale e il Teatro dell'opera. Dietro la piazza si può vedere il cosiddetto grattacielo a lenticchia dalla forma particolare. Rimane il Tempio Choijin Lama, un centinaio di metri dietro la piazza e più lontano da raggiungere in taxi, il Palazzo del Bogd Khan, un personaggio singolare che governò il paese ad inizio '900 e morì nel 1921 tra stravizi, alcolismo e scandali sessuali, ma raccolse in questo palazzo una ricchissima serie di oggetti e rarità che ne fanno oggi un importante museo da visitare assolutamente.. Abbiamo poi il Memoriale Zaijan, sulla collina da cui si ha una vista completa della città e a cui si accede con una teleferica ed eventualmente lo stadio dello sport dove si svolge il festival del Naamdan e gli incontri di lotta, le gare di ippica e di tiro con l'arco, i tre sport nazionali e che si svolge nel mese di luglio. Per chi vuole approfondire c'è anche la cattedrale cattolica di  San Pietro e Paolo e quella Ortodossa  della Trinità, oltre a qualche altro tempio buddista fuori città. 


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mercoledì 26 novembre 2025

Seta 59 - Verso la capitale

Bambini Tsaatan - Mongolia - giugno 2025
 

Come più volte ho avuto modo di raccontarvi il concetto di privacy in Mongolia è decisamente più lasco che da noi. Qui la vita è probabilmente più comunitaria rispetto alla nostra, lo stare insieme e la convivenza priva di inibizioni è forse anche una necessità in un luogo che ha così grandi difficoltà pratiche di vita. Così penso bisogna abituarsi in questi villaggi, anche alle improvvise visite notturne per necessità pratiche, che vengono vissute senza affanni e senza alcun imbarazzo. Ecco quindi che nel cuore della notte o forse saranno state le cinque di mattina, la ragazzina di ieri entra nella nostra camera e ravviva la stufa con altra legna, cosa che alla fine non è niente affatto sgradita, anzi, il gradevole tepore che si diffonde nella baita, ti farebbe stare serenamente a dormicchiare ancora sotto le coperte, rimandando al massimo il momento di andare fuori al gelo a tentare di darsi una lavata veloce al rubinetto senza acqua. Non fosse che oggi sarà un'altra giornata durissima e bisognerebbe alzarsi il più presto possibile, sarebbe bello rimanere al calduccio ancora un po', sperando nell'uscita di quel raggio di sole che intanto non verrà mai. Tanto alla fine la colazione non verrà servita che alle 7:30, ce la porteranno i soliti bambini, che arrivano addirittura in gruppo, ansiosi evidentemente di dare un'altra occhiata da vicino ai nasi lunghi prima che se ne vadano. 

Abbiamo già fatto una attenta verifica con Google map e oggi ci aspettano quasi 900 km per arrivare alla capitale, una bella zuppa, anche se la strada dovrebbe essere tutta asfaltata e gli ultimi 200 km addirittura di una specie di autostrada. Alla fine riusciamo a metterci in marcia solo alle 8:30. La ventina di chilometri che scorrono sul lungolago, fatti di giorno sono decisamente un'altra cosa, tutti in mezzo alla foresta di larici e di pini che ricopre la riva e che non si può negare, ha una sua selvatica bellezza. Siamo davvero fuori del mondo e della civiltà come la intendiamo noi. Il senso di solitudine profonda di questi luoghi ha un suo indubitabile fascino, soprattutto se ti rendi conto che tu poi, tra poco te ne tornerai nella civiltà, lasciando altri a sopravvivere qui, mentre arriverà la prima neve, le temperature a poco a poco scenderanno e il vento del nord comincerà a spazzare la superficie del lago ghiacciato. Un mondo di certo favolistico nel racconto, ma credo terribilmente duro da vivere nella pratica di tutti giorni, con difficoltà, forse oggi leggermente alleviate, anche grazie al contributo recente del vituperato per altri motivi, turismo, veramente dure da sopportare. 

I turisti a poco a poco scompariranno e rimarrà solo il riunirsi delle famiglie attorno alle stufe roventi dentro le gher a raccontare antiche leggende di guerrieri coraggiosi e principesse bellissime. Credo però che, oggigiorno, i discorsi saranno anche incentrati sulle possibilità ed i desideri di andarsene definitivamente nella capitale lontana, forse favoleggiata per le sue attrattive moderne e luccicanti. Bisogna vedere le cose in modo pratico e non si può pensare che la conoscenza di quello che c'è e in fondo non troppo lontano da qui, non funga da faro attrattivo irresistibile per molti. Inutile farsi contaminare da ideologie neonaturiste, alla fin fine, le comodità se le è inventate l'uomo per stare meglio, perché al calduccio si vive più comodi che se devi andare a spaccare la legna nel bosco mentre ti si congelano le dita e se devi macellare la renna con un coltellaccio invece di andare a mangiarti l'hamburger al McDonald con una bella birra fresca. Prova e poi me lo dici, ti direbbe il rubizzo uomo della taiga, con tanto di sberleffo. Il resto son chiacchere da bar o da impiegato della posta frustrato dalla timbrature, che vuole solamente scappare dalle cazziate del capufficio, ma che dopo una settimana nel bosco, con una canna in mano senza aver pescato niente, vorrebbe solo buttarsi giù nel burrone, ve lo posso garantire. 

La vita estrema è meravigliosa da guardare in un film, magari sdraiati sul divano con un bicchiere di brandy in mano e un quadretto di cioccolata amara da sgranocchiare, nelle sere di inverno con un plaid scozzese sulle gambe, datemi retta. Comunque ridendo e scherzando, solo a rifare il percorso sullo sterrato ci fa perdere quasi un'ora, poi bisogna ripercorrere la strada fino a Bulgan prima di prendere la deviazione per Ulan Baator. Dopo un'altra oretta, ripassiamo da Mörön, che vista di giorno ha un'altra faccia, piena di gente, anche se le casette di legno appaiono ancor più malandate dell'altra sera. Il paesaggio è decisamente montuoso, ma si viaggia decisamente meglio col chiaro, anche se continua a piovere. Il nostro Tumroo è bello riposato e ha tutto un altro piglio rispetto all'andata, quando scrollava continuamente la testa e si ravviava la pelata cercando di rimanere sveglio. A noi non rimane che goderci il paesaggio che sfila al nostro fianco e che forse è il più bello della Mongolia. Comunque arriviamo a Bulgan che è già pomeriggio avanzato. D'altra parte questa è forse l'arteria più importante del paese, forse addirittura l'unica ed è abbastanza logico che sia piuttosto trafficata. 

Visto che i chilometri da fare sono ancora moltissimi, siamo più o meno a metà strada, finisce che non abbiamo tempo per fermarci salvo un veloce stop in una specie di autogrill per il pranzo, mentre per la cena finiremo i viveri di sussistenza che avevamo con noi e le soste si limitano quindi solo all'espletamento della fisiologia, anche se Tumroo sembra brontolare, speriamo almeno che resista fino alla meta. Noi intanto facciamo finta di non capire e procediamo mentre il paesaggio comincia a mutare. Gli alberi sono scomparsi e si rivedono i i pascoli disseminati di mandrie. Decisamente è diventato tutto più arido e non per nulla è smesso anche di piovere. Per carità, è sempre un bel vedere, ma dopo un po' queste distese infinite e bellissime possono anche venire a noia. Così quando scende il buio e cominciamo ad avvicinarci a Ulan Bator, cala la palpebra e si finisce per dormicchiare aspettando solo di arrivare e sperando che la stessa cosa non capiti all'autista, che anche oggi si cuccherà quasi sedici ore di guida. Meno male che qui non c'è obbligo di disco orario come da noi i camionisti! 

La strada in effetti continua a migliorare,, ma contemporaneamente aumenta anche il traffico e finiamo per ritrovarci in una specie di coda continua che procede a fisarmonica e si addensa sempre di più man mano che i chilometri diminuiscono. Quando finalmente si arriva alla periferia della città, che comunque è una metropoli piuttosto orizzontale di oltre 1,500.000 abitanti, siamo continuamente fermi e il tempo sembra non passare mai. Alla fine, dopo aver cercato un po', arriviamo finalmente all'albergo che è quasi mezzanotte. Inutile dire che siamo di nuovo mezzi morti e non vediamo l'ora di ficcarci nel letto. Lasciamo quindi Gianluca a litigare telefonicamente con l'agenzia per ottenere uno sconto sul prezzo pattuito, che ci ripaghi almeno in parte dei disagi sostenuti e di quello che non siamo riusciti a vedere, cosa che i turisti che si sgobbano diecimila chilometri di aereo per vedere una cosa per una volta nella vita, è piuttosto importante. Poi il litigio che prosegue anche con Tamroo, che era incaricato di prelevare il contante. Insomma sembra proprio che, mentre noi dormiamo il sonno del giusto, questa Mongolia non si concluda nel migliore dei modi.

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Seta 58 - Il lago Khövsgul Nuur

Il lago Khövsgul Nuur - Mongolia - giugno 2025 
 

La mattina arriva in fretta, il tepore che c'era tra le pareti di legno del bungalow durante la notte, visto che la stufa era stata accesa prima del nostro arrivo, è andato via via scemando e adesso che saranno le sette, fa decisamente freddino. Esco fuori che ha appena schiarito, anche per andare in cerca dei bagni che, come avrete ormai capito, in Mongolia, sono da qualche parte nel cortile. Anche lavarsi all'aperto, a 7 °C, così almeno recita il telefonino, è piuttosto fastidioso. Aggiungi il fatto che dal rubinettino posto sotto i serbatoi, praticamente scende solamente un filo di acqua e lavarsi diventa un problema e hai detto tutto. Siamo come si dice immersi nella natura, frase bellissima quando la dici, un po' meno quando la vivi, quantomeno per noi cittadini. Aggiungi un cielo completamente coperto che più grigio non si può e hai detto tutto. Dovrebbe essere una giornata in cui dovremmo stare completamente immersi nella atmosfera della taiga presiberiana, ma un conto è quando la vedi al cinema nei documentari di BBC earth, un altro quando rimani lì, intirizzito come un baccalà appena tirato fuori dal freezer a camminare nell'erba bagnata. La punta del lago è a meno di dieci chilometri dal confine russo e se prosegui ad est, subito dopo il confine in un centinaio di chilometri arrivi ad Irkutsk e al lago Bajkal, una delle meraviglie naturalistiche più famose della Siberia. 

Ricordo ancora quel gennaio del '93, quando ammiravo la sconfinata superficie ghiacciata del lago a - 28°C, con l'aria gelata che ad ogni respiro mi dava una fitta in centro al petto, stupito del camion che passavano sulla strada creata sulla superficie sulla lastra di oltre quattro metri di spessore e Kostantin che mi diceva: - Eh certo che ormai non fa più quei bei freddi di una volta, quando a questa stagione difficilmente il termometro saliva sopra i - 40 °C! -. Già, ma adesso siamo in estate e questo  lago che dovrebbe essere l'attrazione turistica mongola numero uno, appare un po' triste, anche con le sue foreste infinite che ricoprono i fianchi delle montagne circostanti. Tuttavia mi sembra doveroso spendere due parole su questo lago, diventato ormai meta di un turismo internazionale piuttosto consistente, si parla ormai di oltre 100.000 presenze all'anno, cosa che tanto per cambiare, ne sta minando la salute ecologica e non solo. Il Khövsgul Nuur è comunque il più grande lago del paese, lungo 123 km e largo una cinquantina nel punto maggiore e, con la sua profondità di circa 260 metri, contiene all'incirca il 70% dell'acqua dolce del paese. E' considerato una sorta di fratello minore del vicino Bajkal, condividendone gli aspetti geologici, tettonici ed ecologici. 

Siamo infatti a circa 1700 metri, all'interno del sistema della taiga, tra foreste di pini e larici siberiani. Il lago ed il territorio più ad ovest di esso sono considerati uno delle zone climaticamente più inospitali del mondo, con una media invernale al di sotto dei 25 °C, che scende spesso sotto i 60 °C. Tuttavia qui intorno sono presenti diverse etnie di nomadi, molto particolari, almeno 100.000 persone tra Buriati, Tuvani, Darkhad e soprattutto i famosi Tsaatan, nomignolo spregiativo che significa Uomini renne, con cui sono chiamati dai Mongoli. Questa gente, che già il regime sovietico ha tentato inutilmente di stabilizzare, costruendo una cittadina nel nulla, oggi popolata di ombre e di negozi di alcoolici, che contribuiscono al degrado finale di questo popolo che ricorda un poco i nativi americani, con la stessa tipologia di tende coniche, continuano a vivere di nomadismo estremo, campando unicamente delle loro mandrie di renne dalle quali ricavano tutto quanto serve alla loro sopravvivenza. Negli ultimi decenni le renne venute a contatto con gli escrementi di ovini e caprini degli altri nomadi della zona sono state decimate dalla brucellosi e da altre malattie, aumentando le difficoltà di questo popolo in estinzione. 

Dediti allo sciamanesimo, hanno tuttavia una storia ricca di leggende e la loro cultura è tramandata in una loro lingua, appartenente al ceppo turcomanno. Naturalmente sono inseguiti dal turismo predatorio che darà loro l'ultima mazzata contribuendo a distruggere definitivamente la loro fragile cultura. Oltre a ciò la chiusura abbastanza decisa della frontiera, impedisce ormai gli spostamenti di questi nomadi che sono praticamente rimasti imprigionati da questa parte del territorio, impedendo loro le tradizionali migrazione nella confinante repubblica di Tuva, aumentandone così il disagio esistenziale e la prosecuzione delle loro tradizioni.  Comunque sia tutta l'area rimane un paradiso di diversità biologiche dove allignano tutta una serie di ungulati siberiani, lupi grigi e orsi bruni, oltre alle aquile reali, ed oltre altre cento specie di uccelli. Non faccio cenno al famoso coregone bianco del lago, che ormai diventata specie protettissima, non si può certo più mettere in tavola, né alle specifiche varietà di trota, temolo e persico reale. Insomma un luogo dove forse varrebbe la pena rimanere diversi giorni per muoversi alla scoperta del territorio, soprattutto a cavallo, per goderne la selvaticità, le acque cristalline, le cascate ed i fiumi, le foreste maestose e quel senso di immersione nella natura lontana dalla civiltà che oggi molti cercano e rimpiangono dalla loro torva scrivania di bancari frustrati. 

Purtroppo noi ci capitiamo per un solo giorno (avendone perso come vi rammenterete uno e mezzo per strada), per giunta grigio e piovoso. Facciamo intanto, per consolarci, una infreddolita ma abbondante colazione, con uova, salciccia e altro ben di Dio siberiano e poi andiamo a  passeggiare sulla riva del lago le cui acque però non sono affatto dell'incredibile blu scuro che raccontano le foto ed i report di viaggio letti sul web, ma di un bel grigio piombo, punteggiato dalle gocce di pioggia che nel frattempo comincia a scendere. E va be', che ci vogliamo fare se questo giro continua all'insegna della sfortuna. In ogni caso possiamo almeno consolarci del fatto che la temperatura e la pioggia non consentono ai famigerati e ferocissimi sciami di zanzare siberiane di prendere il volo, cosa mai menzionata dalle guide e dai turisti, straniati dalla bellezza e dal panorama, ma che in estate sono uno dei flagelli più temuti della taiga, altro che orsi e lupi feroci. Non c'è dubbio però che il luogo abbia una sua bellezza intrinseca, ma il tempo infame, l'umidità ed il freddo piuttosto intensom non ce lo fanno godere appieno, oltretutto data la pioggia, dobbiamo rinunciare alche al trekking previsto all'interno della foresta alla ricerca delle alci selvatiche. 

Tiriamo così mezzogiorno per andare nella sala comune dove ci aspetta un pranzo a base di carne non ben meglio identificata e purè di patate. I bambini rubicondi che ci stanno attorno e ci assistono nel caso manifestassimo particolari bisogni, sono sicuramente bellissimi, difficile capire a quale etnia appartengano. Corrono nel prato bene infagottati nei loro giacconi lunghi e ci guardano un po' come bestie rare affidate alla loro cura. In fondo al cortile, Tumroo, così abbiamo capito, si chiami il nostro autista, a torso nudo, incurante della temperatura, sta lavando il pulmino sotto la pioggia. Canta sereno, oggi almeno, complice il tempo potrà dormire tutto il giorno. Certo fosse una giornata migliore, si potrebbe andare in giro in cerca di qualche accampamento di Tsaatan, o alla grotta di Dayran Deerkhii, la più grande del paese dove la leggenda racconta di un potente sciamano che rapì addirittura una bellissima figlia di Gengis Khas trasformandola in una statua di pietra, quando il padre arrivò per cercarla o ad Olon Golin Belchir, la confluenza dei fiumi che poi passa la frontiera e si riversa nel Baikal o al vicino lago Bianco Tsagaan nuur o ancora nella vicina depressione di Darkhaad che conteneva un lago gemello oggi prosciugato. 

Insomma ce ne sarebbero di cose da fare qui attorno, ma tra il tempo che manca e le condizioni climatiche, alla fine non facciamo proprio nulla se non girolare qui e là ad ammirare la selvaticità dei dintorni. Nel pomeriggio tuttavia si farà un giro a cavallo in luoghi nascosti attorno al lago. Arrivano infatti subito i bambini che bardano con attenzione i quadrupedi in attesa, con i sottosella riccamente ornati e le selle borchiate, mentre i piccoli cavali che brontolano fumando dalle froge. Alla fine si parte, mentre la pioggia si infittisce, è il destino barbaro e rio, che insegue Fantozzi, non c'è che dire. Al ritorno dopo un'oretta di sofferenza pura, il rientro nei bungalow è provvidenziale. Una bellissima ragazzina, arriva di corsa con le braccia colme di legna appena tagliata e accende la stufa che in poco tempo diventa rovente e riscalda ben bene la stanza. Bisogna cambiarsi completamente perché l'acqua penetra dappertutto, mutande comprese, ai poveri turisti sprovveduti, non certo protetti dai robusti giacconi impermeabili dei cavalieri mongoli. Tuttavia mettiamo agli atti anche questa e provvediamo ad andare a cena senza neppure l'opportunità di vedere il tramonto sulle acque, di cui si dicono meraviglie. In premio la carne stufata è talmente dura che dobbiamo abbandonarla quasi completamente nei piatti. La ragazza riporta un'altra catasta di legna nella baracca, almeno che duri tutta la notte, poi ci si butta sotto le trapunte spesse e chiudiamo gli occhi in pace con noi stessi ed il mondo. 


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