domenica 28 dicembre 2025

Uzb 7- La città vecchia di Khiva

Nell'Harem della fortezza - Khiva - Uzbekistan - ottobre 2025 (Foto T. Sofi)
 

Colonna in legno

Rientrare nelle mura della città al mattino è come rivivere una seconda esperienza, rispetto alla visione delle mille e una notte di ieri sera, con gli spazi illuminati da fioche lucerne gialle. Tuttavia non si può negare che questa città vecchia, racchiusa nello spazio di ciclopici bastioni, giganti di terra gialla, abbia davvero un fascino particolare, credo assolutamente unico nel novero di quello che il paese ci mostrerà anche nei prossimi giorni. In fondo questo, se pur rimaneggiato in qualche sua parte, è uno spazio ancora assolutamente vivo e vitale, popolato non solo di turisti, che pure sono moltissimi, ma anche da gente che lo abita normalmente e che assimilano questo luogo a quello che è sempre stato, un punto di sosta nella via per l'Oriente, dove prospera un mercato che traffica e commercia, quello che le genti che passano da queste parti, richiede. Certo oggi non si tratta più di beni da trasportare da una parte all'altra del mondo attraverso un lungo e periglioso viaggio, pietre preziose, spezie, pelli o altro, ma solamente ricordi e souvenir, frutta secca e magari anche campioni di quelle stesse spezie, che forse si ritroverebbero anche al supermercato sotto casa, ma alle quali, quaggiù, aggiungi il fascino esotico della distanza o della esposizione massiva a disposizione con abbondanza e varietà. Insomma ci sono sempre i motivi giusti e oggi la città vive di questo, proprio come nel passato.

Moschiea
In fondo anche se la gente viene scaricata davanti alle porte da grandi pullman e non da carovane di cammelli e nel caravanserraglio interno ci passano solo per ammirare i colori delle vesti offerte dai tanti banchi e non più per venirci a dormire, nelle nicchie die vari corridoi, il senso è quasi lo stesso. Le costruzioni da vedere sono comunque tante e il nostro Eldor, ci trascina dall'una all'altra raccontandocene le storie del passato che ne avevano scandito l'esistenza. Naturalmente gli edifici in migliori condizioni ed anche i più interessanti da visitare sono i più recenti. La grande madrasa Mukhammad Amin Khan è la più grande della città e fa parte di un grande complesso edificato a metà dell'ottocento, quando la città era un centro di studi tra i più importanti dell'Asia centrale,. Nelle sue 125 celle erano ospitati oltre 250 studenti e i suoi cortili interni illustrano bene l'importanza dell'opera. Certamente il fatto che oggi sia stato trasformato in un albergo, ne snatura non poco la funzione, ma diversamente forse non sarebbe così ben mantenuta, di certo però, non mi andrebbe molto di soggiornare in questa pur sontuosa location, invasa in ogni ora del giorno e anche della sera da centinaia di turisti affamati di selfie che si infilano in ogni angolo possibile. Mi sembra che ci si debba sentire un po' osservati e anche pressati. 

Il minareto mozzo
Al suo fianco ecco ergersi quello che è un po' il simbolo di Khiva, il Kalta Minar, il minareto corto o mozzo che dir si voglia, un'opera alta sì 29 metri, ma che dal diametro e dalle dimensioni massicce indovini subito come un progetto molto più ambizioso, troncato a metà, quasi strangolato mentre cercava di ergersi orgogliosamente al di sopra della città. Non è chiaro come mai il lavoro, che doveva raggiungere l'altezza di 90 metri (secondo altri addirittura 110), al fine di farlo diventare la costruzione più alta dell'Asia e che giustificava le misure massicce della sua base iniziale, sia stata stoppata ad un terzo del progetto. Forse finirono i soldi, che è poi sempre una delle motivazioni fondamentali, forse, si pensò che la struttura, viste le conoscenze statiche progettuali dell'epoca, non avrebbe retto l'altezza prevista o forse semplicemente perché il sovrano fu ucciso, fatto sta che il minareto, comunque bellissimo e completamente rivestito di ricchissime maioliche azzurre, con la sua serie di fasce sovrapposte di perfezione geometrica assoluta che si susseguono salendo verso l'alto, rimase così, finito se pur apparentemente incompiuto e manifestamente sproporzionato nelle sue forme, troppo grasse, che lo rendono tuttavia riconoscibilissimo e unico tra tutti. Naturalmente attorno al minareto sono sorte leggende di ogni tipo, tra le quali quella che riporta come nelle fondamenta della torre sia stato sepolto vivo, tale Matyakiub. che si era messo a capo di una rivolta, il primo sciopero della zona, visto che gli stipendi delle maestranze non erano a quanto si dice, troppo ricche.

Panettieri

Un'altra delle ragioni addotte per la mancata prosecuzione dei lavori, è data dalla storia che riporta come il sovrano della vicina Bukara, invidioso del progetto avveniristico, corruppe l'architetto progettista, convincendolo a costruirne uno ancora più grande nella sua città. Come giusto, visto che allora non si andava troppo per il sottile, il corrotto fu subito messo a morte, ma purtroppo non si pensò che era anche l'unico capace di portare a termine l'opera, così anche questo ponte sullo stretto, vuoi che fosse per mancanza di soldi, vuoi per incapacità progettuali, rimase incompiuto. Ma certo anche così com'è rimane un monumento di tale bellezza da farti rimanere lì sotto, in estatica ammirazione, cercando di cogliere gli effetti che i raggi del sole producono rifrangendosi sulle superfici vetrose di queste meravigliose maioliche. Intorno è pieno di bancarelle. L'oggetto più caratteristico è il tradizionale copricapo di pelle di agnello, con i lunghissimi boccoli di lana bianca che pendono fino a coprirti completamente gli occhi. Calzati in testa danno un effetto assolutamente straordinario ed in automatico ti trasformano in un turcomanno del passato, pastore che traversa i deserti dell'Asia, ma con la testa ben calda. In pratica la cosa è così fotogenica che i venditori ormai più che venderli, li affittano per i selfie e il business impazza. Intanto scivoliamo nella fortezza interna, Kunya Ark, quella, dove eravamo saliti ieri sera fino alla terrazza. Era a tutti gli effetti la reggia del sultano e conserva ancora gli splendidi ambienti costruiti alla fine del 1600.

La gher

I cortili che coronano gli ingressi delle due moschee interne, sono dei veri e  propri gioiellini di raffinatezza. Le colonne sottilissime del porticato, si levano altissime con la loro forma assolutamente inusuale, scavate alla base, quasi si dovessero sostenere in precario equilibrio e rastremandosi poi verso l'alto fino a configgersi nel soffitto ricoperto dalle complesse decorazioni geometriche moresche. Gli interni sono ancora più splendidi, non ci sono spazi lasciati liberi dalle decorazioni e le diverse sale sono ambienti che hanno visto i punti più alti di un passato che ha segnato la grandezza di questa città. A fianco, gli ambienti dell'harem, circondato dalle tante celle che un tempo ospitavano le spose e le concubine del sultano. Un gruppo di donne, in fondo al cortile, suonano con cembali e tamburelli, musiche di tradizione. Truccate e bistratissime cantano melodie del passato quello che racconta i tempi della grandezza di quel mondo. In un altro cortile ancora la splendida gher dove il sultano accoglieva i suoi ospiti orientali più illustri che venivano a porgere omaggio. Usciamo dalle porte vecchie di trecento anni e oltre, splendidamente istoriate e altrettanto bene conservate. La grandissima piazza antistante brulica di gente, turisti ma anche artigiani e bancarelle di ogni tipo, Al centro un gruppo di grandi forni di terracotta, attorno un gruppetto di donne, impasta, forma e confeziona le grandi ciambelle del pane tradizionale, poi le picchietta con lo strumento che ne disegna la serie di roselline circolari sulla superficie e infine le inforna appiccicandole alle pareti arroventate. E' una tradizione antica che ritroverete un po' dappertutto, il pane è la base del nutrimento, come del resto nella maggior parte del mondo.

La tomba

Continuiamo a passeggiare tra le viuzze ed i vicoli contorti fino alla grande madrasa Islam Khoja, dove al suo fianco si alza il più alto minareto della città, oltre 56 metri, Il suo elegante salire verso l'alto è scandito dai cerchi successivi che ne dividono le partizioni, fino alla corona superiore, che si allarga come una magnifica corolla in fioritura. E ancora il grande caravanserraglio che un tempo accoglieva le carovane riparandole per la notte dagli assalti dei predoni, oggi tramutato in grande mercato coperto, che ospita eleganti negozi che espongo vestiti in stoffe preziose, sete ed ikat nel disegni tipici della città. Ma appena più in là, seminascosto tra le case, evidenziato solamente dalla sua magnifici cupola blu che si staglia nel cielo, c'è uno dei monumenti più iconici della città, il mausoleo di Pahlavan Mahmud, un santo vissuto nella seconda metà del 1200. Personaggio mitico, guerriero e lottatore, poeta, studioso ma soprattutto artigiano, vantò tra i suoi successi quello di aver vinto un grande sovrano indiano, permettendo la liberazione di tutti i suoi concittadini. Veneratissimo, la sua tomba è meta di continui pellegrinaggi e gli interni del mausoleo sono completamente ricoperti di splendide maioliche blu. Vale la pena rimanere a godersele a lungo, ad osservare i complicati intrecci ed i viluppi che appaiono come tralci stilizzati in maniera talmente complicata che ti perdi a seguirne le tracce che corrono negli angoli più nascosti delle nicchie. C'è da perdersi davvero in questo disegno senza fine, forse uno dei tanti modi di stordimento che caratterizzava la ricerca dell'ascesi dei sufi e dei derviches tourneurs

Al ristorante

E' uno dei momenti di massimo affollamento della giornata, siamo circondati da una folla di turisti senza fine, soprattutto europei, senti spagnoli, francesi e tanti italiani, segno che il paese è ormai, dopo le ultime intelligenti aperture (soppressione del visto, aumenti delle strutture a disposizione, assistenza e guide di ogni tipo), sta diventando una delle mete più di moda e pare che l'afflusso turistico dall'estero sia più che raddoppiato soprattutto nell'ultimo anno e la crescita sembra inarrestabile. Sarà anche questo che riduce i margini di contrattazione coi venditori di cianfrusaglie, evidentemente ingolositi dalla platea dei possibili clienti, quindi difficilmente si riesce a scucire più di un 15/20 % di sconto, nonostante io cerchi di mettere in pista tutte le mie tecniche di trattativa più scafata e insistente. Alla fine bisogna pur cedere visto che non cede la tua controparte e fare il tuo dovere di buon turista e lasciare il tuo obolo necessario a far girare la ruota e a portarti a casa l'inutile cosa che comincerà a prendere polvere già dal momento in cui verrà  riposta in valigia. Andiamo a mangiare un boccone nello stesso posto di ieri sera dove in fondo non eravamo stati male, più che altro per riposare i piedi prima della sgambata del pomeriggio. Dunque ci si ferma anche un poco più del necessario bere un tè osservando da una bella posizione sulla balconata, il rutilare della gente che passa di continuo a consumare qualche cosa, un po' ritrovandosi nelle nostre stesse condizioni. Poi toccherà riprendere.

Il minareto più alto della città


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giovedì 25 dicembre 2025

Buon Natale

 



A Tutti gli Amici

sabato 20 dicembre 2025

Uzb 6 - Il tramonto sulle mura di Khiva

Il Kalta Minor - Khiva - Uzbekistan - ottobre 2025 (foto T.Sofi)
 

Siamo appena arrivati ma prendiamo possesso delle camere velocemente e poi, visto che è ancora abbastanza chiaro, corriamo nella città che sta proprio davanti a noi, per approfittare delle ore che ci rimangono prima di notte e per goderci le luci del tramonto e della sera. Intanto il biglietto di ingresso è valido per due giorni e quindi ci consentirà anche di fare il giro completo di domani. Non ci sono dubbi che questa è la perla assoluta del paese, che ti prende non appena arrivi sotto l'imponente cerchia di mura che circonda la città vecchia. Non per nulla è stata la prima ad essere nominata come patrimonio Unesco del paese. Una cinta alta più di dieci metri, perfettamente conservata di mattone crudo, il sistema costruttivo proprio di tutta l'Asia Centrale, che forma una linea giallo ocra che si perde all'orizzonte; un bastione mostruoso che con le sue torri panciute e debordanti, scandisce lo spazio, spaventando qualunque invasore si presenti davanti alle sue porte. Che senso di potenza e di invincibilità. Certo qui prima della loro erezione alla fine del 1500 erano passati Gengis Khan che l'aveva rasa al suolo la città, per non parlar di Tamerlano che certamente non faceva prigionieri, ma camminare davanti a questa esibizione di massiccia potenza non lascia indifferenti. Entriamo con quel senso di rispetto che forse provava proprio la carovana dei mercanti in arrivo da est o da ovest dopo aver attraversato i deserti circostanti per giorni o settimane. 

Dentro, uno dopo l'altro scorrono i palazzi del potere locale e le costruzioni religiose di straordinaria bellezza stanno lì proprio a bella posta per stupire il visitatore, per avvolgerlo nel bazar continuo e colorato che si appresta in ogni sua via, vicolo, piazza, tutti trasformati in zone di scambio delle merci in arrivo da quello che allora era il mondo conosciuto, oggi solamente esposizione di materiali per turisti in cerca di esotico, che racconti la loro esperienza una volta ritornati a casa. Oltre a questo, la luce dorata della sera, colora tutto di un arancione pallido che accende i muri, aumenta i chiaroscuri e fa splendere ancor più le prime luci che vengono accese. Sugli sfondi, le splendide maioliche delle cupole e dei minareti colorano le quinte di bagliori verdi e azzurri. Qui forse il primo impatto non è quello della raffinatezza estrema delle costruzioni di Samarcanda o delle città sacre iraniane, quanto piuttosto una bellezza ruvida e all'apparenza barbara. propria delle marche di confine, eppure straordinariamente potente e fascinosa. D'altra parte Khiva sorge a poco più di una ventina di chilometri dal vicino Turkmenistan, stato ancora oggi chiuso su se stesso ed isolato anche psicologicamente dal resto del mondo che lo circonda. Camminiamo in mezzo ad un sacco di gente e non potrebbe essere diversamente visto che il paese sta diventando meta turistica piuttosto di moda. Mentre passeggi senti parlare solo italiano e francese, a parte gli orientali, che ormai sono dappertutto e in quantità. 

Proprio perché la visita mirata vera e propria la faremo domani, adesso possiamo girare qua e là senza una meta precisa, godendoci l'ambiente ed i colpi d'occhio improvvisi che ti si pongono davanti ad ogni girata di angolo. Intanto la luce diventa sempre più bella, quella che viene detta la golden hour del fotografo, quella in cui ogni cosa, ogni particolare riluce di riflessi nitidissimi ed i colori sembrano più densi e ritoccati da Photoshop e saliamo dentro la fortezza interna che ha costruzioni più alte di tutte quelle che si levano all'intorno e ci dovrebbe consentire, una volta arrivati in cima di dare un bel colpo d'occhio sulla città che si allarga ai nostri piedi. Pagato quindi il biglietto supplementare, capirà, bisogna sfruttare tutto quanto è sfruttabile ce lo avete insegnato proprio voi, percorriamo il dedalo di cortiletti interni ed infine saliamo verso gli edifici che costituiscono la parte alta della fortezza, attraverso erte fatte di scalini dalla montata di quasi 40 cm, roba non così agevole e anzi diciamo pure piuttosto faticosa. Una specie di scalata verso il paradiso. Comunque, dopo una serie di salite a chiocciola attraverso torri e pareti interne, eccoci arrivati alle terrazze superiori e finalmente al punto più elevato, da cui effettivamente si domina la città dall'alto. 

Qui si è radunata un bel po' di gente, gruppi al completo che aspettano che il sole scenda dietro le mura, visitatori isolati che cerca un posticino poco frequentato dove sedersi per godere il panorama, squadre di fotografi assoldati da singoli e da coppie che mettono in piedi veri e propri set di ripresa, dove gli aspiranti attori debitamente bardati in costumi d'epoca si mettono in pose plastiche sullo sfondo dei monumenti della città, che brillano al tramonto. Alcuni sembrano classiche coppie in viaggio di nozze che completano il book con scatti scenografici, altri, in generale, ragazze singole, si lasciano andare a sguardi languidi verso l'orizzonte con movenze da principessa del castello che attende il suo cavaliere partito per la guerra, che venga finalmente a liberarla dalla cintura di castità. Comunque sia c'è in giro una bella fauna che si pressa sui bastioni per raggiungere le posizioni più ambite da cui si hanno le vedute migliori e si possono fare le inquadrature più scenografiche. Qualcuno appare seduto nelle posizioni topiche, come fosse lì da ore in attesa dello scatto iconico che sta per arrivare. Intanto il sole che sta scendendo completamente sull'orizzonte al di là delle mura, si mette finalmente in posizione perfetta nel varco appositamente lasciato dalle nubi che si sono messe quasi da parte a bella posta e il crepitio delle reflex stabiliscono ormai il rumore di fondo, mentre gli stick su cui sono issati i telefonini formano una selva di antenne tra le quali diventa difficile posizionare il proprio bramato selfie. 

Poi per carità si ride per la situazione, ma basta isolarsi un attimo dal brusio che ti circonda e il panorama appare davvero come una cartolina da mille e una notte, quantomeno fiabesca, mancano solo i quaranta ladroni, anche senza Alì Baba o una qualsiasi Sherazade in attesa di cominciare il suo racconto, mentre il sultano inquieto si interroga su come fare. Non ci sono dubbi, questo è un punto assolutamente imperdibile e ancor più, quando cala la notte, scendere di nuovo nei vicoli della città, scarnamente illuminati dalle luci fioche delle lanterne, ti trasporta in automatico nella fiaba d'oriente. Non rimane che rifugiarsi in uno dei tanti ristoranti, anche questi strapieni, per rifocillarsi con un bel plof tradizionale tra sentori di zafferano e sapori di melagrane. Torniamo lentamente verso la cinta esterna. Adesso che è venuto buio non c'è fretta, si può camminare lentamente fuori delle mura, sotto questo baluardo che da vicino sembra un argine infinito che si perde all'orizzonte, schivando le torri grasse e panciute fino ad arrivare all'albergo che ci aspetta. Niente caravanserragli spartani, questa notte, niente rumor di animali che ruminano prima di addormentarsi davanti alle nostre celle, dove di certo avremmo protetto la nostra mercanzia, da ipotetici ladroni e malfidati saracini, ma solo confortevolissime camere, colme di ogni comodità, docce calde incluse. 

SURVIVAL KIT

Cosa vedere a Khiva - Praticamente tutte le cose interessanti in città sono racchiuse all'interno delle mura dell'Ichan-Kala, ovverossia la città murata che ricopre una superficie di circa 26 ettari. Per vedere quasi tutti i monumenti importanti è necessario almeno un giorno. Un biglietto generale di ingresso (valido 2 giorni) consente di entrare e vedere la maggior parte dei monumenti, circa 10/15 Euro (200.000 Sumi), i prezzi vengono continuamente aggiornati. C'è il supplemento per salire sui minareti (100.000 S), nel castello interno (100.000 S) e per salire e fare il giro delle mura (30.000 S). Da vedere: Le mura di oltre 6 km, alte 10 metri e spesse 6, salire specialmente al tramonto e fare il giro almeno da una porta all'altra. Ci sono 4 porte principali ai punti cardinali. All'interno delle mura (Ichan.Kala) molti monumenti quasi tutti visitabili: Kalta Minor o minareto corto, l'emblema della città, Madrasa Amin Khan, la più grande, oggi albergo di lusso, coi cortili visitabili; Kunya Ark, cittadella interna con moschee, harem, palazzo; il Complesso Islam- Khoja, con madrasa e il minareto più alto della città di 56 metri; La Moschea Juma, la più grande con 213 colonne di legno del XVIII secolo, costruita su una moschea precedente di cui si conservano ancora le antiche porte; il Mausoleo Pahlavan Mahmud, un famoso e venerato artigiano; il Palazzo Tash Khauli, con cortili e saloni e poi ancora mausolei, palazzi, madrase e moschee minori da vedere anche solo esternamente passeggiando per le strade della città. Ci sono poi almeno 5 musei (Storia, regionale, arte, natura, musica) e un piccolo ma molto interessante museo privato della seta, il Korezm Silk Museum, con possibilità di esperienze pratiche. Infine due teatri, folklore e marionette. All'interno delle mura, innumerevoli negozi, banchetti di artigianato, un laboratorio di tappeti e molti locali e ottimi ristoranti, per non perdere tempo. 

Hotel Darvaza -  Khiva Koshona str, Kalta Minor Mahalla 75 - Khiva. Ottimo hotel da 45 a 70 € la doppia con colazione a buffet abbondante e variata. Buono anche l'espresso. Posizione fantastica proprio di fronte all'ingresso delle mura. Camere molto spaziose, pulitissime. Letti king, TV, AC, riscaldamento, free wifi, Bagni spaziosi moderni, in marmo, con ottime dotazioni. Assolutamente consigliabile.

  



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mercoledì 17 dicembre 2025

Uzb 5 - Da Urgench a Khiva

Sede dell'amministrazione islamica - Tashkent - ottobre 2025 - (Foto T.Sofi)
 

La grande moschea a Tashkent

Il volo interno verso Urgench dura meno di due ore, in pratica ti fa attraversare tutto il paese da un capo all'altro, visto che la strada che bisognerà percorrere nel prossimi giorni e che collega tutte le città storiche del paese è grosso modo rettilinea per oltre mille chilometri. Per la verità c'è un'altra città con lo stesso nome nel vicino Turkmenistan sulle rive dell'Amu Darya, il grande fiume che traversa questi deserti estremi, ma che proprio a causa dei cambiamenti di corso del suddetto fiume, è scivolata in decadenza dopo lo scioglimento dell'URSS. Questa invece è diventata un nodo logistico di una certa importanza per la sua posizione che la rende un po' la porta occidentale del paese, tanto che al momento, c'è addirittura un volo diretto dall'Italia e molti turisti cominciano il giro proprio arrivando qui. Sono solo le 15, dopo che abbiamo recuperato le valigie quindi abbiamo tutto il tempo per percorrere la breve strada, circa una quarantina di chilometri che ci separa da Khiva, la nostra meta finale di oggi. L'esterno dell'aeroporto e la strada successiva è tutta imbandierata, forse qualche festa nazionale recente e brillano al vento i colori del vessillo, il bianco della pace, l'azzurro del cielo, il verde la natura e l'Islam, le due linee rosse, il colore dei fiori o forse i due fiumi che solcano il paese, le dodici stelle a rappresentare le provincie (o lo Zodiaco), la luna per l'indipendenza. 

Sala di preghiera

Sembra che questo senso di nazionalismo, sia molto cresciuto dall'indipendenza in poi, quantomeno da quando l'URSS si è dissolta e questo abbia dato fiato a spinte a lungo sopite sotto la pesante coltre precedente che lo soffocava del tutto, così almeno ci racconta il nostro Eldor, che dispiega la sua inclinazione intellettuale per ingannare il tempo del trasferimento. In effetti Eldor che sarà con noi per tutto il tempo del nostro itinerario uzbeko, è uomo di profonda cultura. Si è laureato in lingua francese, traduttore di diversi libri, scrive egli stesso, durante il tempo dell'inverno, quando il turismo è fermo, e ha imparato l'italiano da autodidatta. Un italiano tra l'altro grammaticalmente perfetto e con molte sfumature lessicali. Profondamente religioso, appartiene come mentalità a quell'Islam gentile e tollerante, come quello sufico che tanto apprezzava l'arte e la poesia ed è anche grande conoscitore della storia dell'Asia centrale, come avremo modo di constatare nei prossimi giorni. Come tutte le persone sagge, ha una continua voglia di conoscenza e ci farà lui per primo molte domande sul nostro mondo e sui suoi aspetti, che cerca di capire con interesse. Vive con la famiglia ed i suoi quattro figli a Shahrisabz, la città di Tamerlano, che visiteremo verso la fine del nostro giro. La più grande vorrebbe seguire la sua strada e dedicarsi al turismo, mentre il ragazzino ha il sogno del football, sport che ha ormai contagiato il paese, per inciso ricordo che l'Uzbekistan parteciperà ai prossimi mondiali di calco, mentre la nostra nazionale, con nostra grande vergogna, è ancora ben lontana dalla qualificazione. 

La tomba di Hazrati

Certo per lui che non è mai potuto andare all'estero, molte cose sono più difficili da interpretare e valutare, ma la sua curiosità e al tempo stesso la sua cultura, ne fanno davvero uno straordinario compagno di viaggio, che consiglierei a tutti. Dalle sue parole lo capisci sognatore e poeta al tempo stesso e quando gli ho chiesto cosa desidererebbe di più, ci ha pensato un po', poi con gli occhi leggermente socchiusi, mi ha risposto: "Mi piacerebbe tanto vedere il mare". Un pensiero importante, che soprattutto formulato da qui, al centro dell'Asia, uno dei punti del mondo più lontani dal mare, esprime un senso di tenerezza che un poco scalda anche i nostri cuori induriti e coriacei. Intanto la nostra strada prosegue diritta circondata dai campi di cotone, che dobbiamo ricordare è la prima coltura del paese, l'oro bianco per cui era noto nell'Unione Sovietica e del quale è sempre stato tra i primi produttori al mondo. Adesso con circa 4 mln di tonnellate, è ancora il sesto, ma mentre un tempo la maggior parte veniva esportato come pura materia prima, adesso l'80% viene lavorato nel paese contribuendo di molto alla crescita del valore aggiunto. Certamente questo del cotone è un discorso molto complicato e da discutere che presenta molte problematiche e che vale la pena di investigare almeno superficialmente. 

Il volo

Questa coltura infatti è stata in passato di così grande importanza, da muovere idee grandiose e immaginifiche soprattutto nel passato sovietico, in tempi in cui l'uomo si considerava come un titano destinato a piegare una natura avversa e nemica, pensate a come è cambiato il pensiero in meno di un secolo. A questo riguardo furono studiati progetti epocali per modificare il corso dei grandi fiumi asiatici, volti proprio a consentire l'irrigazione delle immense superfici semidesertiche dell'Asia centrale, essendo da sempre il fabbisogno di acqua aspetto fondamentale; modifiche destinate a cambiare e anche notevolmente l'impatto ambientale umano in questi territori. Uno degli esempi più eclatanti di queste operazioni e dei disastri ecologici che ne sono seguiti, è stato il quasi totale prosciugamento del mare di Aral, il grande lago che nel 1960 aveva una superficie di circa 70.000 km2, quasi quanto la pianura padana, e adesso è quasi completamente prosciugato e ridotto a meno di 6.000 km2, con la perdita di circa il 95% dell'acqua contenuta. Una catastrofe ambientale che ha lasciato una superficie desertica, cimitero costellato dalle carcasse delle navi che lo percorrevano e che rimangono affondate nella sabbia come cadaveri arrugginiti, monito della superbia umana. Belle parole certo, ma è difficile pensare a cose che in un'epoca lontana erano completamente al di fuori del comune sentire e venivano spinte da altre pulsioni e da altri interessi. 

Sulla pista
Comunque questo è lo stato di cose attuale. Così adesso l'Amu Darya, spolpato delle sue acque coi canali che la depredano e la portano in mezzo ai campi, si perde poi nelle sabbia e non arriva più agli antichi bordi del lago del quale era il principale immissario. Ha creato un altro più piccolo specchio di acqua, il Sarigamish al confine col Turkmenistan e il nuovo deserto di Karakum che occupa ora il vecchio spazio del lago è diventato meta di un turismo oscuro in cerca di città fantasma abbandonate dai loro abitanti e di cimiteri di navi. Tutto ciò non fa che dare aggio al ragionamento ed all'attenzione che si dovrebbe fare sull'argomento acqua e sua disponibilità ed utilizzo che potrebbe diventare nel prossimo futuro una delle maggiori problematiche e cause di contrasti mondiali riferito al costante aumento della popolazione, come del resto anche se in tono minore lo è sempre stata in passato. Detto questo passiamo ad esaminare il discorso di questa coltura dal punto di vista del sociale che, nel passato anche recente ha dato vita a parecchie discussioni. Sembra infatti che da sempre la fase della produzione e della raccolta di questa fibra tessile, abbia avuto luogo attraverso una sorta di pesantissime coercizioni, anche senza andare agli estremi del problema nel sud degli Stati Uniti; insomma qui sembra che fosse una sorta di lavoro imposto quasi a livello schiavistico e minorile che arrivava appunto ad esempio, a chiudere le scuole durante la raccolta.

Campo di cotone

Questo stato di fatto è stato più volte denunciato da enti mondiali come l'ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) che poneva appunto l'accento sullo sfruttamento minorile e le condizioni di totale sottomissione dei lavoratori impiegati, promuovendo vari tipi di boicottaggi. Tutto questo sembra ormai appartenere al passato e dal 2022, col definitivo passaggio dalla completa statalizzazione precedente delle colture ad un modello di cluster integrati che gestiscono l'intera catena produttiva, con riforme modernizzatrici che hanno ridotto il controllo statale a favore di un andamento più vicino al mercato, le forme criticate sembrano quasi completamente scomparse ed i boicottaggi sono stati definitivamente sospesi. Grazie a queste riforme ed ai miglioramenti tecnici introdotti, al momento la produzione del paese è arrivata al suo massimo storico pur non essendo più la coltura preminente che ha lasciato via via spazio ai cereali e alla frutticoltura e alle altre che il clima consente. Tanto per capire meglio il problema ci fermiamo vicino ad un grande campo di cotone dove è in corso l'ultima parte della raccolta, dove una fila di donne avanzano tra gli arbusti quasi completamente secchi che si innalzano da terra poco più in su della vita, raccogliendo i batuffoli bianchi con gesti veloci e poi mettendoli nelle grandi borse che si vanno riempiendo a poco a  poco. 

Cotona

Il movimento delle mani è velocissimo ed i contenitori si riempiono in fretta. Al momento sembra che il prezzo di raccolta a mano, sia attorno ai 2000 Sum per Kg (circa 0,15 €) per una media di raccolta attorno ai 70 Kg/al giorno, ma con una variabilità tra i 20 e i 100 a seconda del periodo di raccolta e della forza e l'abilità del raccoglitore. Certo prenderà piede sempre di più la raccolta meccanica, visto che, finita fortunatamente la schiavitù si presenta anche un problema di carenza di manodopera, ma al momento siamo ancora la 70% di attività manuale. Insomma vedete voi se per caso volete provare, perché sembra facile, ma il cotone è davvero leggero e farne su un chilo è mica così semplice. Le donne salutano con la mano mentre con l'altra continuano nel movimento veloce dalle piante alla sacca, per non perdere tempo. Nel campo vicino invece, dove il terreno è già stato arato, si comincia con le semine del frumento. Cerco di intavolare un discorso al riguardo con i molto ragazzi che stanno lì attorno e che hanno versato i sacchetti nelle apposite tramogge, mentre il piccolo trattore con la seminatrice meccanica se ne va sul terreno scuro appena erpicato, ma la difficoltà di comunicazione stronca sul nascere le mie curiosità di agronomo sul campo. Alla fine riprendiamo  la strada verso Khiva, ci sarà ancora tempo per vedere cotone e camminare sulla terra nuda ed avara. Noi intanto arrivammo al nostro albergo proprio sotto le mura di terra cruda della città antica mentre cominciano a scendere le prime luci della sera.

Le mura di Khiva



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martedì 16 dicembre 2025

Uzb 4 - Nel cuore di Tashkent

Il mercato  - Tashkent - Uzbekistan - ottobre 2025 (foto T. Sofi)

Stazione del cotone

Le stazioni della metropolitana, sono in tante città dell'ex impero sovietico, una attrazione non così scontata. L'ho già verificato nel Caucaso e anche qui a Tashkent devo confermare che non sono da meno. Secondo qualcuno addirittura le più belle dell'Asia. Era evidentemente una delle caratteristiche del regime, quella di fare di queste stazioni un qualche cosa di monumentale che contribuisse in qualche modo al fasto della realizzazione. Lo stile certo è sempre stato quello della pomposità di regime, con profluvio di marmi e di argomentazioni encomiastiche delle opere governative, ma di certo il tentativo è sempre apprezzabile ed è comunque sempre meglio di una squallida distesa di pareti di cemento sporco a vista. Anche qui è tutto un profluvio di marmi colorati, colonne maestose e ambienti spaziosi che ricordano gli ingressi teatrali, anche se sono state costruite in tempi più recenti. Alla fine ne vediamo tre, tutte piacevoli ed interessanti a partire da questa di piazza dell'indipendenza, la Mustaqillik Maidoni, con un seguito di colonne marmoree imponente e poi quella di Pakhtakor, dedicata al cotone, la grande ricchezza per cui il paese è conosciuto nel mondo, peraltro molto contestata per vari motivi di cui magari parleremo più avanti. Tutto l'ambiente è ricoperto da mosaici e piastrellature blu, bianche e dorate, una fantastica decorazione che concede all'intero ambiente, una atmosfera quasi religiosa. 

Probabilmente se ci fosse il tempo varrebbe la pena di percorrere le varie linee, ce ne sono ormai quattro l'ultima aperta da poco, per vederne ed apprezzarne anche qualcun'altra, ma noi siamo qui solo di sfuggita e quindi ci facciamo bastare quanto concede l'itinerario per spostarci fino al gran Bazar. Adesso potete trovare senza problemi le immagini di tutte le stazioni sul web e pensare che solo fino a pochissimi anni fa, era tassativamente vietato fare fotografie, in quanto la metro veniva considerata luogo di interesse strategico. Non stupiamoci troppo perché anche da noi c'era una legge specifica che vietava di fare fotografie nelle nostre stazioni e non vorrei che, benché desueta, fosse ancora in vigore! Noi però ritorniamo all'esterno per arrivare al Bazar di Chorsu. Si dice che sia uno dei più interessanti dell'Asia centrale, di certo è assolutamente immenso, a partire dalla sua cupola centrale ricoperta di piastrelle del tipico azzurro blu uzbeko, ornamento di tanti altri edifici religiosi. Sembra che questo bazar risalga addirittura al XVI secolo, sorto nella stessa area dove si commerciava da sempre. Non per nulla il suo nome significa Crocevia, luogo tipico dove si formano i mercati e figuriamoci qui nel passaggio chiave della via della seta. Pare che qui si trovi di tutto e benché interessante anche per i turisti, c'è anche qualche bancarella dedicata a loro con le solite coserelle, è frequentato soprattutto dai locali. 

Ci sono larghi spazi dedicati all'abbigliamento, in fondo il paese ha una tradizione millenaria di tessitura e di produzione di cotone, nonché di annodatura di tappeti. Poi abbiamo un vastissimo spazio per tutti quegli oggetti casalinghi e attrezzature di ogni tipo ed infine la parte da padrone la fa il reparto alimentare, con enormi spazi dedicati alla frutta e verdura e a tutto quanto sia edibile, con ogni tipo di carne ed altri prodotti lavorati. Tutta la zona drogheria è raggruppata sotto l'enorme cupola di cui vi ho detto. Una serie di banchi infinita con cataste di prodotti, spezie, insaccati, formaggi, bevande, pasticceria e chi più ne ha più ne metta. Lo spazio delle uova è impressionante, file infinite di banchi ricolmi di contenitori sovrapposti pieni di centinaia e centinaia di uova. Ti chiedi come quelle sottostanti facciano a reggere il peso. E ancora lo spazio destinato alla vendita del sale in cristalli, sembrano quasi banchi per collezionisti di mineralogia. Di certo lo spazio maggiore è dedicato alla frutta secca, che qui trova la sua espressione più esagerata. Evidentemente ogni cosa si può essiccare per la sua conservazione, ma ad osservare queste distese di uvetta sultanina, di decine di varietà differenti, ordinatamente esposte in riquadri separati, è un grande spettacolo, per non dire di albicocche, pesche, cachi, fette di melone, prugne, nespole, giuggiole, fichi, mele, pere, banane, manghi e non so quante altre tipologie di frutta. 

Melagrane

Di certo qui ci sono tutte. Uno spazio a  parte hanno le melagrane, enormi e invitanti ammucchiate in cumuli ordinati, su cui spiccano gli esemplari più grandi, spaccati in due per mostrarne il ricco interno, la rossa cascata di granelle che perdono succo solo a guardarle, mentre al fianco l'apposita macchinetta spremitrice è sempre in funzione per placare le richieste degli avventori che aspettano in fila di essere serviti con bicchieri di carta ripieni di liquido spesso e sanguigno, che bevono di gusto. E davvero delizioso questo succo, gradevolmente dolce, con un ché di asprigno e di terroso che ti ricorda terre assolate, case di mattoni crudi, paesi arroccati tra montagne di roccia aspra e scavata dal vento. Forse era questo il frutto proibito del giardino mesopotamico dell'Eden? Ci sono tante leggende in proposito, ma forse non ci sono altri frutti che più di questo ci parlano dell'Asia centrale, del suo clima duro e dei suoi spazi infiniti e del suo popolo nomade. Passiamo tra i banchi, difficile resistere alla tentazione tra gli assaggi che i vari venditori ti propongono e la bellezza delle ghiottonerie esposte. Qualche cosa alla fine compri sempre, oltretutto la roba secca e leggera e si porta via semplicemente. Al fianco della grande cupola c'è una zona dove si producono pani in grande quantità. E' il tipico pane di queste parti, una sorta di ciambella spessa un dito e di diversi diametri che si cuoce nei forni tandoor, tradizionali. 

I panettieri

Il panettiere forma la palla di pasta, la spiana poi col mattarello fino ad ottenere una piada tonda, poi con un apposito strumento, un mazzuolo con una fitta serie di punte di metallo, esegue sulla sua superficie una serie di bucherellature dalla funzione evidentemente tecnica, ma che alla fine produrranno una decorazione mirabile sulla superficie superiore del pane. La ciambella della dimensione grosso modo di una pizza o anche molto più grande, viene incollata con movimento lesto alle pareti interne del forno introducendola dall'alto o dalla bocca anteriore per i forni più grandi e si estrae a completa cottura, croccante e dorata. Ci sono anche forme più grandi e più spesse coi bordi dal cornicione che esce gonfio e friabile, spesso ricoperti di semini, sesamo o cumino o altro. Sono tutti contenti del nostro interesse e i panettieri si esibiscono volentieri per gli scatti che proseguono senza sosta, Naturalmente bisogna assaggiare, è ovvio; è anche la bellezza di questi mercati. Ancora più difficile sottrarsi nella zona successiva dove ci sono tutte le cucine per il consumo di street food. Qua è il regno della carne, un trionfo di spiedini di ogni tipo e dimensione, polpette, teste di montone e immancabili montagne di trippe che colano sughi vischiosi e non troppo invitanti. 

Plof

La parte del leone però lo fa il plof, il piatto principe della cucina centroasiatica ed uzbeka in particolate. Quasi ogni banco ha il suo pentolone di ferro nero, che per tradizione non si lava mai, dove si rimesta continuamente questa massa informe di riso, di cui ognuno ha una sua ricetta diversa, ripieno di ogni cosa, carni, verdure, frutta secca e spezie, a partire dallo zafferano e con l'aggiunta di tutte le altre che il caleidoscopio di questa cucina propone. A parte la sezione trippe e gli scodelloni di sughi misteriosi, il resto non si può negare che sia invitante, tuttavia, benché all'esterno  che gli aspetti igienici mi sembrino ben lontani da quelli che ricordo dalla mia prima visita, ancora è meglio pensare che qui siamo in quella parte del mondo da cui sono sempre partite tutte le pesti degli ultimi mille anni e la quantità di mosche che girano rimane comunque imbarazzante. In fondo è anche bello e soddisfacente limitarsi a guardare, rifiutando con cortesia gli insistenti richiami all'assaggio. Che volete, la scorsa volta già avevo rischiato grosso, con conseguenze memorabili, ma diciamo che allora i miei doveri di portare a casa lavoro per un centinaio di persone che aspettavano ansiose, erano una imposizione quasi obbligatoria. Insomma, non si può dire che questo giro al mercato non valesse comunque la pena. Ne usciamo ugualmente sazi anche se non abbiamo osato mangiare nulla, se non qualche assaggino di torroni vari, che di certo male non possono fare. 

Sale

Ci spostiamo, anche se non di molto, ma in questa città gli spazi verdi sono molto dilatati e arriviamo al complesso di Khast- Imam, situato nel cuore della città vecchia e circondato di antiche case in mattone crudo sopravvissute al terremoto del 1966. Si tratta di una serie di costuzioni cresciute recentemente, molte ancora da completare, attorno alla tomba di un famoso imam scienziato e grande studioso dei testi sacri, Hazrati, che fu anche importante poeta, morto nel X secolo. Pare fosse anche valente artigiano visto che costruiva complicatissime serrature, una, pare, che si apriva solo con una chiave del peso di un chilo e mezzo. Vicino al suo mausoleo, è sorta quindi la grande e splendida moschea, inaugurata nel 2007, sullo stile del XVI secolo, con due alti e slanciati minareti e una madrasa con annessa biblioteca. Qui si conserva un documento famoso ed importantissimo per l'Islam, il cosiddetto Corano del califfo Uthman che risale al VII secolo, 353 fogli di pergamena, con il testo originale, custodito per secoli nel tesoro dei califfi e qui giunto da Medina e poi via Damasco e Bagdad. Qui vicino c'è anche la sede dell'amministrazione spirituale Musulmana dell'Asia Centrale. Un luogo che avverti subito di grande importanza immerso in un enorme e curatissimo giardino. La moschea in effetti è imponente e le sale della preghiera immense. Passeggiamo in tutta tranquillità, la gente si disperde negli spazi così vasti. Un po' di assembramento solamente nel mausoleo del santo, dove evidentemente i fedeli si assiepano intorno alla tomba. Intanto abbiamo fatto venire il tempo per andare all'aeroporto dove ci aspetta il volo per Urgench.

Spezie

Spiedi
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