mercoledì 26 novembre 2025

Seta 59 - Verso la capitale

Bambini Tsaatan - Mongolia - giugno 2025
 

Come più volte ho avuto modo di raccontarvi il concetto di privacy in Mongolia è decisamente più lasco che da noi. Qui la vita è probabilmente più comunitaria rispetto alla nostra, lo stare insieme e la convivenza priva di inibizioni è forse anche una necessità in un luogo che ha così grandi difficoltà pratiche di vita. Così penso bisogna abituarsi in questi villaggi, anche alle improvvise visite notturne per necessità pratiche, che vengono vissute senza affanni e senza alcun imbarazzo. Ecco quindi che nel cuore della notte o forse saranno state le cinque di mattina, la ragazzina di ieri entra nella nostra camera e ravviva la stufa con altra legna, cosa che alla fine non è niente affatto sgradita, anzi, il gradevole tepore che si diffonde nella baita, ti farebbe stare serenamente a dormicchiare ancora sotto le coperte, rimandando al massimo il momento di andare fuori al gelo a tentare di darsi una lavata veloce al rubinetto senza acqua. Non fosse che oggi sarà un'altra giornata durissima e bisognerebbe alzarsi il più presto possibile, sarebbe bello rimanere al calduccio ancora un po', sperando nell'uscita di quel raggio di sole che intanto non verrà mai. Tanto alla fine la colazione non verrà servita che alle 7:30, ce la porteranno i soliti bambini, che arrivano addirittura in gruppo, ansiosi evidentemente di dare un'altra occhiata da vicino ai nasi lunghi prima che se ne vadano. 

Abbiamo già fatto una attenta verifica con Google map e oggi ci aspettano quasi 900 km per arrivare alla capitale, una bella zuppa, anche se la strada dovrebbe essere tutta asfaltata e gli ultimi 200 km addirittura di una specie di autostrada. Alla fine riusciamo a metterci in marcia solo alle 8:30. La ventina di chilometri che scorrono sul lungolago, fatti di giorno sono decisamente un'altra cosa, tutti in mezzo alla foresta di larici e di pini che ricopre la riva e che non si può negare, ha una sua selvatica bellezza. Siamo davvero fuori del mondo e della civiltà come la intendiamo noi. Il senso di solitudine profonda di questi luoghi ha un suo indubitabile fascino, soprattutto se ti rendi conto che tu poi, tra poco te ne tornerai nella civiltà, lasciando altri a sopravvivere qui, mentre arriverà la prima neve, le temperature a poco a poco scenderanno e il vento del nord comincerà a spazzare la superficie del lago ghiacciato. Un mondo di certo favolistico nel racconto, ma credo terribilmente duro da vivere nella pratica di tutti giorni, con difficoltà, forse oggi leggermente alleviate, anche grazie al contributo recente del vituperato per altri motivi, turismo, veramente dure da sopportare. 

I turisti a poco a poco scompariranno e rimarrà solo il riunirsi delle famiglie attorno alle stufe roventi dentro le gher a raccontare antiche leggende di guerrieri coraggiosi e principesse bellissime. Credo però che, oggigiorno, i discorsi saranno anche incentrati sulle possibilità ed i desideri di andarsene definitivamente nella capitale lontana, forse favoleggiata per le sue attrattive moderne e luccicanti. Bisogna vedere le cose in modo pratico e non si può pensare che la conoscenza di quello che c'è e in fondo non troppo lontano da qui, non funga da faro attrattivo irresistibile per molti. Inutile farsi contaminare da ideologie neonaturiste, alla fin fine, le comodità se le è inventate l'uomo per stare meglio, perché al calduccio si vive più comodi che se devi andare a spaccare la legna nel bosco mentre ti si congelano le dita e se devi macellare la renna con un coltellaccio invece di andare a mangiarti l'hamburger al McDonald con una bella birra fresca. Prova e poi me lo dici, ti direbbe il rubizzo uomo della taiga, con tanto di sberleffo. Il resto son chiacchere da bar o da impiegato della posta frustrato dalla timbrature, che vuole solamente scappare dalle cazziate del capufficio, ma che dopo una settimana nel bosco, con una canna in mano senza aver pescato niente, vorrebbe solo buttarsi giù nel burrone, ve lo posso garantire. 

La vita estrema è meravigliosa da guardare in un film, magari sdraiati sul divano con un bicchiere di brandy in mano e un quadretto di cioccolata amara da sgranocchiare, nelle sere di inverno con un plaid scozzese sulle gambe, datemi retta. Comunque ridendo e scherzando, solo a rifare il percorso sullo sterrato ci fa perdere quasi un'ora, poi bisogna ripercorrere la strada fino a Bulgan prima di prendere la deviazione per Ulan Baator. Dopo un'altra oretta, ripassiamo da Mörön, che vista di giorno ha un'altra faccia, piena di gente, anche se le casette di legno appaiono ancor più malandate dell'altra sera. Il paesaggio è decisamente montuoso, ma si viaggia decisamente meglio col chiaro, anche se continua a piovere. Il nostro Tumroo è bello riposato e ha tutto un altro piglio rispetto all'andata, quando scrollava continuamente la testa e si ravviava la pelata cercando di rimanere sveglio. A noi non rimane che goderci il paesaggio che sfila al nostro fianco e che forse è il più bello della Mongolia. Comunque arriviamo a Bulgan che è già pomeriggio avanzato. D'altra parte questa è forse l'arteria più importante del paese, forse addirittura l'unica ed è abbastanza logico che sia piuttosto trafficata. 

Visto che i chilometri da fare sono ancora moltissimi, siamo più o meno a metà strada, finisce che non abbiamo tempo per fermarci salvo un veloce stop in una specie di autogrill per il pranzo, mentre per la cena finiremo i viveri di sussistenza che avevamo con noi e le soste si limitano quindi solo all'espletamento della fisiologia, anche se Tumroo sembra brontolare, speriamo almeno che resista fino alla meta. Noi intanto facciamo finta di non capire e procediamo mentre il paesaggio comincia a mutare. Gli alberi sono scomparsi e si rivedono i i pascoli disseminati di mandrie. Decisamente è diventato tutto più arido e non per nulla è smesso anche di piovere. Per carità, è sempre un bel vedere, ma dopo un po' queste distese infinite e bellissime possono anche venire a noia. Così quando scende il buio e cominciamo ad avvicinarci a Ulan Bator, cala la palpebra e si finisce per dormicchiare aspettando solo di arrivare e sperando che la stessa cosa non capiti all'autista, che anche oggi si cuccherà quasi sedici ore di guida. Meno male che qui non c'è obbligo di disco orario come da noi i camionisti! 

La strada in effetti continua a migliorare,, ma contemporaneamente aumenta anche il traffico e finiamo per ritrovarci in una specie di coda continua che procede a fisarmonica e si addensa sempre di più man mano che i chilometri diminuiscono. Quando finalmente si arriva alla periferia della città, che comunque è una metropoli piuttosto orizzontale di oltre 1,500.000 abitanti, siamo continuamente fermi e il tempo sembra non passare mai. Alla fine, dopo aver cercato un po', arriviamo finalmente all'albergo che è quasi mezzanotte. Inutile dire che siamo di nuovo mezzi morti e non vediamo l'ora di ficcarci nel letto. Lasciamo quindi Gianluca a litigare telefonicamente con l'agenzia per ottenere uno sconto sul prezzo pattuito, che ci ripaghi almeno in parte dei disagi sostenuti e di quello che non siamo riusciti a vedere, cosa che i turisti che si sgobbano diecimila chilometri di aereo per vedere una cosa per una volta nella vita, è piuttosto importante. Poi il litigio che prosegue anche con Tamroo, che era incaricato di prelevare il contante. Insomma sembra proprio che, mentre noi dormiamo il sonno del giusto, questa Mongolia non si concluda nel migliore dei modi.

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01 - Ritornati

02 - Le motivazioni











Seta 58 - Il lago Khövsgul Nuur

Il lago Khövsgul Nuur - Mongolia - giugno 2025 
 

La mattina arriva in fretta, il tepore che c'era tra le pareti di legno del bungalow durante la notte, visto che la stufa era stata accesa prima del nostro arrivo, è andato via via scemando e adesso che saranno le sette, fa decisamente freddino. Esco fuori che ha appena schiarito, anche per andare in cerca dei bagni che, come avrete ormai capito, in Mongolia, sono da qualche parte nel cortile. Anche lavarsi all'aperto, a 7 °C, così almeno recita il telefonino, è piuttosto fastidioso. Aggiungi il fatto che dal rubinettino posto sotto i serbatoi, praticamente scende solamente un filo di acqua e lavarsi diventa un problema e hai detto tutto. Siamo come si dice immersi nella natura, frase bellissima quando la dici, un po' meno quando la vivi, quantomeno per noi cittadini. Aggiungi un cielo completamente coperto che più grigio non si può e hai detto tutto. Dovrebbe essere una giornata in cui dovremmo stare completamente immersi nella atmosfera della taiga presiberiana, ma un conto è quando la vedi al cinema nei documentari di BBC earth, un altro quando rimani lì, intirizzito come un baccalà appena tirato fuori dal freezer a camminare nell'erba bagnata. La punta del lago è a meno di dieci chilometri dal confine russo e se prosegui ad est, subito dopo il confine in un centinaio di chilometri arrivi ad Irkutsk e al lago Bajkal, una delle meraviglie naturalistiche più famose della Siberia. 

Ricordo ancora quel gennaio del '93, quando ammiravo la sconfinata superficie ghiacciata del lago a - 28°C, con l'aria gelata che ad ogni respiro mi dava una fitta in centro al petto, stupito del camion che passavano sulla strada creata sulla superficie sulla lastra di oltre quattro metri di spessore e Kostantin che mi diceva: - Eh certo che ormai non fa più quei bei freddi di una volta, quando a questa stagione difficilmente il termometro saliva sopra i - 40 °C! -. Già, ma adesso siamo in estate e questo  lago che dovrebbe essere l'attrazione turistica mongola numero uno, appare un po' triste, anche con le sue foreste infinite che ricoprono i fianchi delle montagne circostanti. Tuttavia mi sembra doveroso spendere due parole su questo lago, diventato ormai meta di un turismo internazionale piuttosto consistente, si parla ormai di oltre 100.000 presenze all'anno, cosa che tanto per cambiare, ne sta minando la salute ecologica e non solo. Il Khövsgul Nuur è comunque il più grande lago del paese, lungo 123 km e largo una cinquantina nel punto maggiore e, con la sua profondità di circa 260 metri, contiene all'incirca il 70% dell'acqua dolce del paese. E' considerato una sorta di fratello minore del vicino Bajkal, condividendone gli aspetti geologici, tettonici ed ecologici. 

Siamo infatti a circa 1700 metri, all'interno del sistema della taiga, tra foreste di pini e larici siberiani. Il lago ed il territorio più ad ovest di esso sono considerati uno delle zone climaticamente più inospitali del mondo, con una media invernale al di sotto dei 25 °C, che scende spesso sotto i 60 °C. Tuttavia qui intorno sono presenti diverse etnie di nomadi, molto particolari, almeno 100.000 persone tra Buriati, Tuvani, Darkhad e soprattutto i famosi Tsaatan, nomignolo spregiativo che significa Uomini renne, con cui sono chiamati dai Mongoli. Questa gente, che già il regime sovietico ha tentato inutilmente di stabilizzare, costruendo una cittadina nel nulla, oggi popolata di ombre e di negozi di alcoolici, che contribuiscono al degrado finale di questo popolo che ricorda un poco i nativi americani, con la stessa tipologia di tende coniche, continuano a vivere di nomadismo estremo, campando unicamente delle loro mandrie di renne dalle quali ricavano tutto quanto serve alla loro sopravvivenza. Negli ultimi decenni le renne venute a contatto con gli escrementi di ovini e caprini degli altri nomadi della zona sono state decimate dalla brucellosi e da altre malattie, aumentando le difficoltà di questo popolo in estinzione. 

Dediti allo sciamanesimo, hanno tuttavia una storia ricca di leggende e la loro cultura è tramandata in una loro lingua, appartenente al ceppo turcomanno. Naturalmente sono inseguiti dal turismo predatorio che darà loro l'ultima mazzata contribuendo a distruggere definitivamente la loro fragile cultura. Oltre a ciò la chiusura abbastanza decisa della frontiera, impedisce ormai gli spostamenti di questi nomadi che sono praticamente rimasti imprigionati da questa parte del territorio, impedendo loro le tradizionali migrazione nella confinante repubblica di Tuva, aumentandone così il disagio esistenziale e la prosecuzione delle loro tradizioni.  Comunque sia tutta l'area rimane un paradiso di diversità biologiche dove allignano tutta una serie di ungulati siberiani, lupi grigi e orsi bruni, oltre alle aquile reali, ed oltre altre cento specie di uccelli. Non faccio cenno al famoso coregone bianco del lago, che ormai diventata specie protettissima, non si può certo più mettere in tavola, né alle specifiche varietà di trota, temolo e persico reale. Insomma un luogo dove forse varrebbe la pena rimanere diversi giorni per muoversi alla scoperta del territorio, soprattutto a cavallo, per goderne la selvaticità, le acque cristalline, le cascate ed i fiumi, le foreste maestose e quel senso di immersione nella natura lontana dalla civiltà che oggi molti cercano e rimpiangono dalla loro torva scrivania di bancari frustrati. 

Purtroppo noi ci capitiamo per un solo giorno (avendone perso come vi rammenterete uno e mezzo per strada), per giunta grigio e piovoso. Facciamo intanto, per consolarci, una infreddolita ma abbondante colazione, con uova, salciccia e altro ben di Dio siberiano e poi andiamo a  passeggiare sulla riva del lago le cui acque però non sono affatto dell'incredibile blu scuro che raccontano le foto ed i report di viaggio letti sul web, ma di un bel grigio piombo, punteggiato dalle gocce di pioggia che nel frattempo comincia a scendere. E va be', che ci vogliamo fare se questo giro continua all'insegna della sfortuna. In ogni caso possiamo almeno consolarci del fatto che la temperatura e la pioggia non consentono ai famigerati e ferocissimi sciami di zanzare siberiane di prendere il volo, cosa mai menzionata dalle guide e dai turisti, straniati dalla bellezza e dal panorama, ma che in estate sono uno dei flagelli più temuti della taiga, altro che orsi e lupi feroci. Non c'è dubbio però che il luogo abbia una sua bellezza intrinseca, ma il tempo infame, l'umidità ed il freddo piuttosto intensom non ce lo fanno godere appieno, oltretutto data la pioggia, dobbiamo rinunciare alche al trekking previsto all'interno della foresta alla ricerca delle alci selvatiche. 

Tiriamo così mezzogiorno per andare nella sala comune dove ci aspetta un pranzo a base di carne non ben meglio identificata e purè di patate. I bambini rubicondi che ci stanno attorno e ci assistono nel caso manifestassimo particolari bisogni, sono sicuramente bellissimi, difficile capire a quale etnia appartengano. Corrono nel prato bene infagottati nei loro giacconi lunghi e ci guardano un po' come bestie rare affidate alla loro cura. In fondo al cortile, Tumroo, così abbiamo capito, si chiami il nostro autista, a torso nudo, incurante della temperatura, sta lavando il pulmino sotto la pioggia. Canta sereno, oggi almeno, complice il tempo potrà dormire tutto il giorno. Certo fosse una giornata migliore, si potrebbe andare in giro in cerca di qualche accampamento di Tsaatan, o alla grotta di Dayran Deerkhii, la più grande del paese dove la leggenda racconta di un potente sciamano che rapì addirittura una bellissima figlia di Gengis Khas trasformandola in una statua di pietra, quando il padre arrivò per cercarla o ad Olon Golin Belchir, la confluenza dei fiumi che poi passa la frontiera e si riversa nel Baikal o al vicino lago Bianco Tsagaan nuur o ancora nella vicina depressione di Darkhaad che conteneva un lago gemello oggi prosciugato. 

Insomma ce ne sarebbero di cose da fare qui attorno, ma tra il tempo che manca e le condizioni climatiche, alla fine non facciamo proprio nulla se non girolare qui e là ad ammirare la selvaticità dei dintorni. Nel pomeriggio tuttavia si farà un giro a cavallo in luoghi nascosti attorno al lago. Arrivano infatti subito i bambini che bardano con attenzione i quadrupedi in attesa, con i sottosella riccamente ornati e le selle borchiate, mentre i piccoli cavali che brontolano fumando dalle froge. Alla fine si parte, mentre la pioggia si infittisce, è il destino barbaro e rio, che insegue Fantozzi, non c'è che dire. Al ritorno dopo un'oretta di sofferenza pura, il rientro nei bungalow è provvidenziale. Una bellissima ragazzina, arriva di corsa con le braccia colme di legna appena tagliata e accende la stufa che in poco tempo diventa rovente e riscalda ben bene la stanza. Bisogna cambiarsi completamente perché l'acqua penetra dappertutto, mutande comprese, ai poveri turisti sprovveduti, non certo protetti dai robusti giacconi impermeabili dei cavalieri mongoli. Tuttavia mettiamo agli atti anche questa e provvediamo ad andare a cena senza neppure l'opportunità di vedere il tramonto sulle acque, di cui si dicono meraviglie. In premio la carne stufata è talmente dura che dobbiamo abbandonarla quasi completamente nei piatti. La ragazza riporta un'altra catasta di legna nella baracca, almeno che duri tutta la notte, poi ci si butta sotto le trapunte spesse e chiudiamo gli occhi in pace con noi stessi ed il mondo. 


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martedì 25 novembre 2025

Seta 57 - Verso nord

I templi di Qaraqoeum - Mongolia - giugno 2025 - (foto T. Sofi)
 

Comunque alla fine si parte, anche se mezzogiorno è passato da un pezzo. La nostra meta dovrebbe essere a circa 550 km di distanza e se la strada è buona, ce la dovremmo fare, anche se il nostro autista continua a farci capire che è impossibile e che dovremmo pensare a soluzioni alternative. Noi speriamo che la barriera linguistica sia il solo problema che non ci consenta di afferrare appieno il messaggio del pilota e facciamo finta di non aver capito, cosa tra l'altro reale. Ad un tratto ecco che molla la strada buona e prende una pista che si infila in una valle verde. Sarà una scorciatoia, pensiamo subito, il fatto è che la velocità passa subito dai quasi 90 km/h a meno di 40 e questo complica decisamente le cose per la tabella di marcia. Il paesaggio, tuttavia, è diventato magnifico, percorriamo valli infinite con pascoli ricchi, costellati di laghetti e stagni di piccole dimensioni. Col sole alto nel cielo appaiono come zaffiri incastonati in un pavimento di smeraldo. Le mandrie si moltiplicano, soprattutto di cavalli che brucano l'erba fresca voluttuosamente, questi sì che sono pascoli che fanno gola. I gruppi di giumente coi puledri nati da poco sono sparsi dappertutto, mentre al margine del gruppo, noti subito uno stallone dalla criniera foltissima e dalla coda nera che caracolla intorno preoccupato più di sorvegliare le sue femmine che di nutrirsi di un'erba così golosa. 

Attraversiamo una zona piuttosto acquitrinosa e, con le zampe nell'acqua ecco due gru grigie che scavano il fondo in cerca di cibo, con i lunghi becchi. Sono le cosiddette demoiselles de Numidie (Grus virgo), che d'inverno migrano fino alla lontana India scavalcando l'Himalaya e che avevamo visto in Rajastan anni fa. Un viaggio quasi impossibile che pure loro compiono ogni anno per sottrarsi ai -30 C° e più, che arrivano implacabili da queste parti. Intanto la valle finisce e faticosamente risaliamo verso un passo, mentre la velocità continua a rallentare. Ecco un'altra valle nella quale scendiamo e percorriamo per un tratto e poi ancora si risale e si ridiscende. Stiamo facendo un su e giù incredibile attraverso una serie di rilievi paralleli che costringono la strada a tortuose curve. Certamente è un ambiente bellissimo, credo che abbiamo percorso un lungo tratto all'interno del parco nazionale della valle dell'Orkhon, ma di chilometri se ne fanno pochissimo, dopo tre ore di giravolte ne avremo fatti meno di un centinaio. Continuiamo a consultare disperatamente tutti i mezzi a nostra disposizione, Maps.me, Google map, che qui inopinatamente funzionano e a noi sembra che stiamo andando da tutt'altra parte di quella prevista, anche lo studio dei punti cardinali dice che ci stiamo muovendo verso est invece che verso nordovest, accidenti, carta canta. 

I tentativi di segnalare la cosa al nostro autista, con continue richieste di spiegazioni, si scontrano con  una serie di grugniti, che non riusciamo ad interpretare in nessun modo. Alla fine la nostra disperata perplessità deve arrendersi e ci lasciamo andare agli eventi. Lasciamo fare a lui quel che deve succedere succederà, non si può fare altro e godiamoci il panorama. Intanto passiamo per una cittadina tra le montagne piuttosto grande, ma fatta come al solito da una distesa di recinti che racchiudono gher e baracche di legno verso il centro, probabilmente un paese dove si raduna la scarna popolazione degli alpeggi vicini durante l'inverno e continuiamo su una strada sempre sterrata, ma di dimensioni più grandi, quasi fosse approntata per un futuro di asfalto. Qui si procede un po' più velocemente e cominciamo ad incrociare altri mezzi sempre con maggiore frequenza. Ad un certo punto cominciamo a costeggiare un evidente progetto di futura strada, rialzata rispetto al nostro livello e con frequenti mezzi di movimento terra al lavoro, addirittura di tanto in tanto riusciamo ad introdurci su questa carreggiata e a percorrere diversi chilometri su quella che è ormai un percorso battuto in attesa di bitumazione. 

Intanto sono quasi le cinque, ma finalmente arriviamo a Bulgan, Una cittadina di almeno 10.000 abitanti a meno di 150 chilometri dal confine con la Russia siberiana, popolata principalmente da Buriati che non amano la vita nelle gher e infatti, qui intorno vedi solo casette di legno dall'aspetto nordico. Finalmente è comparso l'asfalto e la strada diventa buona, forse il nostro autista era a conoscenza che questo era l'itinerario migliore, ma compulsando le carte vediamo con orrore che per arrivare a Mörön ci sono quasi 340 km e almeno altri 100 per arrivare al lago e sono già le 5 del pomeriggio! Non ci resta che abbandonarci agli eventi. Lasciamo velocemente Bulgan alle nostre spalle dopo aver fatto rifornimento e procediamo in un ambiente che diventa sempre più bello e rigoglioso. Qui vedi campi coltivati a cereali e verdure, qualche frutteto, case sparse sulle pendici dei rilievi e cominciano a comparire boschi e vere e proprie foreste di alberi, i primi che vediamo in Mongolia. Siamo ormai oltre i 1500 metri costantemente e la strada sembra risalire ancora. Qui l'ambiente naturale è ormai completamente diverso da quello in cui eravamo questa mattina, Dall'altopiano desertico siamo passati alla taiga siberiana, con una serie di vallate verdissime caratterizzate da un clima continentale specifico, con inverni freddissimi e brevi estati molto piovose che ingrossano i fiumi che scorrono verso a nord verso l'Artico. 

Le foreste diventano sempre più ricche ed estese. Lontane oltre a qualche piccolo villaggio più colorato, si vede anche qualche piccolo tempio dai tetti dorati che brillano in lontananza. Intanto, dopo una giornata di sole, ha cominciato a piovigginare, da un cielo gonfio di nuvole grigie che però all'orizzonte tra cime lontane lasciano passare la colata vermiglia di un tramonto assolutamente fuori dal comune. Gli ultimi raggi passano al disotto degli strati lontani e illuminano la coltre grigia che si incendia, colorando alfine tutto il cielo di viola carico, mentre si aprono le cataratte e comincia a piovere a dirotto. La strada continua a salire e ormai è diventato buio. Il nostro, che guida ininterrottamente da stamattina alle sei, quando è venuto a prelevarci nel deserto, salvo la sosta di un paio d'ore attorno al mezzogiorno, sembra decisamente stanco e quando finalmente arriviamo a Mörön, la città principale del distretto, sono quasi le 11 e bisogna fermarsi, quantomeno per esigenze fisiologiche e trovare un supermercato aperto per prendere qualche cosa da ingurgitare. Ne peschiamo uno ancora illuminato e velocemente ci riforniamo di quanto serve. Per il resto finiamo per usufruire di un vicolo dietro le prime case, tanto è buio pesto e non si vede in giro nessuno. 

Poi bisogna procedere perché al lago mancano ancora 100 km. Il nostro scrolla il testone, mentre noi, spietatamente, lo incitiamo a partire e non vorrei dire, ma mi sembra che stia crollando dal sonno. Stiamo arrivando verso i 2000 metri di quota e la strada verso il lago, se pur di montagna, procede abbastanza rettilinea, anche se il nostro ha decisamente diminuito la velocità. Incrociamo i fari di molte macchine; Il lago Khövsgul Nuur è forse la meta turistica più importante del paese e anche i Mongoli che se lo possono permettere vengono fin qui dalla capitale per godere della sua bellezza, anche se ci vuole un giorno di viaggio per arrivare, quindi sembra che sulle sue rive siano sorti tutta una serie di campeggi e strutture per un turismo bucolico di amanti della natura. Anche noi però crolliamo dal sonno quindi non possiamo neppure mettere in atto qualche modalità per tenere sveglio il pilota che continua a stropicciarsi gli occhi e a scrollare la testa, tanto ha capito che di riffa o di raffa bisogna arrivare fino in fondo e quindi continua a procedere, se pur lentamente, quasi appoggiato al volante. Alfine arriviamo al lago; butto un occhi all'orologio, è ormai la mezza. La cittadina sembra ancora sveglia e sul lungolago c'è anche qualche locale ancora illuminato. Crediamo di essere arrivati e invece no. Infatti bisogna ancora trovare il campeggio, dove dovremmo essere attesi, almeno speriamo. 

Il tipo telefona, poi prende uno stradino sterrato che procede lungo la riva del lago, speriamo bene perché il lago è lungo almeno cento chilometri e non abbiamo idea in quale punto sia la nostra meta, Non ci resta che procedere nel buio fitto della foresta, anche se la strada diventa sempre più malandata e si procede a fatica. I campeggi continuano ad apparire lungo la strada, nascosti tra gli alberi, ma l'insegna col nome che cerchiamo disperatamente non è mai quella giusta. Di tanto in tanto si ritelefona e si riparte, nel buio più fitto, rischiarato solo dai fari del nostro van. Qualche luce lontana alla nostra sinistra dove dovrebbe essere il bordo del lago, occhieggia di tanto in tanto, ma sono tutti falsi allarmi. Qualcuno di noi è già crollato e russa sonoramente, io dormiveglio, per fortuna la necessità della ricerca tiene sveglio chi guida, intanto io ho lasciato ogni speranza, ci siamo irrimediabilmente persi nella taiga come nel film di Dersu Uzala. Finalmente, quando vi dico la verità, non ci si sperava più e si temeva un'altra notte a bordo, ecco l'insegna desiderata, seminascosta tra gli alberi; una fioca lampadina accesa; qualcuno che apre un cancellone che dà l'accesso ad un prato. Ombre nere nella notte ci scaricano i bagagli e ci infiliamo di corsa nei bungalow di legno dai tetti aguzzi, decisamente spartani che ci aspettavano. Il sonno cala benevolo e mi cuce le palpebre immediatamente. Sono le due e tutto va bene, dice la sentinella elettronica.


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