domenica 30 novembre 2025

Seta 61 - Mongolia addio

Mongolia - giugno 2025 - (foto T. Sofi)


A questo punto bisogna trasferirsi in un'altra zona della città per andare al Palazzo d'inverno del Bogd Khan, un altro punto imperdibile di questa città. Un delirio, il traffico è talmente imballato che rimaniamo praticamente fermi o procediamo a passo d'uomo per quasi un'ora e tutto ciò per fare all'incirca quattro chilometri. Finalmente arriviamo, ma abbiamo subito problemi per entrare, niente carte di credito e vogliono solo tugrik. Tentiamo allora di andare a cambiarli ad un vicino sportello di banca, ma niente da fare, non si capisce quale sia il motivo, ma non si può, alla fine vien fuori che prenderebbero anche i dollari e la cosa si risolve. Sarebbe spiaciuto saltare la visita, questo infatti è un sito molto interessante a prescindere, un museo allestito in un antico palazzo degli inizi del '900, costruito da questo regnante senza regno, una figura di facciata messo a capo del governo dopo l'indipendenza del 1921, ma senza poteri effettivi. Questo Bogd infatti, il cui nome effettivo era  nientemeno che Agvaanluvsanchoijinyamdanzanvanchügbalsambuu, forse il più lungo nome che mai abbia avuto un re, era un sibarita gaudente che, dopo essere arrivato al potere con intrighi e soperchierie, mori nel 1924 dopo una serie di scandali sessuali e alcoolismo, ma che fece a tempo a lasciarci, eccentrico com'era, questa meraviglia, oggi trasformata in museo. 

In un grande e curatissimo giardino a cui si accede da un magnifico portone realizzato senza l'uso di chiodi ma con 108 incastri di legni pregiati, come il numero dei grani del rosario, numero sacro per il buddismo, sorgono diversi edifici, tra i quali il Palazzo vero e proprio che raccoglie in belle sale allestite con mobili ed arredi d'epoca, i doni ricevuti dai visitatori, tra i quali spiccano tanto per fare un esempio gli stivali d'oro regalati dallo Zar, mentre al piano superiore si può ammirare il trono, una serie straordinaria di antiche tankhe e le sue pellicce fatte, ad esempio, con 80 pelli di volpe o la più preziosa con ben 600 zibellini! Nel cortile c'è poi  la sua gher, foderata con le pelli di 150 leopardi delle nevi, che si dice, proprio per questa sua mania, sono arrivati alla quasi estinzione. C'è infine una collezione di animali rari imbalsamati e tutta una serie di oggetti preziosi di cui amava circondarsi. Il giardino conta infine diversi templi pieni di opere d'arte dei più famosi maestri dei secoli recedenti. Si può dire in effetti che passeggiare in questo sito ti dà un'idea di come venisse interpretato il fasto dai regnanti del passato in questa terra. Ne usciamo con gli occhi pieni di cose e quindi, tanto per riposarli un po', visto che siamo proprio a due passi da un pubblicizzatissimo spaccio di una fabbrica di materiali in cashmere, provvediamo a farci una sosta premiata, anche per dare un po' di soddisfazione alle ragazze che al solo sentire la parola, mostrano gli occhi più brillanti. 

In effetti si tratta di una grande negozio molto moderno che espone in grandi saloni la produzione al completo di questa azienda locale. Si sa, il cashmere è un prodotto di assoluta eccellenza e la lana prodotta dagli ovini di questa razza, negli sterminati pascoli mongoli, è la più fine e morbida del mondo, quindi non approfittare dell'occasione, sarebbe impensabile. In effetti non sai da che parte girarti, tra sciarpe, berretti, guanti e poi maglie, maglioni, vestiti e cappotti e chi più ne ha più ne metta, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Mentre le ragazze scelgono, a me piace aggirarmi più che guardando, toccando la superficie straordinariamente carezzevole di questi tessuti. così leggeri e caldi, da conquistarti immediatamente con il solo piacere del contatto. Di certo non potevano inventarlo che qui, questo materiale, dove d'inverno i meno 30 sono una costante e quindi una bella sciarpa calda, è quanto di meglio si possa cercare. Come ovvio i prezzi non sono come quelli che vediamo nelle nostre vetrine, anche se per un cittadino mongolo, non sono regalati. Comunque è pieno di turisti coreani che comprano come dei matti e mentre mi aggiro tra gli scaffali, ecco che parte la musica e comincia la sfilata con la presentazione dei capi più in voga. Una decina di modelle bellissime, molto lontane dal fenotipo mongolo, in comune hanno solo il taglio degli occhi, mentre per il resto sono delle stangone magrissime che vanno avanti e indietro ancheggiando come si confà al loro ruolo, fermandosi ai margini della passerella in pose plastiche per valorizzare il loro indumento. 

Insomma, alla fin fine, in ogni parte del mondo di belle ragazze ce ne sono sempre. Usciamo comunque coi nostri pacchettini, stanchi ma premiati. Io l'avrei anche conclusa qui, ma sembra che non si possa venire a Ulan Bator senza salire al monumento dei caduti da cui si ha una spettacolare vista di tutta la città dall'alto, essendo lo stesso situato sulla collina prospiciente. Per la verità avrei anche rinunciato se non dopo ampia assicurazione che l'accesso avviene tramite una comoda teleferica, ed in effetti le cose stanno proprio così, salvo il fatto che appena arrivati al grande centro commerciale aperto da poco alla stazione di arrivo della stessa, in realtà bisogna cuccarsi ancora all'incirca 300 scalini e più per arrivare davvero fino alla cima, alla piattaforma che si affaccia sulla città sottostante. Porco qui, porco là, mi accingo alla faticosa salita, che segue comunque una intera giornata di scarpinamenti vari, non è che mi lamento a ufo, poi vedo al mio fianco due ragazzi che accompagnano un amico sulla carrozzella e affrontano la salita caricandoselo sulle spalle a turno e un poco, al vedere la gioia che prova il ragazzo, quando arrivato in cima si guardava attorno, ridendo e battendo le mani per quanto poteva vedere intorno a sé, mi ha commosso e devo dire, che dopo, mi sono goduto anch'io la vista. Gli amici sono più contenti di lui e gli fanno girare tutta la piattaforma ridendo e scherzando felici, prima di riprendere la discesa.

Proprio sotto di noi si stende tutto il centro della città, di cui riconosci le piazze e le vie principali, mentre dietro, sulla collina i nuovissimi quartieri fatti di ville e di case da ricchi, questa è diventata la zona dove si è spostata l'élite della città, poi dall'altra parte, di fronte a noi, tutto intorno nella pianura, la grande periferia costituita dalle krushiovke malandate venute su come funghi in epoca sovietica e poi gli spazi sterminati, al di là si esse, fatte delle gher degli inurbati. Per la verità sembra che a questi abitanti recenti, nella maggior parte disoccupati che vivono di sussidi statali, sia offerto l'uso di quelle vecchie case fatiscenti, nella maggior parte dei casi ormai vuote, ma sembra che nessuno accetti questa sistemazione in quanto poi, sarebbe obbligato a pagare un affitto se pur simbolico e le varie utenze, magari a cercarsi un lavoro, mentre rimane molto più comodo continuare a vivere nelle tende a costo zero, come sono stati sempre abituati, nei pascoli infiniti del resto del paese, campando senza lavorare, anche se nella realtà questo non era affatto vero, essendo la vita nomade sicuramente più faticosa di quella cittadina. Sembra che ci sia una diatriba in atto su questo problema, se gli aiuti non siano un incentivo a non lavorare o se invece servano effettivamente a risolvere un problema di povertà difficile da estirpare. 

Mi sembra di ragionare su redditi di cittadinanza e simili cose, che da una parte te li fanno apparire come indispensabili istituti di civiltà sociale, dall'altra al contrario, per i loro detrattori, di comodi e magari dannosi incentivi per profittatori e nullafacenti di ogni specie. Forse è proprio vero che in tutto il mondo alla fine le problematiche sono sempre le stesse, alla fine. Scendiamo con calma, in fondo ogni luogo ti mostra cose che fanno pensare ed anche questo è una delle cose belle a cui ti abitua il girare per il mondo. Il problema nostro, ben più reale, invece è che alla base della collina, con le strade intasate di traffico, sono ormai quasi le otto ed è l'ora di punta, non si trovano taxi ed anche chiamando con l'apposita applicazione del telefonino, nessuno accetta la corsa, neppure pagandola, come prevede l'apposita opzione, il doppio o il triplo del normale. Evidentemente nessuno vuole sorbirsi l'ora di coda necessaria ad arrivare fin qui. Alla fine la questione si risolve e riusciamo ad arrivare ad un magnifico ristorante caucasico dove ci godiamo la nostra grande cena di addio alla Mongolia. Poi di corsa a nanna perché alle 3:30 di domattina arriva il taxi che ci condurrà con una cinquantina di chilometri, fino all'aeroporto, per l'infinito ritorno che ci riporterà a casa. Cero Marco Polo ci ha messo un paio di anni, quindi non ci si deve lamentare, ma anche quasi due giorni, da Ulan Bator a Istanbul, ad Amsterdam, a Milano e infine alla ridente Alessandria, non sono pochi. 


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giovedì 27 novembre 2025

Seta 60 - A Ulan Bator

La piazza centrale - Ulan Bator - Mongolia - giugno 2025 (foto T. Sofi)

Leggevo in un libro di viaggi: - Lo sguardo cerca punti di riferimento sul terreno. Non una strada, una pista, un sentiero, un fabbricato, una casa, tutto sembra vuoto: colline brulle, ondulazioni sinuose, corrugamenti appena accentuati, poi d'improvviso è un fiume scintillante, una strada dritta, un susseguirsi di edifici. È Ulan Bator la capitale -. Direi che non potrei descrivere meglio la sensazione che si ha, arrivando in questa grande città, che vi ricordo, ospita la metà della popolazione di un paese dalle dimensioni immense e già questa è una caratteristica così peculiare da rappresentarne la stranezza. Per la verità Ulan Bator è costituita da un nucleo centrale abbastanza piccolo, eretto in stile prettamente sovietico, una serie di abitati all'intorno piuttosto primitivi e malandati, ad esclusone di alcuni quartieri nuovissimi e poi da una sconfinata periferia fatta soprattutto di baracche e di gher, nella quale si ammucchiano tutti gli inurbati che, attirati dalla sua modernità, soluzione abbastanza semplice ed alla portata di ogni pastore che si rispetti, mal che vada si può sempre smontare tutto e tornare ai pascoli montani. Pensano di venire qui in cerca di opportunità e di una vita migliore da quella dei nomadi delle steppe. Ovviamente questa è una città di grandi contrasti tra cui si annovererebbe una popolazione di almeno 30.000 homeless che vivono sottoterra negli impianti fognari. 

Per il resto è una città che cerca di trovare il suo spazio nel mondo moderno, attraversata dalla ferrovia transmongolica che va diritta da nord a sud, dalla russa Ulan Udé, dove si congiunge con la Transiberiana, della quale costituisce uno dei rami meridionali e dall'altra arriva al confine cinese a Erenhot, la città dalla quale siamo entrati noi nel paese. Non si può certamente definire come una bella capitale, visto che è costituita per lo più da edifici anonimi dell'ultimo secolo e sappiamo che l'architettura sovietica non è certo nota per la sua grazia, tuttavia c'è sicuramente qualche interessante punto da visitare ed in ogni caso è sempre il luogo che definisce l'attuale anima e l'identità della Mongolia moderna. Non è una città molto antica, infatti la capitale è stata spostata diverse volte prima di stabilirsi in questo punto centrale del paese e ha cambiato diverse volte il nome, da Örgöö all'inizio del 1700, poi Ikh Kuree successivamente. Divenne poi nota fino al 1924 come Urga o Kuren. Infine appena fu nominata come nuova capitale della Repubblica Popolare creatasi dopo la rivoluzione, assunse il nome di Ulaan Baatar, cioè Eroe rosso, epiteto con cui veniva identificato il generale rivoluzionario  Damdin Sùchbaatar, morto qualche anno prima in circostanze misteriose e la cui statua fa bella mostra di sé nella piazza centrale della città, dove stava vicino alla statua di Lenin abbattuta prontamente alla caduta dell'Impero Sovietico. 

Ovviamente venendo in Mongolia non si può prescindere dal passare qui, vuoi perché in ogni caso è questo il centro pulsante del paese, e poi perché qui c'è l'aeroporto  internazionale per tornartene a casa. Un'altra caratteristica della città è che si tratta della capitale con la più bassa temperatura media dell'anno, -1,3°C, con minime medie a gennaio di -25°C e di +20°C nelle brevi estati, anche se è stata raggiunta una minima di -49°C e una massima di 38,6°C. Quindi il terreno è costituito da un permafrost ghiacciato già a piccola profondità, cosa che provoca grossi problemi statici nelle costruzioni dei moderni edifici di grandi dimensioni. Diciamo che solo le gher appunto, possono essere erette tranquillamente. Noi usciamo abbastanza presto, ma ci accorgiamo subito che qui la gente si sveglia tardi e di conseguenza tardi aprono i negozi. Riusciamo a fare una specie di colazione in un CU, catena coreana tipo 7eleven,  aperta 24 ore, qui la presenza dei Coreani è molto forte, poi andiamo a vedere il grande monastero di Gandan detto anche della Felicità perfetta. Al gruppo di templi, circondato da un muro, si accede traversando un quartiere di casupole modeste, fuori dal centro. All'interno si aggirano parecchi monaci, sembra che ne ospiti circa 400, ma anche diversi gruppetti di turisti, soprattutto Coreani, come ho detto. 

Gli edifici in classico stile tibetano, sono in massima parte templi dedicati ai diversi aspetti del buddismo tantrico. Uno è stato trasformato in una specie di museo che contiene molti oggetti antichi, bellissime tankhe e la biblioteca. Qui c'è un anziano monaco, sembra molto soddisfatto della nostra visita e ci accompagna nel giro, tentando di spiegarci qualcosa, ma in tibetano stretto o mongolo, che a questo punto per noi è un po' la stessa cosa. Davanti ad un altare c'è un certo numero delle classiche sciarpe di garzina bianca di benvenuto, che la Lina mostra di apprezzare e allora il monaco ne prende subito  una e gliela mette al collo con un grande sorriso. Usciamo più sereni di quando siamo entrati, forse essendo stati anche benedetti, che male non fa e passiamo al grande edificio bianco che racchiude la famosa statua dell'Avalokiteshvara, detta in mongolo Megjid Jianraiseg, il dio che guarda ovunque, uno statuone alto quasi trenta metri che occupa tutti i tre piani del tempio, di rame e acciaio, ricoperta di fregi di oro e di argento e almeno 2000 pietre preziose, ricostruita una trentina di anni fa e consacrata dal Dalai Lama in persona, per rimpiazzare quella portata via dai sovietici nel '37. Si dice che all'interno della statua siano racchiuse preziosissime reliquie e centinaia di libri sacri, cosa he aumenta notevolmente il potere apotropaico della statua stessa.

La squadra dei lottatori

Giro in senso orario attorno alla statua e rimango a lungo ad ammirare le meravigliose tankhe appese ai muri laterali. Bisogna dire che l'interno dei templi di religione buddista tibetana sono sempre straordinari per il rutilare dei colori, delle stoffe, dei dipinti e delle statue che li riempiono con una sorta di horror vacui che non lascia spazi liberi. Anche gli altari sono pieni di offerte di fiori e di frutta, nonché dalle tante sculture di burro colorate. Mentre ammiro tutto questo, ecco che entra un gruppo di colossi dalla muscolatura imponente. Dai loghi e dalle scritte delle magliette si indovina che si tratta della squadra nazionale coreana di lotta mongola, che è qui evidentemente per un importante campionato continentale. E' seguita dai fan e dalle telecamere di una stazione televisiva coreana che sta girando un documentario. I campioni rendono omaggio alla statua alla quale fanno devozioni evidentemente scaramantiche in vista delle gare e vengono filmati abbondantemente nei loro atti di preghiera. Ovviamente mi intrufolo e vado subito ad omaggiare il campione assoluto che mi viene indicato da un suo fan che lo sta a guardare con occhi adoranti. Mi complimento con lui, ma sono immediatamente adocchiato dalla Tv, e vengo quindi intervistato come ghiotta preda occidentale. 

Come è giusto mi spaccio per grande appassionato di questo sport, di cui mi sono ignote anche le più semplici regole, ma faccio i migliori auguri al campione ed a tutta la squadra, che mi saluta all'unisono con grande calore. Probabilmente non  capita tutti i giorni di avere un grande fan italiano che li segue. Poi ci aggiriamo un po' fuori nel grande giardino all'inseguimento di monaci che vanno alle varie sedute di meditazione, alcune delle quali si svolgono in un tempietto un po' separato, dedicato al guerriero Ghesar Khrom, dove si possono comprare anche benedizioni o erbe miracolose. Magari non lo sapete, ma il suddetto re guerriero, figura mitica del Bhutan e interprete del loro poema epico nazionale, non rappresenta altro che una storpiatura del nome di Cesare di Roma, ritenuto evidentemente il più grande condottiero  mai esistito e la cui fama era giunta fino alle più remote vallate himalayane attorno al V secolo. Per chi fosse curioso, vi do una chicca, infatti una tankha dedicata a questo personaggio divinizzato, è conservata anche al MAO di Torino, dove potrete ammirarla nella sala dedicata all'arte tibetana. Strani incontri si fanno girando per il mondo, non è vero? Usciamo di lì sazi di dedizione religiosa e ci dirigiamo verso i centro attraverso un quartiere piuttosto vivace con case zariste e sovietiche rimesse a posto, molte delle quali ospitano bei locali moderni all'occidentale. 

Nella piazza principale si aggirano gruppetti di turisti, molti dei quali locali, almeno dall'apparenza, tutti bardati in vesti tradizionali, i pesanti cappottoni mongoli con le bordure di pelliccia ed i cappelli adeguati coi pennacchi, donne comprese, che si fotografano l'un l'altro per l'occasione davanti al parlamento e alla grande statua di Gengis Khan seduto sul trono che domina la immensa scalinata anteriore, che con uno sguardo pacioso ricorda a tutti di essere stato il più grande di tutti. In fondo alla piazza, oltre il giardino campeggia il grande monumento equestre dedicato proprio a Damdin Sùchbaatar, che ha dato il nome alla città. La sua posizione, davanti al cosiddetto grattacielo a lenticchia, una iconica costruzione piuttosto recente che vuole inserire la città a pieno titolo nel novero delle più avanzate architetture, è davvero scenica e tutti la vogliono fotografare. Appena dopo le porte di legno rosse del tempio di Choijin Lama, dietro alle quali si indovinano gli incastri dei tetti di maiolica verde in stile cinese delle costruzioni. Purtroppo è chiuso e non riusciamo ad accedere, ma alla fine il colpo d'occhio migliore pare essere appunto quello dall'esterno. Oggi è stato trasformato in museo e i cinque templi paio ricchi di opere d'arte soprattutto religiosa. Ma bisogna procedere veloci perché la giornata è ancora lunga e avendo solamente un giorno da trascorrere nella capitale, bisogna darsi una mossa. 

    


SURVIVAL KIT

Ulan Bator - La capitale del paese con circa 1,5 mln di abitanti, in continua crescita, a circa 1400 m di altitudine, con un clima estremo. Vivace e culturalmente interessante, sta sviluppandosi tumultuosamente. Traffico assolutamente convulso per cui nei trasferimenti potreste occupare molto più tempo del previsto. Da vedere: La piazza centrale con la statua di Gengis Khan davanti al Parlamento e dell'eroe nazionale a cavallo che dà il nome alla città. Sempre nella piazza Suhbaatar il Museo Nazionale di storia, il Museo Naturale e il Teatro dell'opera. Dietro la piazza si può vedere il cosiddetto grattacielo a lenticchia dalla forma particolare. Rimane il Tempio Choijin Lama, un centinaio di metri dietro la piazza e più lontano da raggiungere in taxi, il Palazzo del Bogd Khan, un personaggio singolare che governò il paese ad inizio '900 e morì nel 1921 tra stravizi, alcolismo e scandali sessuali, ma raccolse in questo palazzo una ricchissima serie di oggetti e rarità che ne fanno oggi un importante museo da visitare assolutamente.. Abbiamo poi il Memoriale Zaijan, sulla collina da cui si ha una vista completa della città e a cui si accede con una teleferica ed eventualmente lo stadio dello sport dove si svolge il festival del Naamdan e gli incontri di lotta, le gare di ippica e di tiro con l'arco, i tre sport nazionali e che si svolge nel mese di luglio. Per chi vuole approfondire c'è anche la cattedrale cattolica di  San Pietro e Paolo e quella Ortodossa  della Trinità, oltre a qualche altro tempio buddista fuori città. 


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mercoledì 26 novembre 2025

Seta 59 - Verso la capitale

Bambini Tsaatan - Mongolia - giugno 2025
 

Come più volte ho avuto modo di raccontarvi il concetto di privacy in Mongolia è decisamente più lasco che da noi. Qui la vita è probabilmente più comunitaria rispetto alla nostra, lo stare insieme e la convivenza priva di inibizioni è forse anche una necessità in un luogo che ha così grandi difficoltà pratiche di vita. Così penso bisogna abituarsi in questi villaggi, anche alle improvvise visite notturne per necessità pratiche, che vengono vissute senza affanni e senza alcun imbarazzo. Ecco quindi che nel cuore della notte o forse saranno state le cinque di mattina, la ragazzina di ieri entra nella nostra camera e ravviva la stufa con altra legna, cosa che alla fine non è niente affatto sgradita, anzi, il gradevole tepore che si diffonde nella baita, ti farebbe stare serenamente a dormicchiare ancora sotto le coperte, rimandando al massimo il momento di andare fuori al gelo a tentare di darsi una lavata veloce al rubinetto senza acqua. Non fosse che oggi sarà un'altra giornata durissima e bisognerebbe alzarsi il più presto possibile, sarebbe bello rimanere al calduccio ancora un po', sperando nell'uscita di quel raggio di sole che intanto non verrà mai. Tanto alla fine la colazione non verrà servita che alle 7:30, ce la porteranno i soliti bambini, che arrivano addirittura in gruppo, ansiosi evidentemente di dare un'altra occhiata da vicino ai nasi lunghi prima che se ne vadano. 

Abbiamo già fatto una attenta verifica con Google map e oggi ci aspettano quasi 900 km per arrivare alla capitale, una bella zuppa, anche se la strada dovrebbe essere tutta asfaltata e gli ultimi 200 km addirittura di una specie di autostrada. Alla fine riusciamo a metterci in marcia solo alle 8:30. La ventina di chilometri che scorrono sul lungolago, fatti di giorno sono decisamente un'altra cosa, tutti in mezzo alla foresta di larici e di pini che ricopre la riva e che non si può negare, ha una sua selvatica bellezza. Siamo davvero fuori del mondo e della civiltà come la intendiamo noi. Il senso di solitudine profonda di questi luoghi ha un suo indubitabile fascino, soprattutto se ti rendi conto che tu poi, tra poco te ne tornerai nella civiltà, lasciando altri a sopravvivere qui, mentre arriverà la prima neve, le temperature a poco a poco scenderanno e il vento del nord comincerà a spazzare la superficie del lago ghiacciato. Un mondo di certo favolistico nel racconto, ma credo terribilmente duro da vivere nella pratica di tutti giorni, con difficoltà, forse oggi leggermente alleviate, anche grazie al contributo recente del vituperato per altri motivi, turismo, veramente dure da sopportare. 

I turisti a poco a poco scompariranno e rimarrà solo il riunirsi delle famiglie attorno alle stufe roventi dentro le gher a raccontare antiche leggende di guerrieri coraggiosi e principesse bellissime. Credo però che, oggigiorno, i discorsi saranno anche incentrati sulle possibilità ed i desideri di andarsene definitivamente nella capitale lontana, forse favoleggiata per le sue attrattive moderne e luccicanti. Bisogna vedere le cose in modo pratico e non si può pensare che la conoscenza di quello che c'è e in fondo non troppo lontano da qui, non funga da faro attrattivo irresistibile per molti. Inutile farsi contaminare da ideologie neonaturiste, alla fin fine, le comodità se le è inventate l'uomo per stare meglio, perché al calduccio si vive più comodi che se devi andare a spaccare la legna nel bosco mentre ti si congelano le dita e se devi macellare la renna con un coltellaccio invece di andare a mangiarti l'hamburger al McDonald con una bella birra fresca. Prova e poi me lo dici, ti direbbe il rubizzo uomo della taiga, con tanto di sberleffo. Il resto son chiacchere da bar o da impiegato della posta frustrato dalla timbrature, che vuole solamente scappare dalle cazziate del capufficio, ma che dopo una settimana nel bosco, con una canna in mano senza aver pescato niente, vorrebbe solo buttarsi giù nel burrone, ve lo posso garantire. 

La vita estrema è meravigliosa da guardare in un film, magari sdraiati sul divano con un bicchiere di brandy in mano e un quadretto di cioccolata amara da sgranocchiare, nelle sere di inverno con un plaid scozzese sulle gambe, datemi retta. Comunque ridendo e scherzando, solo a rifare il percorso sullo sterrato ci fa perdere quasi un'ora, poi bisogna ripercorrere la strada fino a Bulgan prima di prendere la deviazione per Ulan Baator. Dopo un'altra oretta, ripassiamo da Mörön, che vista di giorno ha un'altra faccia, piena di gente, anche se le casette di legno appaiono ancor più malandate dell'altra sera. Il paesaggio è decisamente montuoso, ma si viaggia decisamente meglio col chiaro, anche se continua a piovere. Il nostro Tumroo è bello riposato e ha tutto un altro piglio rispetto all'andata, quando scrollava continuamente la testa e si ravviava la pelata cercando di rimanere sveglio. A noi non rimane che goderci il paesaggio che sfila al nostro fianco e che forse è il più bello della Mongolia. Comunque arriviamo a Bulgan che è già pomeriggio avanzato. D'altra parte questa è forse l'arteria più importante del paese, forse addirittura l'unica ed è abbastanza logico che sia piuttosto trafficata. 

Visto che i chilometri da fare sono ancora moltissimi, siamo più o meno a metà strada, finisce che non abbiamo tempo per fermarci salvo un veloce stop in una specie di autogrill per il pranzo, mentre per la cena finiremo i viveri di sussistenza che avevamo con noi e le soste si limitano quindi solo all'espletamento della fisiologia, anche se Tumroo sembra brontolare, speriamo almeno che resista fino alla meta. Noi intanto facciamo finta di non capire e procediamo mentre il paesaggio comincia a mutare. Gli alberi sono scomparsi e si rivedono i i pascoli disseminati di mandrie. Decisamente è diventato tutto più arido e non per nulla è smesso anche di piovere. Per carità, è sempre un bel vedere, ma dopo un po' queste distese infinite e bellissime possono anche venire a noia. Così quando scende il buio e cominciamo ad avvicinarci a Ulan Bator, cala la palpebra e si finisce per dormicchiare aspettando solo di arrivare e sperando che la stessa cosa non capiti all'autista, che anche oggi si cuccherà quasi sedici ore di guida. Meno male che qui non c'è obbligo di disco orario come da noi i camionisti! 

La strada in effetti continua a migliorare,, ma contemporaneamente aumenta anche il traffico e finiamo per ritrovarci in una specie di coda continua che procede a fisarmonica e si addensa sempre di più man mano che i chilometri diminuiscono. Quando finalmente si arriva alla periferia della città, che comunque è una metropoli piuttosto orizzontale di oltre 1,500.000 abitanti, siamo continuamente fermi e il tempo sembra non passare mai. Alla fine, dopo aver cercato un po', arriviamo finalmente all'albergo che è quasi mezzanotte. Inutile dire che siamo di nuovo mezzi morti e non vediamo l'ora di ficcarci nel letto. Lasciamo quindi Gianluca a litigare telefonicamente con l'agenzia per ottenere uno sconto sul prezzo pattuito, che ci ripaghi almeno in parte dei disagi sostenuti e di quello che non siamo riusciti a vedere, cosa che i turisti che si sgobbano diecimila chilometri di aereo per vedere una cosa per una volta nella vita, è piuttosto importante. Poi il litigio che prosegue anche con Tamroo, che era incaricato di prelevare il contante. Insomma sembra proprio che, mentre noi dormiamo il sonno del giusto, questa Mongolia non si concluda nel migliore dei modi.

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