lunedì 1 dicembre 2025

Seta 62 - Cucina mongola

Shashlik di cammello - Mongolia - giugno 2025 
 

Ed ora, eccovi servito il consueto accenno alla cucina locale, che tuttavia, in questo caso, sarà piuttosto scarno, sia perché una settimana non è certo sufficiente per raccogliere bastevoli esperienze in merito, sia anche perché in fondo, la gastronomia mongola non è così ricca come quella dei suoi vicini. In ogni caso bisogna considerare che proprio questa vicinanza, sia alla cucina cinese che a quella russa e a quella dell'Asia centrale, ha avuto qui decisa influenza e molti dei piatti che incontrerete, risalgono a queste matrici. Inoltre bisogna considerare che per le sua situazione climatica, il paese ha a disposizione una scelta di ingredienti  molto più limitata rispetto ad altri, quindi decisamente poca verdura e frutta e carenza anche di spezie. Anche la bassa temperatura, presente per molta parte dell'anno ha una notevole influenza sulla preparazione dei piatti che saranno in sostanza prevalentemente composti in massima parte di latticini, carne e grassi. Il cereale di base è l'orzo, che viene utilizzato in minestre ed in varie preparazioni. Si mangia sempre carne, prevalentemente di montone, ma anche di bovino, cammello, cavallo e selvaggina, presenti anche come carne secca. In particolare vi segnalo di porre molta attenzione sul fatto che si mangi la marmotta che ha il problema di veicolare, nelle parti più isolate del paese, la peste bubbonica, che qui rimane comunque endemica. Questo pericolo non è da sottovalutare e sembra che ogni anno, emerga qualche focolaio, nei paesi sperduti nella steppa. La carne si mangia cotta in modo semplice, arrosto o grigliata, ma soprattutto bollita semplicemente o stufata oppure anche all'interno della pasta, come nei buzz, sorta di ravioli simili a quelli tibetani (momo) e russi (pelmeni). 

Naturalmente troverete molte zuppe, sempre con carne o con i classici noodles cinesi. Ci sono poi sempre piatti a base di riso con vari condimenti, assimilabili al plof dell'Asia centrale. Naturalmente essendo un paese di nomadi allevatori, la parte del leone è data dai prodotti derivati dal latte dei vari animali. Panna e burro sono molto usati come grassi fondamentali nella maggior parte dei piatti e quest'ultimo in particolare viene utilizzato nella preparazione del tè nello stile tibetano, molto salato e dispensatore di abbondanti calorie per sopportare il freddo. Quindi oltre al prodotto finale, il formaggio e il latte cagliato secco, c'è una grande varietà di prodotti intermedi, in particolare di fermentati, tra i quali, diverse tipologie di yogurt e di kefir. C'è addirittura un liquore prodotto dal latte, lo Shimiin Arkhi. Un cenno particolare va dato all'airan, latte di cavalla fermentato, che è la bevanda nazionale. Di tutte queste cose troverete varia offerta nell'attraversare il paese, dove forzatamente vi fermerete presso le soluzioni locali di gher oggi adibite dai nomadi al servizio turistico, mentre nella capitale, troverete soprattutto offerta di proposte all'occidentale. Si trova dovunque birra discreta anche locale, mentre il liquore più diffuso è la vodka. Per le colazioni, anche in giro per il paese, vengono di solito servite delle uova. Direi che non c'è molto altro da dire, salvo che, specialmente traversando il paese, occorre porre una certa attenzione alle norme igieniche di base, che tra i nomadi, per ovvie necessità pratiche, sono piuttosto vaghe. Quindi sempre acqua in bottiglia, che viene sempre fornita dai servizi turistici e che comunque si trova dappertutto. In sostanza confermo che non si viene in questo paese per la sua cultura gastronomica e visto che non c'è  molto altro da dire, chiuderei qui la questione.




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domenica 30 novembre 2025

Seta 61 - Mongolia addio

Mongolia - giugno 2025 - (foto T. Sofi)


A questo punto bisogna trasferirsi in un'altra zona della città per andare al Palazzo d'inverno del Bogd Khan, un altro punto imperdibile di questa città. Un delirio, il traffico è talmente imballato che rimaniamo praticamente fermi o procediamo a passo d'uomo per quasi un'ora e tutto ciò per fare all'incirca quattro chilometri. Finalmente arriviamo, ma abbiamo subito problemi per entrare, niente carte di credito e vogliono solo tugrik. Tentiamo allora di andare a cambiarli ad un vicino sportello di banca, ma niente da fare, non si capisce quale sia il motivo, ma non si può, alla fine vien fuori che prenderebbero anche i dollari e la cosa si risolve. Sarebbe spiaciuto saltare la visita, questo infatti è un sito molto interessante a prescindere, un museo allestito in un antico palazzo degli inizi del '900, costruito da questo regnante senza regno, una figura di facciata messo a capo del governo dopo l'indipendenza del 1921, ma senza poteri effettivi. Questo Bogd infatti, il cui nome effettivo era  nientemeno che Agvaanluvsanchoijinyamdanzanvanchügbalsambuu, forse il più lungo nome che mai abbia avuto un re, era un sibarita gaudente che, dopo essere arrivato al potere con intrighi e soperchierie, mori nel 1924 dopo una serie di scandali sessuali e alcoolismo, ma che fece a tempo a lasciarci, eccentrico com'era, questa meraviglia, oggi trasformata in museo. 

In un grande e curatissimo giardino a cui si accede da un magnifico portone realizzato senza l'uso di chiodi ma con 108 incastri di legni pregiati, come il numero dei grani del rosario, numero sacro per il buddismo, sorgono diversi edifici, tra i quali il Palazzo vero e proprio che raccoglie in belle sale allestite con mobili ed arredi d'epoca, i doni ricevuti dai visitatori, tra i quali spiccano tanto per fare un esempio gli stivali d'oro regalati dallo Zar, mentre al piano superiore si può ammirare il trono, una serie straordinaria di antiche tankhe e le sue pellicce fatte, ad esempio, con 80 pelli di volpe o la più preziosa con ben 600 zibellini! Nel cortile c'è poi  la sua gher, foderata con le pelli di 150 leopardi delle nevi, che si dice, proprio per questa sua mania, sono arrivati alla quasi estinzione. C'è infine una collezione di animali rari imbalsamati e tutta una serie di oggetti preziosi di cui amava circondarsi. Il giardino conta infine diversi templi pieni di opere d'arte dei più famosi maestri dei secoli recedenti. Si può dire in effetti che passeggiare in questo sito ti dà un'idea di come venisse interpretato il fasto dai regnanti del passato in questa terra. Ne usciamo con gli occhi pieni di cose e quindi, tanto per riposarli un po', visto che siamo proprio a due passi da un pubblicizzatissimo spaccio di una fabbrica di materiali in cashmere, provvediamo a farci una sosta premiata, anche per dare un po' di soddisfazione alle ragazze che al solo sentire la parola, mostrano gli occhi più brillanti. 

In effetti si tratta di una grande negozio molto moderno che espone in grandi saloni la produzione al completo di questa azienda locale. Si sa, il cashmere è un prodotto di assoluta eccellenza e la lana prodotta dagli ovini di questa razza, negli sterminati pascoli mongoli, è la più fine e morbida del mondo, quindi non approfittare dell'occasione, sarebbe impensabile. In effetti non sai da che parte girarti, tra sciarpe, berretti, guanti e poi maglie, maglioni, vestiti e cappotti e chi più ne ha più ne metta, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Mentre le ragazze scelgono, a me piace aggirarmi più che guardando, toccando la superficie straordinariamente carezzevole di questi tessuti. così leggeri e caldi, da conquistarti immediatamente con il solo piacere del contatto. Di certo non potevano inventarlo che qui, questo materiale, dove d'inverno i meno 30 sono una costante e quindi una bella sciarpa calda, è quanto di meglio si possa cercare. Come ovvio i prezzi non sono come quelli che vediamo nelle nostre vetrine, anche se per un cittadino mongolo, non sono regalati. Comunque è pieno di turisti coreani che comprano come dei matti e mentre mi aggiro tra gli scaffali, ecco che parte la musica e comincia la sfilata con la presentazione dei capi più in voga. Una decina di modelle bellissime, molto lontane dal fenotipo mongolo, in comune hanno solo il taglio degli occhi, mentre per il resto sono delle stangone magrissime che vanno avanti e indietro ancheggiando come si confà al loro ruolo, fermandosi ai margini della passerella in pose plastiche per valorizzare il loro indumento. 

Insomma, alla fin fine, in ogni parte del mondo di belle ragazze ce ne sono sempre. Usciamo comunque coi nostri pacchettini, stanchi ma premiati. Io l'avrei anche conclusa qui, ma sembra che non si possa venire a Ulan Bator senza salire al monumento dei caduti da cui si ha una spettacolare vista di tutta la città dall'alto, essendo lo stesso situato sulla collina prospiciente. Per la verità avrei anche rinunciato se non dopo ampia assicurazione che l'accesso avviene tramite una comoda teleferica, ed in effetti le cose stanno proprio così, salvo il fatto che appena arrivati al grande centro commerciale aperto da poco alla stazione di arrivo della stessa, in realtà bisogna cuccarsi ancora all'incirca 300 scalini e più per arrivare davvero fino alla cima, alla piattaforma che si affaccia sulla città sottostante. Porco qui, porco là, mi accingo alla faticosa salita, che segue comunque una intera giornata di scarpinamenti vari, non è che mi lamento a ufo, poi vedo al mio fianco due ragazzi che accompagnano un amico sulla carrozzella e affrontano la salita caricandoselo sulle spalle a turno e un poco, al vedere la gioia che prova il ragazzo, quando arrivato in cima si guardava attorno, ridendo e battendo le mani per quanto poteva vedere intorno a sé, mi ha commosso e devo dire, che dopo, mi sono goduto anch'io la vista. Gli amici sono più contenti di lui e gli fanno girare tutta la piattaforma ridendo e scherzando felici, prima di riprendere la discesa.

Proprio sotto di noi si stende tutto il centro della città, di cui riconosci le piazze e le vie principali, mentre dietro, sulla collina i nuovissimi quartieri fatti di ville e di case da ricchi, questa è diventata la zona dove si è spostata l'élite della città, poi dall'altra parte, di fronte a noi, tutto intorno nella pianura, la grande periferia costituita dalle krushiovke malandate venute su come funghi in epoca sovietica e poi gli spazi sterminati, al di là si esse, fatte delle gher degli inurbati. Per la verità sembra che a questi abitanti recenti, nella maggior parte disoccupati che vivono di sussidi statali, sia offerto l'uso di quelle vecchie case fatiscenti, nella maggior parte dei casi ormai vuote, ma sembra che nessuno accetti questa sistemazione in quanto poi, sarebbe obbligato a pagare un affitto se pur simbolico e le varie utenze, magari a cercarsi un lavoro, mentre rimane molto più comodo continuare a vivere nelle tende a costo zero, come sono stati sempre abituati, nei pascoli infiniti del resto del paese, campando senza lavorare, anche se nella realtà questo non era affatto vero, essendo la vita nomade sicuramente più faticosa di quella cittadina. Sembra che ci sia una diatriba in atto su questo problema, se gli aiuti non siano un incentivo a non lavorare o se invece servano effettivamente a risolvere un problema di povertà difficile da estirpare. 

Mi sembra di ragionare su redditi di cittadinanza e simili cose, che da una parte te li fanno apparire come indispensabili istituti di civiltà sociale, dall'altra al contrario, per i loro detrattori, di comodi e magari dannosi incentivi per profittatori e nullafacenti di ogni specie. Forse è proprio vero che in tutto il mondo alla fine le problematiche sono sempre le stesse, alla fine. Scendiamo con calma, in fondo ogni luogo ti mostra cose che fanno pensare ed anche questo è una delle cose belle a cui ti abitua il girare per il mondo. Il problema nostro, ben più reale, invece è che alla base della collina, con le strade intasate di traffico, sono ormai quasi le otto ed è l'ora di punta, non si trovano taxi ed anche chiamando con l'apposita applicazione del telefonino, nessuno accetta la corsa, neppure pagandola, come prevede l'apposita opzione, il doppio o il triplo del normale. Evidentemente nessuno vuole sorbirsi l'ora di coda necessaria ad arrivare fin qui. Alla fine la questione si risolve e riusciamo ad arrivare ad un magnifico ristorante caucasico dove ci godiamo la nostra grande cena di addio alla Mongolia. Poi di corsa a nanna perché alle 3:30 di domattina arriva il taxi che ci condurrà con una cinquantina di chilometri, fino all'aeroporto, per l'infinito ritorno che ci riporterà a casa. Cero Marco Polo ci ha messo un paio di anni, quindi non ci si deve lamentare, ma anche quasi due giorni, da Ulan Bator a Istanbul, ad Amsterdam, a Milano e infine alla ridente Alessandria, non sono pochi. 


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giovedì 27 novembre 2025

Seta 60 - A Ulan Bator

La piazza centrale - Ulan Bator - Mongolia - giugno 2025 (foto T. Sofi)

Leggevo in un libro di viaggi: - Lo sguardo cerca punti di riferimento sul terreno. Non una strada, una pista, un sentiero, un fabbricato, una casa, tutto sembra vuoto: colline brulle, ondulazioni sinuose, corrugamenti appena accentuati, poi d'improvviso è un fiume scintillante, una strada dritta, un susseguirsi di edifici. È Ulan Bator la capitale -. Direi che non potrei descrivere meglio la sensazione che si ha, arrivando in questa grande città, che vi ricordo, ospita la metà della popolazione di un paese dalle dimensioni immense e già questa è una caratteristica così peculiare da rappresentarne la stranezza. Per la verità Ulan Bator è costituita da un nucleo centrale abbastanza piccolo, eretto in stile prettamente sovietico, una serie di abitati all'intorno piuttosto primitivi e malandati, ad esclusone di alcuni quartieri nuovissimi e poi da una sconfinata periferia fatta soprattutto di baracche e di gher, nella quale si ammucchiano tutti gli inurbati che, attirati dalla sua modernità, soluzione abbastanza semplice ed alla portata di ogni pastore che si rispetti, mal che vada si può sempre smontare tutto e tornare ai pascoli montani. Pensano di venire qui in cerca di opportunità e di una vita migliore da quella dei nomadi delle steppe. Ovviamente questa è una città di grandi contrasti tra cui si annovererebbe una popolazione di almeno 30.000 homeless che vivono sottoterra negli impianti fognari. 

Per il resto è una città che cerca di trovare il suo spazio nel mondo moderno, attraversata dalla ferrovia transmongolica che va diritta da nord a sud, dalla russa Ulan Udé, dove si congiunge con la Transiberiana, della quale costituisce uno dei rami meridionali e dall'altra arriva al confine cinese a Erenhot, la città dalla quale siamo entrati noi nel paese. Non si può certamente definire come una bella capitale, visto che è costituita per lo più da edifici anonimi dell'ultimo secolo e sappiamo che l'architettura sovietica non è certo nota per la sua grazia, tuttavia c'è sicuramente qualche interessante punto da visitare ed in ogni caso è sempre il luogo che definisce l'attuale anima e l'identità della Mongolia moderna. Non è una città molto antica, infatti la capitale è stata spostata diverse volte prima di stabilirsi in questo punto centrale del paese e ha cambiato diverse volte il nome, da Örgöö all'inizio del 1700, poi Ikh Kuree successivamente. Divenne poi nota fino al 1924 come Urga o Kuren. Infine appena fu nominata come nuova capitale della Repubblica Popolare creatasi dopo la rivoluzione, assunse il nome di Ulaan Baatar, cioè Eroe rosso, epiteto con cui veniva identificato il generale rivoluzionario  Damdin Sùchbaatar, morto qualche anno prima in circostanze misteriose e la cui statua fa bella mostra di sé nella piazza centrale della città, dove stava vicino alla statua di Lenin abbattuta prontamente alla caduta dell'Impero Sovietico. 

Ovviamente venendo in Mongolia non si può prescindere dal passare qui, vuoi perché in ogni caso è questo il centro pulsante del paese, e poi perché qui c'è l'aeroporto  internazionale per tornartene a casa. Un'altra caratteristica della città è che si tratta della capitale con la più bassa temperatura media dell'anno, -1,3°C, con minime medie a gennaio di -25°C e di +20°C nelle brevi estati, anche se è stata raggiunta una minima di -49°C e una massima di 38,6°C. Quindi il terreno è costituito da un permafrost ghiacciato già a piccola profondità, cosa che provoca grossi problemi statici nelle costruzioni dei moderni edifici di grandi dimensioni. Diciamo che solo le gher appunto, possono essere erette tranquillamente. Noi usciamo abbastanza presto, ma ci accorgiamo subito che qui la gente si sveglia tardi e di conseguenza tardi aprono i negozi. Riusciamo a fare una specie di colazione in un CU, catena coreana tipo 7eleven,  aperta 24 ore, qui la presenza dei Coreani è molto forte, poi andiamo a vedere il grande monastero di Gandan detto anche della Felicità perfetta. Al gruppo di templi, circondato da un muro, si accede traversando un quartiere di casupole modeste, fuori dal centro. All'interno si aggirano parecchi monaci, sembra che ne ospiti circa 400, ma anche diversi gruppetti di turisti, soprattutto Coreani, come ho detto. 

Gli edifici in classico stile tibetano, sono in massima parte templi dedicati ai diversi aspetti del buddismo tantrico. Uno è stato trasformato in una specie di museo che contiene molti oggetti antichi, bellissime tankhe e la biblioteca. Qui c'è un anziano monaco, sembra molto soddisfatto della nostra visita e ci accompagna nel giro, tentando di spiegarci qualcosa, ma in tibetano stretto o mongolo, che a questo punto per noi è un po' la stessa cosa. Davanti ad un altare c'è un certo numero delle classiche sciarpe di garzina bianca di benvenuto, che la Lina mostra di apprezzare e allora il monaco ne prende subito  una e gliela mette al collo con un grande sorriso. Usciamo più sereni di quando siamo entrati, forse essendo stati anche benedetti, che male non fa e passiamo al grande edificio bianco che racchiude la famosa statua dell'Avalokiteshvara, detta in mongolo Megjid Jianraiseg, il dio che guarda ovunque, uno statuone alto quasi trenta metri che occupa tutti i tre piani del tempio, di rame e acciaio, ricoperta di fregi di oro e di argento e almeno 2000 pietre preziose, ricostruita una trentina di anni fa e consacrata dal Dalai Lama in persona, per rimpiazzare quella portata via dai sovietici nel '37. Si dice che all'interno della statua siano racchiuse preziosissime reliquie e centinaia di libri sacri, cosa he aumenta notevolmente il potere apotropaico della statua stessa.

La squadra dei lottatori

Giro in senso orario attorno alla statua e rimango a lungo ad ammirare le meravigliose tankhe appese ai muri laterali. Bisogna dire che l'interno dei templi di religione buddista tibetana sono sempre straordinari per il rutilare dei colori, delle stoffe, dei dipinti e delle statue che li riempiono con una sorta di horror vacui che non lascia spazi liberi. Anche gli altari sono pieni di offerte di fiori e di frutta, nonché dalle tante sculture di burro colorate. Mentre ammiro tutto questo, ecco che entra un gruppo di colossi dalla muscolatura imponente. Dai loghi e dalle scritte delle magliette si indovina che si tratta della squadra nazionale coreana di lotta mongola, che è qui evidentemente per un importante campionato continentale. E' seguita dai fan e dalle telecamere di una stazione televisiva coreana che sta girando un documentario. I campioni rendono omaggio alla statua alla quale fanno devozioni evidentemente scaramantiche in vista delle gare e vengono filmati abbondantemente nei loro atti di preghiera. Ovviamente mi intrufolo e vado subito ad omaggiare il campione assoluto che mi viene indicato da un suo fan che lo sta a guardare con occhi adoranti. Mi complimento con lui, ma sono immediatamente adocchiato dalla Tv, e vengo quindi intervistato come ghiotta preda occidentale. 

Come è giusto mi spaccio per grande appassionato di questo sport, di cui mi sono ignote anche le più semplici regole, ma faccio i migliori auguri al campione ed a tutta la squadra, che mi saluta all'unisono con grande calore. Probabilmente non  capita tutti i giorni di avere un grande fan italiano che li segue. Poi ci aggiriamo un po' fuori nel grande giardino all'inseguimento di monaci che vanno alle varie sedute di meditazione, alcune delle quali si svolgono in un tempietto un po' separato, dedicato al guerriero Ghesar Khrom, dove si possono comprare anche benedizioni o erbe miracolose. Magari non lo sapete, ma il suddetto re guerriero, figura mitica del Bhutan e interprete del loro poema epico nazionale, non rappresenta altro che una storpiatura del nome di Cesare di Roma, ritenuto evidentemente il più grande condottiero  mai esistito e la cui fama era giunta fino alle più remote vallate himalayane attorno al V secolo. Per chi fosse curioso, vi do una chicca, infatti una tankha dedicata a questo personaggio divinizzato, è conservata anche al MAO di Torino, dove potrete ammirarla nella sala dedicata all'arte tibetana. Strani incontri si fanno girando per il mondo, non è vero? Usciamo di lì sazi di dedizione religiosa e ci dirigiamo verso i centro attraverso un quartiere piuttosto vivace con case zariste e sovietiche rimesse a posto, molte delle quali ospitano bei locali moderni all'occidentale. 

Nella piazza principale si aggirano gruppetti di turisti, molti dei quali locali, almeno dall'apparenza, tutti bardati in vesti tradizionali, i pesanti cappottoni mongoli con le bordure di pelliccia ed i cappelli adeguati coi pennacchi, donne comprese, che si fotografano l'un l'altro per l'occasione davanti al parlamento e alla grande statua di Gengis Khan seduto sul trono che domina la immensa scalinata anteriore, che con uno sguardo pacioso ricorda a tutti di essere stato il più grande di tutti. In fondo alla piazza, oltre il giardino campeggia il grande monumento equestre dedicato proprio a Damdin Sùchbaatar, che ha dato il nome alla città. La sua posizione, davanti al cosiddetto grattacielo a lenticchia, una iconica costruzione piuttosto recente che vuole inserire la città a pieno titolo nel novero delle più avanzate architetture, è davvero scenica e tutti la vogliono fotografare. Appena dopo le porte di legno rosse del tempio di Choijin Lama, dietro alle quali si indovinano gli incastri dei tetti di maiolica verde in stile cinese delle costruzioni. Purtroppo è chiuso e non riusciamo ad accedere, ma alla fine il colpo d'occhio migliore pare essere appunto quello dall'esterno. Oggi è stato trasformato in museo e i cinque templi paio ricchi di opere d'arte soprattutto religiosa. Ma bisogna procedere veloci perché la giornata è ancora lunga e avendo solamente un giorno da trascorrere nella capitale, bisogna darsi una mossa. 

    


SURVIVAL KIT

Ulan Bator - La capitale del paese con circa 1,5 mln di abitanti, in continua crescita, a circa 1400 m di altitudine, con un clima estremo. Vivace e culturalmente interessante, sta sviluppandosi tumultuosamente. Traffico assolutamente convulso per cui nei trasferimenti potreste occupare molto più tempo del previsto. Da vedere: La piazza centrale con la statua di Gengis Khan davanti al Parlamento e dell'eroe nazionale a cavallo che dà il nome alla città. Sempre nella piazza Suhbaatar il Museo Nazionale di storia, il Museo Naturale e il Teatro dell'opera. Dietro la piazza si può vedere il cosiddetto grattacielo a lenticchia dalla forma particolare. Rimane il Tempio Choijin Lama, un centinaio di metri dietro la piazza e più lontano da raggiungere in taxi, il Palazzo del Bogd Khan, un personaggio singolare che governò il paese ad inizio '900 e morì nel 1921 tra stravizi, alcolismo e scandali sessuali, ma raccolse in questo palazzo una ricchissima serie di oggetti e rarità che ne fanno oggi un importante museo da visitare assolutamente.. Abbiamo poi il Memoriale Zaijan, sulla collina da cui si ha una vista completa della città e a cui si accede con una teleferica ed eventualmente lo stadio dello sport dove si svolge il festival del Naamdan e gli incontri di lotta, le gare di ippica e di tiro con l'arco, i tre sport nazionali e che si svolge nel mese di luglio. Per chi vuole approfondire c'è anche la cattedrale cattolica di  San Pietro e Paolo e quella Ortodossa  della Trinità, oltre a qualche altro tempio buddista fuori città. 


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