sul ponte in ferro
draghi e fenici volano -
il fiume scorre
Cigno dal collo nero di Chiloè - Patagonia - Cile - novembre 2024 |
Chiloè significa l'isola dei gabbiani, come è giusto che sia in un posto marino di fronte all'Oceano. Però per la verità, in questa parte della costa, lungo il canale che ci separa dal continente, non ce ne sono moltissimi, forse staranno in prevalenza nella parte est, affacciata sulla sconfinata distesa di acque che poi pacifica non lo è quasi mai, ventosa preda delle fredde correnti che salgono dall'Antardide e per questo assai pescosa, almeno un tempo. Dunque proprio il mare è la chiave di vita e di sopravvivenza di queste terre, un tempo così lontane dalle vie commerciali da essere solamente punto di appoggio per le baleniere, poi via via più interessanti proprio per la pesca, oggi principalmente per l'allevamento ittico, discutibile fin che si vuole, ma importantissima fonte di sviluppo che consente a questa parte di paese di essere abitata. Va da sé che qui tutto ruota attorno a questo settore e anche le abitudini alimentari seguono l'onda, è proprio il caso di dirlo. Scendiamo quindi nella zona sul mare della cittadina di Castro e Hector ci porta in un locale di un amico, che ovviamente ci raccomanda assolutamente. E' un ristorantino ricavato da una casetta colorata di blu, su un'alta palafitta. Siamo in bassa marea e sulla terrazza del locale, vetrata ovviamente per non morire di freddo, sembra di essere sui trampoli, appollaiati come uccelli marini sempre timorosi di cascare giù sulla spiaggetta nera e coperta di alghe, forse lasciate dalla Pincoya nel suo ultimo e macabro ballo dell'alba.
L'interno è pieno di richiami all'attività della pesca e il gestore ha davvero l'aria di un pescatore che ha cambiato mestiere, in cucina le donne della famiglia, moglie, nonne chissà. Qui è d'obbligo provare il piatto principe dell'isola, il famoso Curanto, che più che un piatto è un distintivo culturale che risale alla tradizione indigena, mentre l'asado o il cordero patagonigo sono di cultura meticcia. In origine era una sorta di cerimonia delle feste, certo non un cibo di tutti i giorni, dato che la preparazione era piuttosto lunga e partecipativa per l'intera tribù e se vogliamo si tratta più di un metodo di cottura che di un alimento specifico. Dunque tradizione vuole che si preparasse una buca nel terreno profonda una cinquantina di centimetri e larga un metro. Questo sistema, al di là degli ingredienti usati, è un metodo utilizzato in molte culture di tutto il mondo naturalmente, dal montone del mondo arabo, al maiale del sudest asiatico, ai vari cibi interrati del mondo delle isole del Pacifico. Sul fondo della buca vengono disposte un pavimento di pietre basaltiche piatte, sulle quali viene acceso un gran fuoco; quando la legna si è trasformata in brace e le pietre si sono arroventate, si dispone uno spesso strato di ogni genere di molluschi in conchiglia, cozze, vongole e altro, sopra, uno strato di carne di pollo, poi pezzi di maiale.
El Curanto |
Le cozze intanto cominciano a rilasciare acqua e dalla buca si leva così un gran fumo, in cui sono avvolte le donne che stanno montando tutto l'ambaradàn, mentre si dispone uno strato corposo di patate intere, poi ancora maiale e salcicce, poi tortillas e patate schiacciate, una sorta di purea, infine verdure varie mentre il tutto viene ricoperte con gran di foglie di piante locali. La buca da cui ormai non si leva più fumo, viene sigillata con sacchi o terra. Si apre dopo una o due orette e ogni cosa viene estratta man mano e mangiata in comunità. Si tratta in effetto di un gran bollito dai sapori mescolati in cui il condimento è dato soprattutto dai grassi del maiale che colano su tutto il resto, insaporendo il cibo, cui contribuirà anche qualche erba aromatica di cui ogni ricetta ha un suo segreto esclusivo, dettata anche dalla disponibilità locale. Naturalmente è' molto probabile che oggi le cose vadano diversamente e che la buca sia sostituita da un pentolone prosaico e tristanzuolo, ma che ci vogliamo fare, noi non vogliamo andare ad indagare, visto che l'illusione fa parte delle emozioni del viaggio e quando arriva il vassoio in tavola, non possiamo invece che levare espressioni di meraviglia, vista la quantità e la presentazione. Soprattutto il coquillage ha un aspetto mostruoso: Cozze con una valva che da sola riempie il piatto e vongoloni grossi come una mano che nascondono un mollusco di dimensioni mai viste, un vero e proprio blocco di carne, che poi nella realtà si rivela piuttosto coriaceo e gommoso, ma dal sapore magnifico.
S. Francesco |
Decisamente è una esperienza da fare e Octavio, così mi sembra si chiami il nostro anfitrione, se ne sta appollaiato in fondo alla sala per godersi la nostra meraviglia e anche le vecchie ogni tanto fanno capolino dalla cucina, curiose di spiare le nostre reazioni, visto che tra l'altro siamo i soli ospiti della giornata. Tra l'altro con un piccolo antipasto e le bevande ce la caviamo con 52.000 pesos in quattro. Quando è ora di mettere mano al portafoglio, il Pos naturalmente non funziona e noi di pesos non ne abbiamo, quindi ce ne andiamo senza pagare, con la promessa di ritornare appena riusciamo a cambiare qualcosa. Octavio rimane sulla porta con uno sguardo forse dubbioso e non saprei come interpretarlo meglio. Ce ne risaliamo in paese dove per prima cosa visitiamo la bella chiesa in legno di San Francesco sulla piazza des Armas, nel centro, visto che è ancora aperta. La chiesa è molto grande e la struttura lignea all'interno presenta bellissime soluzioni costruttive, forse la più bella che abbiamo visto sull'isola, a partire dalla complessa volta a crociera della grande navata centrale sostenuta da robuste colonne in legno, ognuna delle quali provenienti evidentemente da alberi di notevoli dimensioni. Una serie di belle statue lignee, colorate anch'esse, quasi vestite a festa, sfilano lungo le navate laterali illuminate da un rosone curiosamente posto nell'abside.
Vendita di mariscos |
Usciamo infine mentre il cielo si rischiara un po' e troviamo la banca nazionale subito all'angolo, che ci consente di cambiare un centone, tanto per la sopravvivenza e per pagare i debito contratti. Così possiamo ritornare finalmente al ristorante che forse già ci dava per dispersi e pagare il conto. Lasciamo quindi la baia dove grandi cigni dal collo nero solcano maestosi le acque e facciamo la decina di chilometri che ci separano da Dalcahue. Certo se ci fosse il tempo sarebbe bello prendere il piccolo traghetto che porta fino alla vicina isola di Quilchao, per vedere la chiesa più antica di tutta Chiloè, nel paesino di Achao, costruita come già detto alla fine del 1700, come Santa Maria di Loreto, esempio conclamato appartenente alla scuola Chilota di architettura religiosa in legno, che presenta, come ho potuto vedere dalle foto, una severa facciata grigia ricoperta di scandole in legno occupata interamente da un grande timpano triangolare sostenuto da un portico pentastilo cui fa da corona un proporzionato campanile esagonale. Questo sarebbe un po' l'archetipo di tutte le altre chiese lignee di Chiloè che sono circa una settantina. Noi diamo invece un'occhiata al bel paesino di Dalcahue, un borgo di circa 10.000 abitanti incuneato in una baia della costa di fronte ad un arcipelago di piccole isole. La baia è quasi asciutta dato che evidentemente siamo nel momento di bassa marea che lascia scoperto larghi tratti di fondo marino scuro e coperto di detriti di vario genere.
Nostra Signora de los dolores |
Arriviamo in centro per vedere la sua bella chiesa di Nostra Signora de los dolores, situata nella piazza principale occupata da un bel giardino. Qui la facciata è ancora più complessa e variata con una elegante serie di archi a tutto sesto e a sesto acuto alternati. Le vie del centro, una sfilata di casette colorate, sono piene di negozi con gadget per i turisti, semideserti e altri che vendono ogni sorta di mariscos, conchiglie e conchiglioni inclusi quelli marroni e allungati che mi sembrano datteri di mare, a prezzi davvero modici e che sono invece affollati di compratori. Intanto il cielo comincia a scurirsi e riprendiamo la strada per tornare a Chacao che raggiungiamo in una oretta di guida. Lungo tutto il percorso bancarelle che offrono fragole e ciliegie, evidentemente siamo nel pieno della stagione. Lontani i boschi rimasti, fitti ed oscuri nei quali non ci siamo addentrati per evitare di incontrare la orrida Fiura la strega malefica dell'isola, in cerca di uomini da sedurre, dall'alito mefitico e che pare provochi pure la sciatica! Poi il traghetto ed infine un'altra oretta per ritornare a Puerto Varas. A questo punto ci facciamo lasciare nella piazza principale dal buon Hector, preoccupato solo che la giornata ci abbia soddisfatto e andiamo a mangiare una sontuosa paella al nero di seppia, in un ristorante spagnolo di cui non ricordo più neanche il nome, vicino a quello di ieri sera. Devo dire che non era malvagia assolutamente. Ce la caviamo con 75.000 in quattro, cosa che ci ha alleviato la scarpinata in salita per raggiungere le nostre Cabanas. Domani si parte.
Cozza gigante |
Palafitte di Castro - Isola di Chiloè - Chile - Novembre 2024 |
Ancora qualche passo in paese, balconi fioriti e un paio di negozi di souvenir chiusi, questa non è proprio una di quelle zone dove ci si possa lamentare dell'over turism, poi possiamo procedere attraverso la campagna verde, lungo la RN5 che si prolunga ancora per tutta l'isola per terminare nella sua parte meridionale, dove se vuoi proseguire verso sud, a Quellon devi prendere un traghetto che ritorni verso la costa per raggiungere quello che rimane da percorrere della Carretera Austral prima che si arresti davanti i ghiacciai del profondo sud. Dopo una trentina di chilometri siamo ad Ancud, la iniziale capitale dell'isola fondata dagli spagnoli, che presidia l'ingresso di una lunga insenatura che penetra l'entroterra. Qui si svolse l'ultima battaglia tra Spagnoli e Cileni nella guerra Ispano-americana nel 1866 ed i bastioni del minuscolo forte Sant'Antonio rimangono a guardia del nulla, con i loro 9 o 10 cannoni sugli spalti a testimoniare di questo passato militare della postazione. Per il resto queste terre sono rimaste sepolte per secoli nell'oblio della lontananza da tutto e Darwin che approdò nel porto di Ancud nel 1834 prima di risalire verso il Perù, ebbe poco da segnalare, anche se allora avrà trovato una attività di pesca molto più fiorente di quella che si può vedere oggi, dato che le risorse ittiche sono state irrimediabilmente saccheggiate dalla pesca dei grandi pescherecci internazionali contro i quali i locali pescatori tradizionali, con le loro piccole barche ben poco possono.
Museo |
Poi ci facciamo anche un giro tra i negozietti di souvenir, ma con scarsa fortuna. Non riusciamo neppure a cambiare qualche soldo, necessario, visto che non abbiamo pesos cileni e da queste parti nessuno accetta altro. Ma qui non ci sono cambisti e neppure le banche fanno questo servizio, bisognerà attendere di arrivare a Castro. Proseguiamo così lungo la RN5 attraversando tutta l'isola fino alla sua parte centrale sulla costa che affaccia sul canale che la separa dal continente, per arrivare ad una ampia insenatura dove sorge l'abitato di Castro, cittadina di poche migliaia di abitanti, ma decisamente la più interessante dell'isola, grazie ai suoi quartieri di casette colorate su palafitte che sorgono nelle varie anse della costa. Non è chiaro come mai si è scelta questa modalità costruttiva, ma una delle spiegazioni più logiche potrebbe essere dovuta al fatto che i pescatori trovavano comodo arrivare direttamente in casa dalle barche ed inoltre pare che questa soluzione sia stata scelta anche a causa del fatto che i pescatori, categoria che è sempre stata afflitta da una grande povertà non aveva le disponibilità di denaro necessarie ad acquistare parcelle di terra dove costruire. Sia come sia, oggi una delle attrazioni di Castro sono proprio le sfilate di casette che appaiono ancor di più appollaiate in alto sulla costa se ci arrivate durante la bassa marea, visto che da queste parti il dislivello è anche di qualche metro.
In effetti i panorami dalle diverse balconate della strada che si affaccia sulle anse della laguna sono molto pittoresche. La schiera di casette di legno allineate lungo la riva scoscesa, mostrano una tavolozza vivacissima e le lunghissime palificazioni scure che poggiano sul fondo fangoso paiono lunghe e delicate gambe di trampolieri sul punto di spezzarsi. Anche i tetti sono coloratissimi, ognuno in contrasto con le pareti che proteggono fino a formare un bel caleidoscopio rutilante che la pioggia rende ancor più vivace. D'altra parte è logico pensare che chi vive in una parte del mondo umida, piovosa e uniformemente grigia, ami dipingere il più possibile vivacemente le sue abitazioni. Chiloè. che vanta più o meno 300 giorni di pioggia l'anno si trova dunque nella posizione ideale per questa filosofia considerando che gli altri giorni sono in gran parte nuvolosi! Castro può esibire anche una delle chiese più belle dell'isola, quella di San Francisco, decisamente più grande e strutturata delle sue consorelle, con bei lavori lignei sulle pareti e sui soffitti. Anche le molte statue di santi di cui la chiesa è ricca mostrano le qualità artistiche degli scultori locali. Un'altra caratteristica è data dalle ricche vesti con le quali vengono addobbate le statue stesse, una iconografia diversa dalle altre figurazioni latino americane, forse specifiche proprio di questa area. In particolare la vergine che giganteggia dietro l'altare è completamente circondata di un cerchio di stoffe regali che simulano un aura di nuvole bianche, diciamo pure di grande effetto.
Ci fermiamo in un centro di banchetti che ha tanta paccottiglia per turisti, che tra l'altro non si vedono in giro, dove però c'è una bellissima vista sul quartiere più in basso, una fila interminabile di casette che da quassù sembrano assemblate col Lego. Mi fermo a parlare con un vecchio seduto sul muretto che dà sul porto, che esibisce un barba monumentale. E' un pescatore, rovinato dalla pesca industriale che ha resistito a lungo, uscendo ogni giorno con la sua piccola barca in cerca di merluzzi, che ha resistito fino a che ha potuto, poi quando non riusciva più nemmeno a portare a casa abbastanza pescato da pagare il gasolio per la barca, ha dovuto rinunciare e ora pasa le sue giornate bighellonando lì intorno sperando che qualcuno gli paghi una birra. Quando era giovane coi merluzzi neri che pescava in una uscita, si manteneva per tutta la settimana, adesso tutti vanno a lavorare all'allevamento e la vita è come quella degli operai nelle fabbriche, dice con gli occhi rassegnati di chi non è più in grado di seguire l'evolversi dei tempi. Negli ultimi tempi ogni giorno che arrivava alla barca, mi dice, gli sembrava di vedere lontana sulla spiaggia, la figura coperta di alghe della Pincoya che ballava, ballava senza fine ridendo, ma guardava sempre irrimediabilmente verso la riva, segno che la giornata sarebbe stata scarsa. Contribuisco per quanto si può alla quota etilica giornaliera poi vado a recuperare le signore che escono dal corridoio dei negozietti. Intanto si è fatto tardi bisognerebbe trovare un posticino dove sgranocchiare qualche cosa.
SURVIVAL KIT
Chiesa di S. Francisco |
Itinerario a Chiloè - Il giro richiede almeno una giornata completa in partenza da Puerto Montt o Puerto Varas. Sull'isola non sono accettati i Dollari , ma solo pesos, che si possono cambiare solo in una banca nazionale di Castro. Un tassista accompagnatore vi chiederà per l'intero servizio di un giorno più o meno 200 US$, considerando che si tratta di circa 300 chilometri di percorso più il traghetto. Si arriva in traghetto a Chacao (1/2 ora), paesino portuale dove effettuare un breve giro a piedi dedicando una mezz'oretta inclusa la chiesetta di S. Antonio. A 30 km sulla costa nord, Ancud, porto di pescatori. Da vedere il forte di S. Antonio, il Museo Etnografico (gratuito) ed eventualmente il Museo Ecclesiastico (1500 pesos). C'è poi una sorta di centro commerciale con negozi e punti di ristoro. A Castro, 80 km a sud, sono da vedere i molti punti panoramici con i quartieri di case sulle palafitte e la chiesa di S. Francisco, oltre alla Cattedrale e alla Chiesa di Nercòn. C'è poi un mercatino di bancarelle turistiche con molti negozietti interessanti e articoli in pelle. Risalite poi per una decina di chilometri fino a Dalcahue, di fronte all'isola di Quilchao (se avete tempo di andare sull'isola, ma allora un giorno non basta, potrete vedere la chiesa più antica dell'isola ad Achao, quella di Loreto), dove visiterete il centro molto carino e la chiesa di Nostra Signora dei Dolori e quella di S. Giovanni (una delle 16). Da qui ritornate poi in una oretta al traghetto di Chacao. Se invece vorrete fare il tour completo delle chiese Unesco che sono 16, vi occorrerà più di un giorno e dovrete fermarvi a pernottare sull'isola.
Chiesa di Ancud |
Lago Esmeralda -Patagonia Chilena - novembre 2024 |
Puerto Peulla |
Dopo oltre un'ora arrivano al porticciolo di Petrohue, poco di più di un molo dove attraccare e dove ci aspetta il pullman che ci condurrà per il tratto finale fino a Puerto Varas, il punto di arrivo della traversata. Percorriamo così per un bel tratto l'emissario del lago, sempre con la sagoma incombente dei due vulcani posti ai due fianchi, tra paesini e orti rigogliosi, che questa terra, proprio a causa delle frequenti eruzioni si rivela fertilissima e procediamo fino alla riva meridionale del lago Llanquihue, un vasto specchio d'acqua tondeggiante, non più circondato come i precedenti dai contrafforti andini. Siamo ormai nella piana, si sente il mare ormai vicino, c'è aria di gabbiani, di pesca e di marinai. Quando giungiamo al punto di arrivo al centro di Puerto Varas, cittadina fondata anch'essa da emigranti tedeschi alla metà dell''800 e dei quali mantiene le caratteristiche, sono quasi le 7:30, ma è ancora piuttosto chiaro e il tassista che avevo convocato tramite l'albergo, fatica un po' a trovarci, ma alla fine ci porta fino alla nostra meta finale che è lontana almeno una dozzina di quadras e con le valige e gli zaini affardellati di tutto punto, sarebbe un bello sbattimento, visto che invece ce la caviamo con un totale di 6000 pesos cileni. La città è un buon punto di appoggio turistico per chi voglia visitare la zona, ma in sé, logicamente non ha molto da offrire. L'unico edificio notabile infatti è Casa Cuschel, un edificio degli anni '10 in stile composito.
L'albergo invece è costituito da una serie di bungalow in legno a due piani decisamente confortevoli, d'altra parte praticamente tutta la cittadina è costituita di basse casette in legno colorate di tinte vivaci. Sarà la nostra base per vedere domani la vicina isola di Chiloè. Per intanto pensiamo a trovare un ristorantino che ci compensi delle fatiche della intensa, se pur gradevolissima giornata. Scendiamo quindi di nuovo in paese e stavolta a piedi e se pure in discesa e senza bagagli è una bella scarpinata e troviamo un ristorantino che sembra discreto, anche su indicazione di qualche passante che lo identifica come locale di classe. In effetti presenta bene ed i piatti che ordiniamo sono decisamente soddisfacenti in particolare il lomo è morbidissimo e succoso quanto basta. Per la verità da queste parti le specialità sarebbero i frutti di mare, passano piatti che vanno ai tavoli vicini di una certa importanza e presenza, ma per questa sera abbiamo passato. Il problema è che adesso bisogna ritornare a casa e la strada è tutta in salita, leggera, ma lunga. Ci avviamo e alla fine passo dopo passo riusciamo a guadagnare il lettuccio caldo che ci attende nella nostra casetta che profuma di legno per la nostra prima notte cilena. Anche qui siamo in un luogo iconico delle esplorazioni del cono sud del continente, infatti proprio da qui passa la Ruta Panamericana che attraversa tutta l'America dall'Alaska fino all'estremo sud. Qui si chiama Ruta National n.5, fino alla vicina Puerto Montt, sul mare e prosegue con la Carretyera Austral n. 7 che la collega con l'attraversamento di baie e traghetti fino a Villa O'Higgings, punto finale del dedalo di isole che formano la Patagonia Cilena e dove è necessario traversare con mezzi di fortuna, a cavallo o a piedi, la cordillera per proseguire ancora via terra verso la Terra del Fuoco argentina.
Camion trasporto salmoni vivi |
Ci sono è vero ancora insediamenti più a sud, come Puerto Natales e Punta Arenas, ma sono raggiungibili solamente dal mare o dall'aria. E questo farà parte del nostro itinerario prossimo futuro. Intanto ci risvegliano verso le 7 per prepararci una buona colazione, usufruendo delle dotazioni della nostra cucina e delle scorte biscottiere che abbiamo con noi (sempre pausa di morir di fame, eh!). Il mattino ha l'oro in bocca, come si dice, ma accompagnato da qualche dolcetto spalmato di dulce de leche, è ancora più dorato, anche se fuori fa un po' freschino. Il mondo australe è così, anche se più o meno siamo alle nostre latitudini, ribaltate a sud e ormai siamo già a metà primavera. Comunque sia, alle 8 arriva Hector, che avevo contattato per fare il giro di oggi, che prevede giornata completa a Chiloé, una grande isola, lunga oltre 180 km e larga quasi 50, che protegge la costa dalla furia dell'Oceano Pacifico. Di qui fino all'estremo sud, il Cile è un paese essenzialmente marino, i cui piccoli centri sono paesetti di pescatori, sulle rive interne di bracci di mare che si insinuano nella costa tra le migliaia di isole, quando non in profondissimi fiordi, fatti di casette piccole di legno, coloratissime, forse per farle spiccare in un panorama che, quando il cielo è coperto, diventa plumbeo e non lascia distinguere l'orizzonte lontano, Immediatamente questo ti porta al ricordo delle coste norvegesi e dei paesetti del nord scandinavo, dalle caratteristiche decisamente simili. Hector è un signore bonario e anzianotto che, puntuale e desideroso di darci il massimo delle informazioni sul territorio. Naturalmente conferma anche lui che la crisi economica è ormai una costante del Sudamerica e anche del Cile, dove lo stipendio minimo è arrivato a 500.000 pesos, ma non basta per sopravvivere.
I salmoni |
Intanto chiacchera che ti chiacchiera, in una decina di chilometri arriviamo a Puerto Montt, anche questa sorta attorno alla metà dell'800 grazie all'immigrazione tedesca e quindi con caratteristiche simili a tutta quest'area ancora oggi, che si affaccia direttamente sul mare, ma che non presenta particolari interessi a parte la sua posizione e poi proseguiamo per un'altra cinquantina fino a Pargua, terminale della RN5 sul continente, dove si prende il traghetto per l'isola, che si vede distintamente proprio di fronte. Solo una ventina di minuti per traversare, su una nave piena di camion e di autisti dall'occhio stanco e infreddolito già la mattina presto, che si affollano attorno al bancone spoglio del bar a trangugiare lunghi caffè americani. La maggior parte di questi mezzi trasporta materiali legati all'industria dell'allevamento ittico, dai salmoni ai mariscos, che lungo questa parte di paese è una delle attività più rigogliose assieme alla pesca. Il nostro pulmino, un comodo Mercedes a 7 posti, è stretto tra due giganteschi mezzi che trasportano, in taniche cubiche di oltre un metro di lato, milioni di avannotti di salmone di varie misure che evidentemente cresciuti a monte, vengono portati agli allevamenti a mare dell'isola. Si affannano nuotando disperati, attorno agli oblò dei contenitori, boccheggiando agitati, in attesa forse della distribuzione di cibo, che giace in colossali beans su un altro rimorchio che segue. Insomma pare che attorno al salmone ci sia da queste parti, una industria fiorentissima. Saliamo sul ponte più alto, lontano nello stretto, campeggiano dei piloni sbozzati che appena emergono dall'acqua, pare che anche qui da tempo ci sia il progetto del ponte per collegare l'isola, i politici lo promettono da anni, ma pare sia sempre lì a mezza cottura, considerato anche che questa è una zona fortemente sismica e Puerto Montt è stata rasa al suolo solo nel 1960, tanto per dire.
Vi ricorda qualche cosa? Non saprei, noi intanto sbarchiamo a Chacao, la prima cittadina dell'isola, una serie di casette di legno al di là del molo, che subito ti racconta le modalità costruttive di questa terra, costruzioni basse e minuscole di legno, dalle pareti e dai tetti coperti di scandole, a protezione del gelo dei rigori invernali e del vento teso che sempre spira dall'oceano, battendo tutta Chiloè e il resto delle isole ed isolette dell'arcipelago che la circondano. Questa è una terra apparentemente serena e tranquilla che si stende verso l'interno con prati verdi ai margini di boschi di alberi antichi, ma pieni di misteri e leggende. Mari che nascondono insidie lontane, fin da quando l'arcipelago nacque dalla lotta primordiale tra Coicoi la dea delle acque e Tenten la dea della terra, che attraverso diluvi e terremoti cercarono alternativamente di distruggere la specie umana e di salvarla, fino a lasciare, dopo una infinita lotta primordiale, le mille isole dell'arcipelago emerse nell'immenso mare, regno del Millalobo, lo spirito maschile dell'Oceano e dei suoi figli, il Pincoy, la Sirena che ammalia i marinai e la Pincoya che sovraintende al moltiplicarsi dei pesci e quindi determina col suo sguardo la fortuna o la rovina dei pescatori che vivono di questo mare dove si aggira sinistro, il Caleuche, la barca dei dannati, carica di streghe e di anime perdute. Basta infatti rimanere nei periodi di bassa marea sulle coste avvolte dalla nebbia del mattino per distinguere il baluginio delle luci tremolanti dell'imbarcazione che avanza al suono delle musiche di una festa macabra, coperte poi da stridor di catene e male incoglierà a chi vorrà indugiare sulla costa per meglio vedere lo spettacolo, perché verrà irrevocabilmente mutato in leone marino o peggio verrà portato via, ingaggiato per l'eternità nell'equipaggio maledetto.
Come si vede una serie di storie di marinai e di pescatori che hanno mescolato la cosmogonia degli abitanti precolombiani alle credenze degli spagnoli, che arrivarono qui attorno alla metà del '500. Ma se il mare fa paura, la terra non è da meno e così le foreste millenarie sono popolate da esseri malefici come el Invunche, un mostro primitivo che cammina a quattro zampe anzi a tre, perché tiene costantemente una gamba distorta sulla schiena, grugnisce dalla sua caverna e si ciba solo di carne umana, forse epigono dei mostri tardomedioevali descritti come sciapodi che popolavano appunto l'emisfero australe o la Fiura, strega silvestre che ammalia i giovani scapoli in sembiante di meravigliosa fanciulla per poi rivelarsi nell'intimità come orrida vecchia o il suo compagno, el Trauco, nano deforme e superdotato, guarda caso, dalla forza e dalla lascivia disumana sempre in cerca di giovani fanciulle. Non a caso se qualche ragazza nubile rimane incinta nei villaggi più isolati, la colpa viene addebitata proprio al Trauco e così tutti sono più tranquilli. Ma i boschi nascondono anche animali fantastici e pericolosi come il Basilisco, serpente dalla testa di gallo che succhia il sangue fino alla morte di chi si addormenta tra gli alberi o il Camahueto, un vitello con il corno dorato che dorme per venticinque anni di seguito per poi svegliarsi e correre verso il mare distruggendo tutti i campi coltivati che trova lungo il cammino. Bisogna rivolgersi allora allo stregone del villaggio per calmarlo ed accompagnarlo fino alla spiaggia evitando questi danni. Insomma avete capito subito che terra magica e misteriosa sia questa e noi cercheremo di percorrerla senza troppi danni fino a questa sera, evitando di farci rapire da qualche mostro silvano.
SURVIVAL KIT
Vulcano Puntiagudo |
Bosque Sur - Av. Gramado 1059 - Puerto Varas - Bungalow 3 stelle costituiti da un ambiente con cucina al pianterreno e camera da letto al primo piano, molto carini a 48 $ per notte (pagando con la carta viene scontata l'IVA). Buone dotazioni, bagno spazioso e pulito, phon. Letto King, TV, frigo, AC e buon riscaldamento, free wifi, cucina completa. Decisamente confortevole. Tranquillissimo. Reception 24 h. Accetta US dollars. Consigliato anche se un po' lontano dal centro.
Restaurante Fogon Las Buenas Brasas - S. Pedro 543 - P. Varas - Ristorante di buon livello con ottime carni grigliate, ma con specialità di pesce e mariscos. Prezzi congrui alla qualità del locale, servizio inappuntabile. Abbiamo avuto un ottimo salmone alla griglia e una magnifica bisteccona, molto ben grigliata. Piatti sontuosi a 97.000 PC in quattro, inclusa mancia 10%. Molto frequentato.
Puerto Varas - Cittadina di circa 15.000 abitanti punto di arrivo del Cruse andino ed in generale della traversata, sul lago Llanquihue. Ben dotata di soluzioni alberghiere può essere ottimo punto di tappa per esplorare la zona, l'aeroporto è a pochi chilometri tra la città e Puerto Montt.
Puerto Montt - Su un canale interno tra le isole, punto di arrivo della ruta n 5, città di oltre 100.000 abitanti, a 1.000 km da Santiago, alternativa alla precedente e punto di passaggio verso la costa per prendere il traghetto per Chiloè.
Il ponte in costruzione |
Il traghetto |
La Cordillera andina - Patagonia - novembre 2'24 |
Cerchiamo di posizionarci in una zona più panoramica, anche se i posti migliori sono già opzionati, ma alla fine ci si muoverà parecchio e quindi la disposizione non è poi così essenziale. Certamente il lago, e qui stiamo percorrendo il Nahel Huapi, che si incunea tra le montagne presenta panorami entusiasmanti, che noi abbiamo visto in parte guidando lungo le strade costiere, ma la navigazione ti consente un altro interessante punto di vista. In effetti guardate dall'acqua, le coste ricoperte di foreste sempreverdi, senza praticamente case in vista, danno una sensazione di selvatica solitudine più ammaliatrice, un po' come i boschi delle favole e delle saghe nordiche e non si fa fatica ad immaginarle piene di esseri misteriosi, fate, elfi e e spiritelli vari. Ma il cielo leggermente coperto e bigio, che nasconde in parte le cime, contribuisce a quella atmosfera plumbea che relega i laghi in generale nell'ambito della meditazione triste. Infatti come mi avessero sentito, il battello gira barra a sinistra ed entra in quello che è stato giustamente battezzato Brazo Tristeza, chissà perché, particolarmente scuro e misterioso, che si insinua per una decina di chilometri verso l'area del Cerro Tronador. La nave procede lenta e si può girolare per i vari ponti per continuare ad ammirare la costa che sfila di fronte a te da diversi punti di vista. La vegetazione è come un muro di verde oscuro, appare come assolutamente impenetrabile, eppure indovini sentieri nascosti che partono dalle varie spiaggette e che si insinuano per le balze del bosco.
Di certo questo è un paradiso per trekkers solitari, che difatti accorrono da queste parti anche per questa attività sportiva. Dopo un'oretta sbarchiamo alla fine del braccio a Puerto Blest, dove nascosta tra gli alberi una struttura accoglie chi vuole ristorarsi, lasciando agli altri il tempo per fare un giretto nei dintorni per esplorare le calette nascoste. Basta fare pochi metri e poi si sparisce tra gli alberi, alla ricerca di un mondo perduto di elfi e di troll che potrebbero spuntare da un momento tra gli alberi. In effetti la zona è molto bella e qualcuno termina qui il suo giro e zaino in spalla procede verso il parco alle nostre spalle, prendendo il sentiero che risale il torrentello che gorgoglia prima di finire nel lago. Qui piove comunque parecchio ed infatti i prati sono verde smeraldo e gli anatroccoli dai colori smaglianti che sguazzano lungo le rive, arricchiscono l'ambiente starnazzando, seguiti da file di piccoli gialli nati da poco che sgambettano timorosi di perdere la mamma. Verso l'una saliamo allo spiazzo superiore dove aspetta un pullman che percorre una stradina nella foresta fino a raggiungere un altro laghetto, il Frias che si attraversa con un ulteriore battello in una quindicina di minuti, giusto il tempo per ammirare un bellissimo Caracara, il rapace iconico sudamericano con il becco giallo vivo e il capo appiattito che lo fa sinistramente assomigliare a Trump.
Si è posato sulla balaustra del pontile e si guarda intorno immobile con il corpo ma ruotando il capo all'intorno con uno sguardo minaccioso e severo che sembra dire, occhio che adesso vi metto i dazi! Questo lago ormai prossimo alla frontiera è ancora più solitario, con pareti a picco che si levano lungo la costa per centinaia di metri. In alto dove gli alberi non riescono più ad attecchire, se non per piccoli tronchi ritorti ed abbarbicati alla roccia nuda, nidificano i condor che planano altissimi nel cielo che si sta mutando finalmente in azzurro. Sull'altra sponda compare d'improvviso una baracca malandata, è il posto di frontiera argentino, con la bandiera albiceleste spiegata sull'alto pennone. Sotto un porticato una curiosità, la Poderosa II, una replica, rifatta di tutto punto, della famosa Motocicletta Norton 500 del 1949, con la quale Ernesto Che Guevara, con Alberto Granado, effettuò nel 1952 il mitico viaggio attraverso tutti i paesi dell'Almerica latina, che contribuì in modo essenziale alla formazione del pensiero politico, riportato nei famosi Diari della motocicletta, da quello che divenne successivamente l'icona politica e rivoluzionaria degli anni '60. La motocicletta, un mezzo simbolico che si pone alla base della retorica del Viaggio, inteso come via di crescita e di formazione e che rimarrà fonte completa di ispirazione del suo scritto, trasformando la sua visione della società e della presa di coscienza politica, come una specie di Bibbia rivoluzionaria che contribuì ad infiammare gli aneliti di molta gioventù non solamente del Sudamerica del tempo, ma di tutto il mondo.
In questo crogiolo di nuove idee si è rimescolato un po' tutto, dal concetto di panamericanismo, alla lotta di classe, fino ai concetti di una società nuova, condita dall'odio verso gli Stati Uniti, tanto per buon peso. Questo comunque fu il punto di traversata delle Ande e la moto con i bagagli al seguito legati dietro il sellino, costituisce il monumento a quello che da queste parti viene ancora considerato un eroe nazionale, non so veramente adesso col nuovo governo come la si mette, ma la moto è lì a disposizione di tutti quelli che vanno religiosamente a farsi il selfie di rito. In effetti questo piccolo porticato è l'attrazione di questa minuscola spiaggetta sperduta tra le Ande, con il bosco alle spalle e la stradina sterrata, poco più di un sentiero da cui comincia una discesa vorticosa e appassionata verso il Cile. Il pulmino si muove veloce verso il basso, sembra non aver timore di incrociare altri mezzi in salita, evidentemente sa di avere pochissime probabilità di incontrarne qualcuno e man mano che perde quota, la foresta cambia aspetto, ai sempreverdi si sostituiscono le grandi latifoglie dall'aspetto più rigoglioso e tropicale, l'ambiente tutto pare prendere vita e popolarsi di più quasi fosse terminato l'areale delle solitudini, sostituito infine da una foresta gioiosa di rumori e di vita. Poi in realtà non è che si veda o si senta molto, salvo chiocci stridi di uccelli ben nascosti tra i rami.
Stiamo percorrendo i sentieri della traversata all'interno del Parco Vicente Peres Rosales, si dice una delle più belle delle molte che consentono di passare da uno di questi paesi, per tradizione amici-nemici, all'altro. Da qui, recitano i cartelli, sono passati anche un paio di presidenti americani, tanto per dire, insomma una delle tante strade iconiche anche questa, che si dipanano da nord a sud di questa Patagonia, terra unica che ambì essa stessa a diventare nazione autonoma senza riuscirci e ora è sezionata artificiosamente dalle creste di queste montagne la cui catena segna per migliaia di chilometri una frontiera in fondo incongrua come tutte. Siamo proprio sotto il Cerro Tronador che giganteggia ormai alle nostre spalle visto che ci troviamo ormai sul versante cileno. Oltre 3500 metri di montagna che deve il nome ai sinistri scricchiolii che i ghiacciai provocano durante la loro discesa lungo i fianchi ripidi, con masse di ghiaccio in continuo movimento che si crepano e si frangono nei canaloni rocciosi tra baratri e crepacci profondi. Una piramide molto irregolare, battuta dai venti che arrivano violenti dal Pacifico che vi portano stuoli di nuvole dense, in attesa di scaricare sui sui fianchi nevi spesse e più in basso valanghe di acqua che contribuiranno a rendere la foresta sempre più rigogliosa, irrorando copiosamente il giardino dell'Eden e raccogliendo quello che la terra non ha assorbito in rivoli e torrentelli sempre più grossi che si rafforzano come per fare arrivare a valle le loro schiere rumorose.
Ancora qualche chilometro e si arriva al punto di frontiera cileno, anche questo nascosto nella foresta. Scendiamo e ci mettiamo in fila dopo che ci hanno scaricato le valige per il controllo. Una operazione lenta ma obbligatoria in tutti i passaggi delle frontiere, queste odiose linee tracciate a tavolino, sbarre artificiose poste dagli uomini per fermare merci "pericolose", per prelevare denaro, per arrestare uomini ed idee, maledette ed odiate da migranti, mercanti, turisti. Una invenzione dei poteri costituiti per mantenere potere e imperio a danno delle genti, con le scuse più varie, dalla difesa esasperata della propria terra all'odio verso i supposti nemici che vengono a portarti via le proprietà e naturalmente le donne e figuriamoci. Così da quando la civiltà si è formata i poteri hanno sempre cercato di sbarrare i territori, naturalmente senza riuscirci mai, perché è inutile cercare di arrestare l'acqua che scende con le mani, una fatica di Sisifo, sciocca e controproducente che non ha mai bloccato, né invasori, né malandrini. Il tizio del bus ci ha fatto il lavaggio del cervello per le esasperanti ispezioni doganali che verranno fatte dai Cileni alla caccia di frutta, verdura ed alimentari vari, proibitissimi oltre naturalmente a tutti i classici dei passaggi frontalieri, droghe alcool e quanto più si può. Invece a malapena gli svogliati funzionari danno un'occhiata ai mucchi di masserizie che sono state poste davanti a loro, chiedono se per caso abbiamo qualche cosa da dichiarare e poi fanno un cenno della mano. Passa passa che è tardi e il mate si fredda.
Infine un bel timbro dallo sportello del bugigattolo che funge da ufficio, quello del 118esimo paese, ehehehe, e via sul bus a riprendere la discesa vertiginosa. D'improvviso dopo poco una radura si allarga e tra le piante senti improvviso il rovinare in basso di una cascata, che piomba dalle rocce per precipitarsi in una pozza circondata da massi di ogni dimensione. E' il salto Las Mellizas che si propone imponente quasi in vicinanza della strada, come a volerti dire: è inutile che ti prepari per lunghi e avventurosi trekking nella boscaglia, le sue meraviglie son proprio qui a pochi passi, da godersi senza fatica, basta scendere dal pulmino e ce le hai lì subito davanti agli occhi. Questa strada è una sorpresa continua e fascinosa e a poco a poco la pendenza si acquieta e la valle si allarga; le acque di questo versante idrografico, a poco a poco si raccolgono in torrenti più corposi fino a trasformarsi in vero e proprio fiumiciattolo, il Rio Peulla che formando un largo greto ciottoloso scende lentamente in larghi meandri verso la costa fino a sboccare nel grande lago de Todos lo Santos, detto anche Esmeralda a causa dello spettacolare colore delle sue acque, provocato dai sedimenti trasportati dalla montagna e dalle alghe che lo popolano. Sotto il sole pomeridiano che finalmente si è fatto strada tra le nubi, la superficie dello specchio che va via allargando le sue sponde, esibisce questo verde vivo e quasi trasparente come gli occhi di una bellissima donna che nulla vuole se non farsi ammirare il più a lungo possibile. Che percorso straordinario ed indimenticabile!
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