sabato 31 ottobre 2015

La zucca gialla



Gli occhi di un bimbo vedono le cose in modo differente, un adulto, direbbe deformato. E' come una specie di filtro che modifica l'immagine, la trasforma, la altera, in genere la ingigantisce e la rende irreale e magica. A distanza di anni tutto sfuma in un ricordo che si è perso di vista le cose e mantiene piuttosto quelle emozioni. Forse avevo sette od otto anni e dall'orto di mio papà, che se lo coltivava con gran cura, inclusi i dieci chilometri andata e ritorno, in bicicletta d'epoca, pesantissima,  che si faceva per raggiungerlo, arrivavano borsate di pomodori rossi ed enormi, patate e montagne di fagiolini ai quali poi alla sera la mia mamma pazientemente, toglieva le punte a cui rimaneva legato il filo e poi, chissà perché spezzava in due con un colpetto secco della mano, mettendoli in un grande grilletto bianco. Mi rimane ancor vivido quel colore bianco e lo snap della cornetta, allora le chiamavamo così, ritmico ed inconfondibile. Mi ricordo anche il sapore inconfondibile di una varietà di fagiolini che adesso non si trovano più, che invece di essere lunghi e dritti erano completamente ricurvi, un vero minuscolo uncino e che avevano un sapore tutt'affatto diverso dagli altri, decisamente più farinosi, ti impastavano la bocca non come una verdura, ma quasi come un prodotto a base di farina. Di sicuro sarebbero la gioia di un moderno vegano, come lo erano allora solo quelli che per necessità non si potevano permettere mai neppure una fettina di carne alla settimana. 

Ho ancora in mente la frase con cui mia mamma definiva una signora considerata molto ricca, credo la moglie di un dottore: - A l'è abituaia a mangè i pulaster - cosa che di certo la inquadrava come appartenente al ceto più abbiente del circondario. Si raccontava, tra la meraviglie delle vicine, che in uno dei negozi di alimentari più chic di via del mercato avesse chiesto con molta nonchalance - Madamén, cam daga an po' 'd fëti 'd rosbìf - lasciando tutte le altre clienti con la curiosità e l'invidia malcelata, a parlottare tra loro, malignando sulla esotica novità. Mio papà aveva tentato di allevare un po' di conigli, ma poi, vuoi che sia stata la mancanza di esperienza o la difficoltà di una cura costante, data la distanza, era arrivata la mixomatosi e mi sembra che non fossimo riusciti a mangiarne neanche uno. Però, un giorno di quel novembre di oltre sessanta anni fa, se ne arrivò a casa con la bici che cigolava sotto il peso della sua borsona nera di similpelle un po' sbocconcellata ai lati, piena di una enorme zucca gialla, che gli aveva dato lo zio Enrico che aveva l'orto accanto al suo. Credo che abbia fatto una certa fatica a portarla su dai tre piani di scale, perché io me la ricordo davvero enorme. Forse non l'avevo mai vista una zucca così, perché mi colpì moltissimo. Forse non la collegai neppure al fatto che potesse diventare cibo. Passai tutto il pomeriggio a guardarlo mentre col suo trincetto affilato da ciabattino, la tagliava di sotto incidendola con cura e poi scavandola adagio adagio per non romperne le pareti. 

Staccava grossi pezzi di polpa gialla che intanto mia mamma, più realista, ritirava e provvedeva a dividere in fette per farne miglior uso. Alla fine, della zucca, decisamente alleggerita, rimaneva soltanto la dura scorza esterna. A questo punto furono fatti due fori quadrati, uno, un po' più sotto triangolare e infine una larga apertura da cui fu resegata una doppia fila di denti aguzzi. Anche a lavoro non finito, la faccia gialla dentata era pienamente riconoscibile e ormai avevo capito il senso dell'operazione. Anche il corto pezzo di gambo secco che spuntava al di sopra, in mezzo al testone, sembrava una virgola di capelli come quella che si faceva Stanlio quando era perplesso. Era ormai sera e quando mio papà accese uno dei lumini da cimitero che erano stati presi per la bisogna, l'effetto fu spettacolare. La mettemmo sul davanzale della finestra e io stavo lì a rimirarmela orgoglioso, sicuro che qualche bambino del vicinato stava lì con tanto d'occhi a rosicare di quanto io fossi un bambino fortunato ad avere una cosa così. Non mi ricordo niente altro, se non le fette di polpa di zucca che il giorno dopo la mia mamma aveva fatto abbrustolire sulla stufa, così dolci e un po' bruciacchiate. Non avevo idea e credo che nessun bambino del mio giro sapesse qualche cosa di Halloween, però, guarda un po', le zucche vuote, giravano già allora.

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giovedì 29 ottobre 2015

L'Expo è finito(a)




In questi giorni in cui l'Expo sta chiudendo devo dire che sto provando una certa soddisfazione. La vista continua, soprattutto in televisione, ma anche intorno a me per la strada, di tanti musi lunghi e innervositi a cui non va proprio giù che l'evento sia stato un successo. E, con le sue molte pecche, che ho già sottolineato a suo tempo, non si può sottolineare che sia stato un vero successo sotto tutti i punti di vista, economico, organizzativo e di immagine, tanto più eclatante, quanto era insperato all'inizio, quando tutti remavano contro e le previsioni erano di un disastro totale. Purtroppo per questa gente che è contro a prescindere, per la quale qualunque sconfitta o insuccesso di quelli che fanno è una vittoria personale, la frittata si è rivoltata e adesso rosicano terribilmente avvoltolati nella loro rabbiosa accidia. E' chiaro che per pentastelluti, felpati ruspanti e nazisti vari, se il paese va meglio è una sconfitta personale, è uno sputtanamento delle loro idee malate che vede allontanarsi la possibilità di distruggere tutto con la loro maliziosa perfidia, per mettere le zampe pelose sul potere e completare la distruzione totale.

Ma questo vale anche per per tutto quel popppolo che si nutre di antipolitica e che timbra il cartellino per i colleghi e poi ce l'ha con i ladri romani e si incazza se mettono il canone RAI in bolletta perché lo vogliono evadere. Per tutta questa gente se le cose vanno male è una festa. Qualunque cosa faccia il governo si deve evidenziare soprattutto la parte negativa, perché sarebbe davvero un disastro se le cose alla fine andassero meglio e se vanno meglio è comunque sempre troppo poco, si sarebbe potuto fare molto di più, senza ricordare che quando è toccato a loro il paese, lo hanno ridotto in mutande. Che soddisfazione vederli rodere nel loro malessere incattivito. I giornalai della televisione poi, non sanno più dove girarsi per trovare qualche cosa da criticare. Le Poste sono andate in borsa. Bisogna privatizzare perché siamo troppo statalisti, ma, s'ode a destra uno squillo di tromba, se si mette sul mercato solo il 30% e allora che privatizzazione è, a sinistra risponde uno squillo, certo si sono svenduti i gioielli di famiglia per fare cassa, regalandoli a prezzi ridicoli ai poteri forti. Poi se in Borsa la quotazione non decolla, ma rimane attorno alla corretta valutazione fatta in sede di collocamento, ehehhe, gli stessi che accusavano di regalare la roba ridacchiano, allora è stato un fallimento. 

Posso dirvi che di questa gente non se ne può davvero più; di questi personaggi appollaiati, gufi, iene, travagli e grillitalpe varie che spulciano gli scontrini nelle fogne pur di trovare qualche cosa che non va, non per aiutare le cose, ma per dare danno, per impedire che si risalga la china, cercando ogni scusa, vera o falsa per rallentare, fare sgambetto, far scivolare. Certo che ad ogni dato che esce devono essere pugnalate al fegato e allora via alla rincorsa per minimizzare, irridere, trovare comunque qualche cosa che non va. Può darsi pure che tra poco salterà fuori che è merito loro. Certo che fare il politico di questi tempi deve essere peggio che fare l'amministratore di condominio. Niente altro che una caterva di insulti continui e lagnanze insolenti. Già che per consolarsi e tenersi su il morale qualcosa devono rubacchiare. E poi, ragazzi saranno pure stati belli 'sti padiglioni, ma con quelle code infinite è stata una cosa impossibile e alla fine chissà che fine faranno.


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mercoledì 28 ottobre 2015

Divagando a letto.

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Il galletto è in cima sopra l'orologio

Oggi è uno di quei giorni in cui andrei a timbrare in mutande. Alessandria è immersa in uno di quelle mattine grigie e lattiginose che ti penetrano nelle ossa. E' lo spirito della mia città che aleggia nell'aria e scende poi lento nelle teste dei miei concittadini, lamentosi, sarcastici, cattivi con tutti e anche con se stessi. Siamo fatti così, abbiamo una buona parola per tutti insomma. In generale ci crediamo più furbi degli altri, per lo meno di quelli che ci circondano. Così all'assedio di Casale siamo subito corsi per dare una mano al vincitore, avremo violentato un po' di donne e ci siamo portati a casa il bottino di guerra, un gallo di ferro che ancora adesso sta sul tetto del nostro disastrato Comune, assieme a qualche preziosa reliquia, falangi di dita, rotule consunte, qualche tibia rotta di santi medioevali. Roba di valore insomma. Qualche secolo dopo, ci hanno reso la pariglia e i Casalesi hanno mandato un tipo tosto, certo Facino Cane, bel nome per un capitano di ventura, un contractor di quei tempi insomma, che dopo aver spianato la città e violentato le donne, questo era il coté normale di allora, ci ha portato via un prezioso crocefisso che fa ancora bella mostra di sé nella nostra città nemica. Ripicche di astiosi vicini insomma. Comunque oggi è proprio una giornata così. Dal letto immagini la terra umida delle colline basse qui intorno che trasuda quella nebbiolina bassa che sale sugli stocchi secchi di granoturco, nascondendoli un poco alla vista. 

Davvero belli. Se li guardi in fotografia mentre bevi un cappuccino bollente coi termosifoni accesi dietro la schiena. Quelle belle visioni da albero degli zoccoli di come si stava bene allora con tutto quel buon cibo naturale di una volta, col vino così acido che lo sputeresti o il pane che ammuffiva dopo un giorno. La carne, diciamo le frattaglie la mangiavi una volta la settimana, in salame solo a Natale, ma almeno non ti veniva il cancro. A ottanta anni come oggi. Morivi invece senza cancro a cinquanta, ma felice, pressione a 200 e schiattavi sotto un albero mentre andavi a mietere sotto il sole, invece di prendere le pillole per l'ipertensione e ingrassare qualche perfida multinazionale che addirittura cerca di farti arrivare ai 90 (così ci guadagna di più, ovviamente). In India sì che stan bene, lì son quasi tutti vegetariani, dove vado io la prossima settimana, nel Gujarat, pure vegani, scherziamo, gente che soprattutto rispetta gli animali, si mettono pure la pezzuola davanti alla bocca per non ingoiare i microbi e spazzano davanti prima di camminare per non pestare le baboie, più bravi di così. Le donne meno, al massimo ne stuprano qualcuna sull'autobus. Mi ricordo che andai in una azienda di tappi vicino a Bombay che aveva problemi di personale. Non trovava più donne per selezionare e inscatolare la produzione perché se tornavano a casa dopo il tramonto se le fottevano tutte per la strada. Altri mondi. Altri mondi, qui preferiamo magari lasciarle morire sulla riva del mare, tanto le han già stuprate prima di partire.


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martedì 27 ottobre 2015

Rén shān rén hǎi

Eccoci oggi alle prese con un altro divertente Cheng Yu, le frasi idiomatiche di quattro caratteri così comuni nella lingua cinese. Dei caratteri singoli vi ho già parlato altre volte essendo tra i più comuni. Il primo 人 Rén significa Uomo, persona ed è un classico pittogramma molto intuitivo, rimasto quasi uguale per millenni, che rappresenta una figura umana in piedi di fronte con le gambe leggermente allargate senza distinzione di sesso. Il secondo altrettanto semplice nella sua interpretazione: 山 Shān, che significa Montagna, evidenzia bene il paesaggio montuoso con tre picchi di cui quello centrale un poco più alto e ridotto a leggeri tratti verticali dai tre piccoli coni che costituivano la versione più antica ritrovata sui famosi gusci di tartaruga che riportano le prime prove di scrittura di questa lingua. Infine l'ultimo 海, Hǎi, che vuol dire Mare, un pochino più complesso in quanto formato da due ideogrammi semplici, quello di destra che vuol dire Tutto (ma contiene l'ideogramma più semplice di Madre, Origine) e quello di sinistra Acqua, appunto "il luogo dove ha origine tutta l'acqua", cosa che significa anche che fin dall'antichità i cinesi avevano una corretta conoscenza del ciclo fisico di questo elemento. 

Dunque visti i significati singoli cosa vorrà mai dire la frase nel suo complesso? Rappresenta soltanto il senso di Folla, Moltitudine. Infatti si può ben traslare l'immagine suggerita dalla sequenza di una quantità di uomini che vanno dalla montagna fino al mare, così tanti che non si riesce neppure a contarli e chiunque sia stato in Cina in qualche luogo affollato, dalle grandi stazioni, alle strade del centro come la Nan Jing Lu di ShangHai, dove fatichi a farti largo tra la massa di persone capisce cosa voglio dire. Pensate che qualche decennio fa, quando le occasioni di svago erano forse minori di oggi, alle grandi fabbriche della città, tutte ricche di decine di migliaia di operai, il giorno di riposo era concesso a rotazione durante la settimana, per evitare una ressa incontrollabile e pericolosa in questa via centrale, dove tutti volevano andare a passeggiare. 

Diciamo comunque, che la spiegazione della frase in questo caso è abbastanza semplice e intuitiva, ma badate che non sempre è così, prendete ad esempio questa altra frase che ancora una volta contiene il mare: 海市蜃楼 - hǎi shì shèn lóu. Siccome i quattro ideogrammi significano, presi ad uno ad uno, rispettivamente: Mare, Città, Mollusco bivalve ed Edificio a più piani, vi sfido a risalire al significato dell'intera frase che è, pensate un po' Miraggio, Illusione. Se qualcuno prova ad illuminarmi sull'aggrovigliato meccanismo che ha condotto a questo risultato, gliene sarò grato. In altri casi invece la soluzione è più semplice. Prendete ad esempio, una frase che contiene la parola Montagna: 山水清秀 - shān shuǐ qīng xiù, (Montagna, Acqua, Tranquillo, Bello). Questo significa : Bei paesaggi e ti par di vedere uno dei classici dipinti cinesi su rotoli che raffigurano le scoscese e bellissime montagne del sud, ricche di cascatelle. A volte questa bella lingua sa essere davvero alternativamente poetica e misteriosa.

lunedì 26 ottobre 2015

Timbrare in mutande



Quando si parla di corruzione e di corrotti nel nostro paese il pensiero corre subito alla massa degli scandali che coinvolgono ogni giorno il tessuto civile pubblico e privato del nostro paese. Il tutto è corredato da una indignazione tanto forte e tanto globale da parte dei cittadini che riesce incomprensibile capire come mai queste cose debbano reiterarsi continuamente. Ma se tutti si scandalizzano così tanto, come mai il giorno appresso emergono nuovi e più pesanti o ridicoli casi?. Poi se osservi con calma vedi che quelli arrestati oggi erano i più feroci verberatori della morale ieri e questo a tutti i livelli. Gli impiegati sanremesi erano in prima linea a denunciare gli scandali romani e questi gli scandalizzati critici di quelli siciliani, orripilati a loro volta da quanto accade a Milano e così via in una catena di Sant'Antonio senza fine. La realtà è che sono gli Italiani in primis a essere corrotti e corruttori in nuce. Perché la corruzione e l'evasione fiscale che viaggia a seconda di chi fa i conti tra i 100 e i 200 miliardi non la fanno i sempre tirati in ballo grandi evasori da milioni di euro o i furbi totali con centinaia di immobili abusivi o non denunciati, ma i milioni e milioni di semplici cittadini che non si fanno fare la fattura dall'idraulico o dal dentista, per evadere qualche decina di euro di IVA, i milioni  di persone che non fanno il vaucher alla donna delle pulizie che viene una volta alla settimana o il professore che dà qualche lezione privata. 

Questi sono i più indignato di tutti. Gli stessi sanremini indicati al pubblico ludibrio, si autoassolvono in massa, senza mezze misure. Ad ogni cosa c'è una giustificazione, anche non del tutto peregrina, ovviamente. Le cifre si formano attraverso questi grandi numeri e tra questi si situano quelli che poi protestano contro il malaffare della politica che esprime soltanto la media del paese, magari addirittura un po' meglio. Naturalmente se dici queste cose scatta il meccanismo di minimizzazione e di difesa, del sono mica il più fesso, cosa vuoi che sia con quello che fanno a Roma, sono autorizzato a farlo perché di tasse ne pago già troppe, se le pagassero tutti ne pagherei di meno. Tutte sacrosante balle. La prova di questo è data dal grande successo di quei partiti che per esempio predicano la morte di Equitalia, grillini, salviniani, fatelli vari, che raccattano voti strizzando l'occhio alla stragrande maggioranza silenziosa dei piccoli e sterminati evasori che vedono come fumo negli occhi questo organismo, l'unico attraverso il quale almeno qualche cosa si raccoglie. Un'altra prova interessante è quella del canone RAI che mezza Italia non ha mai pagato. In Francia ad esempio, da sempre ti arriva regolarmente in bolletta e nessuno fa una piega. Qui appena è stato proposto c'è la levata di scudi, ovviamente con scuse pretestuose e distingui vari, solo per non ammettere che si vuole continuare a non pagarlo. 

Qualcuno alza la mano e reclama di essere onesto al cento per cento, gratta un po' e vedi che effettivamente quello non ha avuto l'occasione di non esserlo. Non c'è vera controprova insomma. Allora è proprio nella genetica italiana questa deviazione del DNA che costringe al malaffare? Io non credo. E' insita invece nell'uomo in generale. Nella sua corsa evolutiva all'affermazione della specie che sempre premia il più astuto e prepotente, questo gene può essere solo mitigato dalle regole e dalla efficienza con cui le regole vengono fatte rispettare. In quei paesi dove questo funziona meglio e risulta meno esserci corruzione ed evasione, non è perché gli abitanti abbiano una morale più ferma e dignitosa, ma è perché il sistema si autodifende meglio, c'è certezza di punizione ed i meccanismi sono tali da rendere meno conveniente delinquere. Io credo che sia soltanto questo "calcolo" inconscio che produce alla fine una situazione di miglior funzionamento della macchina all'interno dello stato. Diversamente continueremo ad indignarci dei ladri pubblici con l'idraulico che intasca il nostro contante, mentre lui si lamenta delle troppe tasse che paga e quei partitucoli che ci speculano sopra continueranno ad ingrassarsi e ad impedire che si riescano a fare leggi efficaci. 


PS. Ma poi alla fine, a parte il buon gusto, è vietato andare a timbrare in mutande?

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sabato 24 ottobre 2015

Timido Kangchenjunga



Difficile vedere il Kangchenjunga,  una vetta sfumata che si nasconde nella foschia del mattino. Sembra quasi timidezza questo volersi nascondere oppure è solo un senso di fastidio per tutta questa gente che arriva fin lì solo con la voglia di portarsi a casa un'immagine da mostrare, invece di fermarsi un poco e pensare. Va un po' controcorrente in questa società dell'apparire. Beh in fondo lui se ne sta lì da milioni di anni, ne avrà viste di tutti i colori, non si dovrebbe stupire del crepitar di otturatori, fasulli anche questi per carità, in fondo il suono è impostato sulle moderne macchine fotografiche solo per farle sembrare simili a quelle di una volta. Strano, vogliamo cose sempre più moderne ma le apprezziamo di più se fingono di essere come "quelle di una volta". 

La vecchia montagna sa anche questo, credo, e se la ride ricoprendosi di nebbiolina spessa, una specie di cortina, di velo di pruderie dietro il quale ridere di noi che ci disperiamo per la casualità della sfortuna, della nuvola di Fantozzi che è sempre in agguato ad accompagnare il turista, per farlo almanaccare su cosa ha sbagliato. Sembra voler dire, vieni vieni che ti aspetto. Intanto i neri yak pelosi  e bisbetici brucano l'erba dei pascoli alti, un po' stizziti e timorosi che qualcuno li affitti per provare ad andare fin lassù, per lo meno per avvicinarsi alla base di quel cono maestoso, per comprendere meglio cosa è la vera grandezza. Niente da temere invece. Questa è tutta gente da chiacchiera e da bar. Gente che andandosene tira qualche accidente ai corrotti ed ai politici che rubano invece di lavorare e magari se ne è venuto quassù mettendosi in malattia.


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Considerazioni finali

venerdì 23 ottobre 2015

Mǎ ma hǔ hǔ





Mi accorgo che è da un po' che non parliamo più della lingua cinese, quindi oggi recupero. Vi avevo già parlato della grande miniera delle frasi fatte, utilizzate da questa meravigliosa lingua, dette Cheng Yu o frasi idiomatiche composte da quattro caratteri, così numerose da formare addirittura un intero vocabolario e oggi ve ne voglio sottoporre uno piuttosto divertente. Nel cinese è frequente l'uso dei caratteri fondamentali che rappresentano gli animali dell'oroscopo. Ad esempio, 马 -  mǎ, indica il cavallo mentre 虎-  hǔ, significa tigre. Il primo è l'emblema dell'animale forte e lavoratore, ma anche docile, sempre a testa bassa e un po' gnocco, mentre il secondo dà il senso del coraggio e della vigoria aggressiva. Nel primo poi, è chiara, soprattutto nel carattere tradizionale 馬, il senso pittografico del tratto, dove si indovina bene l'animale visto dal fianco sinistro con la criniera al vento e il muso, con il dorso, la coda e addirittura i quattro zoccoli, che vengono uniti nel carattere moderno in una linea continua: 马. Nell'altro, secondo alcuni, si dovrebbe intravvedere l'orma dell'animale, più chiara se si risale ai segni originali prima della stilizzazione. 

C'è una parola, nel cinese moderno prevalentemente bisillabico che nasce dall'unione dei due caratteri e che dovrebbe appunto illustrare il contrasto "ideologico" tra i significati originali, infatti, anziché cavallo e tigre, 馬虎- mǎ  hǔ, significa trascurato, trasandato, negligente. Insomma se sei aggressivo e contemporaneamente forte e ti butti nelle cose a testa bassa senza pensare, alla fine non fai un buon lavoro, ma tralasci i particolari e ottieni un risultato scadente. Se raddoppiamo il carattere otteniamo il cheng yu su cui stiamo puntando la nostra attenzione, molto usato nella lingua comune, 马马虎虎- mǎ ma hǔ hǔ, in cui si esprime ancor di più il contrasto stridente tra questi due comportamenti che non produce buoni risultati. Pensate un po' a cosa vorrà dire questa frase idiomatica, questi comportamenti contrastanti tra di loro. Significa "così così", insomma né aggressivo, né cedevole, la via di mezzo in negativo che come tutte le medie non rappresenta mai un picco positivo. Saggezza antica insomma, direbbero gli estimatori della cultura del passato contadino che oggi vanno perla maggiore. Divertente vero? 


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giovedì 22 ottobre 2015

Ritornarci o no?

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Ormai il momento della partenza si avvicina sempre di più. Sembra quasi una spada di Damocle appesa sulla testa, alla quale non riesci a sfuggire; da una parte questa ansia di partire a tutti i costi che devo avere nel DNA e che appena tornato a casa, mi costringe a ripescare nella lista dei desideri, a compulsare con furia tra le varie opzioni e opportunità economiche, in modo da fissare una data purchessia, basta che sia la più prossima possibile, dall'altra quella voglia di rannicchiamento sotto le coperte di cui vi ho parlato l'altro giorno e che vorrebbe una chiusura a riccio nella propria cuccia, ponendo via via più barriere ai supposti assalitori esterni alla tua tranquillità. Certo tutto passa in fretta non appena si imbocca il tunnel che ti porta sull'aereo; ma come farà poi ad alzarsi quella roba lì, così enorme e piena di gente? Boh. Comunque oramai la macchina si è messa in moto e indietro non si torna, quindi, come si dice, avanti Savoia. Poi c'è l'altro aspetto che caratterizzerà questo viaggio. Si tratta infatti di un itinerario che mi porterà a ripercorrere un sentiero già fatto trenta anni fa. Non è tanto il discorso di tornare in India, in cui sono già stato almeno dieci od undici volte, non mi ricordo neppure più bene, eh, diventare vecchi! Qui si tratterà invece di alcuni stati indiani che in parte avevo già visto, da Delhi al Rajastan e al Gujarat. 

Potrebbe nascere un interessante dibattito. C'è chi sostiene, ed io in generale sono tra questi, che la vita è ahimè talmente breve ed i posti da vedere così tanti,che non ha molto senso ritornare in luoghi dove si è già stati una volta. Questo è il motivo per cui, quando mi programmo un itinerario in un paese di questo mondo, purtroppo ancora pieno di frontiere e cancelli chiusi da valicare con fatica, cerco di esaurire almeno i principali punti di interessi e benché ormai cerchi sempre, specie nei paesi lontani, di ritagliarmi almeno un mese di tempo, ogni volta mi rimane nel gozzo quel "accidenti avessi avuto almeno una settimana in più", perché qualche cosa di imperdibile purtroppo lasci sempre indietro. C'è invece l'altra teoria, forse quella dei veri viaggiatori, che recita il mantra che quando vai in un posto devi lasciare sempre qualche cosa di importante da vedere, così potrai avere la motivazione di ritornare, lasciando da parte le smanie collezionistiche di chi (accidenti come me) fa il conto dei paesi visitati. Che invidia provo, quando chiedo ai viaggiatori veri, quanti sono e mi sento rispondere: mah, non so, non ho mai fatto il conto. Questa visione è davvero molto romantica e affascinante, oltre che fondata, anche se si scontra, come già detto, contro il tempo e anche con i conti che, comunque, vanno sempre tenuti presenti. Dunque in questo caso invece andrò contro la mia natura, ma a tutto c'è una spiegazione logica. 

Intanto questo itinerario è stato studiato con attenzione e permetterà ai miei compagni di viaggio di poter vedere le cose più belle di questa area, anche se non tutte certo, data la vastità della zona, mentre per me sarà in ogni caso una sorta di ripasso che dopo trenta anni non è assolutamente inutile. Bisogna considerare infatti che allora per me era stata una visita piuttosto affrettata e parziale, anche perché in quel momento avevo ben altro per la testa, per esempio in Gujarat avevo visto solo Palitana, scivolando poi subito verso il Maharastra ed il Sud. Poi il giro ci porterà attraverso molte aree secondarie e, a mio parere di grande interesse soprattutto etnografico, che mi sono del tutto ignote. Infine tutto il viaggio è mirato al grande appuntamento finale della fiera di Puskar, in cui ci fermeremo tre giorni e dovrebbe rappresentare la ciliegina sulla torta, senza trascurare il fatto che ci troveremo ad Amedhabad proprio nel periodo del Divali, che è una delle feste, assieme all'Holi, più colorata e coinvolgente dell'India. Insomma tanta carne al fuoco, in un paese, che, come molti di voi sanno, per me ha una valenza particolare e che in ogni caso va considerato come un continente vero e proprio, in cui giocoforza, un viaggio non può che riguardare una sola zona alla volta. Comunque sia, arrivo alla conclusione che l'importante è partire e a me mancano ancora una quindicina di giorni e le cose da preparare per me che sono un tiratardi di natura, sono ancora molte.


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martedì 20 ottobre 2015

Voja d'lasmi stè

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dal web

E' proprio vero che nel discorso della vita c'è bisogno di più virgole. Corriamo troppo; io, almeno per quello che mi riguarda e che vorrei, corro troppo. Questa è la stagione in cui al mattino presto, vedi una nebbiolina sottile che sale dai prati non ancora secchi. La terra è ancora umida e l'aria pizzica la pelle scoperta. Il sole fa fatica, non ha voglia di alzarsi, se ne starebbe volentieri a letto, altro che timbrare il cartellino. Che dolcezza, che tepore, sotto la coperta, quando ti dà un po' fastidio tirare fuori un braccio, quando il frescolino non è più un senso di piacere ma soltanto uno stimolo a rannicchiarti di più, a scavare un po' ancora la forma che hai segnato nel materasso. Che voglia di poltrire almeno per un altro momento, sognando lidi lontani, ma non da raggiungere ad ogni costo, solo da sognare, lasciandoli lì, senza nome, una lista di sabbia bianca anonima, che forse non è mai esistita, che serva solo da cullare quel demone che frulla nella testa. Questa mattina non mi sarei proprio alzato. Sono pigro? Sono vecchio? Soltanto non ho voglia di fare le cosa che sono state messe in scaletta oggi? Vi prego lasciatemi stare ancora un po' in questo tepore umidiccio che sa di me, nella mia tana letargica fino a primavera! Invece no, bisogna alzarsi sfregando l'occhio cisposo; ma che fastidio! Sbuffo, mugugno, barbotto, pieno di voja d'lasmi stè, per dirla in Alessandrino. Tocca andare, fare 'sta serie di telefonate e prenotare il parcheggio da Mariuccia vicino a Malpensa che già l'ora si avvicina. Sü, dumsi da fè, tempus fugit, poi magari me ne torno sotto le coltri ancora un po', tanto il cielo è così grigio!

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!