venerdì 20 maggio 2016

La discarica

Katmandu - Nepal - gennaio 1976
Kavita aveva la schiena curva ed il volto segnato dalla vita, che la facevano sembrare molto più vecchia di quanto probabilmente non fosse. Scavava come suo solito ogni giorno, in un grande immondezzaio alla periferia estrema di Katmandu, sulla strada per arrivare al santuario di Bodhanat, in cerca di qualche cosa di utile, da usare, da consumare, da vendere, valutando come ricchezza quello che per altri era stato inutile scarto. Era un po' il suo lavoro di tutti i giorni, per lei e per i suoi figli, che correvano attorno alla capanna di cartoni e stracci di plastica svolazzante tenuta assieme da funi, perché il vento forte che scendeva dalle montagne non la portasse via, in attesa del lavacro purificatore del monsone estivo. Anche quei ragazzini che sembravano giocare, in realtà buttavano l'occhi in giro con molta attenzione, per trovare nella nuova quantità di materiale che i camion scassati avevano scaricato nella giornata precedente, nuova miniera da esplorare, non ci fosse mai qualcosa di buono. Nessuna traccia di uomo. Chissà se un marito ci fosse da qualche parte, magari in cerca di qualche opportunità di lavoro, in città, al mercato a scaricare derrate o ad offrirsi per qualche servizio ancora più umile. A gennaio faceva un certo frescolino specialmente durante la notte e non so fino a che punto gli stracci bisunti con cui aveva coperto il sari nero, liso e dal bordo sdrucito, la potessero proteggere. 

Quasi tutti i bambini, infatti, tossivano e avevano vistose candele pendenti dal naso. Una scena piuttosto consueta da quelle parti e che oggi, dopo più di 40 anni, non dovrebbe essere cambiata molto, complici buon governo, terremoti e disgrazie varie che, come una dannata combinazione capitano sempre negli stessi posti, quelli già di per sé, più disgraziati del pianeta. Mai sentito parlare di uno tsunami a Montecarlo. Da quelle parti se la raccontano con la storia del karma, così non è colpa di nessuno, solo tua e del tuo pessimo passato in effetti e si può avere così un migliore controllo della pace sociale, per quanto è possibile naturalmente, ogni tanto anche lì si perde la pazienza. Erano le prime volte che mi misuravo con queste situazioni che impongono comunque di fermarsi a riflettere, a fare considerazioni, molto spesso anche sbagliate, anche se poi pensare serve sempre. Anche a questo dovrebbe servire il viaggio. A raccogliere, far sedimentare e maturare idee, cercando di non farle diventare giudizi. Questi erano i miei primi viaggi davvero fuori porta, in cui cercavo soprattutto la diversità. Qui il germe è diventato droga costante di cui, poi, non ho potuto più fare a meno, pena dure crisi di astinenza. Queste poi, erano le prime diapo che scattavo, una vera rivoluzione tecnica che mi avrebbe fatto abbandonare le sere chiuso in uno stanzino buio, alle prese con le bacinelle degli acidi a spiare l'immagine in bianco e nero che si formava lenta sulla carta coperta dal liquido trasparente. Chi poteva immaginare allora la rivoluzione digitale, mentre si scattava con parsimonia, considerando le 300 lire che costava ogni clik. 

Più o meno le stesse che avrebbero consentito a Kavita di mangiare con la sua famiglia quel giorno. Un clik o quattro o cinque scodelle piene di riso e masala di chilli davanti a facce che ridono di soddisfazione, come è strano il mondo. Chissà se Kavita è viva, una vecchietta dalla faccia incartapecorita dalle rughe, accovacciata sui talloni davanti alla solita baracca, quasi ogni anno nuova, la vecchia cancellata dal monsone, ma sempre uguale, con qualche nipotino che corre nelle stesse immondizie, tra gli stessi fumi, tra la medesima puzza, oppure se è già morta di qualche malattia banale, rattrappita in fondo alla baracca, sperando fino all'ultimo in una rinascita migliore, come si sarà meritata. E di quei bambini, una parte dei quali di certo non c'è più, che sarà stato?Qualcuno ce l'avrà fatta ad uscire di là, a trovare una forma di schiavitù anche solo un poco più dignitosa, che abbia permesso una baracca in mattoni, pronta però a crollare sotto il prossimo terremoto, con figli che sono andati a scuola oppure lo spostamento è servito solo a creare altra carne per il mercato dei mendicanti. In quei mondi le opportunità sono molto poche, è difficilissimo prenderle al volo, il più delle volte sono falsi veli di Maya che si rivelano trappole che ti trascinano, se possibile ancora più a fondo. Il torrente di liquami che scorreva sotto la grande discarica era lo stesso che, più a valle, raccoglieva le ceneri delle pire dei morti. Terminata la storia, le spoglie corruttibili, hanno la stessa valenza della verdura marcia e delle lattine schiacciate. No quelle almeno si possono recuperare.

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2 commenti:

Pierangelo ha detto...

Questo è forse l'articolo più triste e penoso che tu abbia inviato, non che si ignorassero certe realtà della vita in parti povere (Italia compresa), ma fà ancora una volta riflettere sulla fortuna dell'esistenza che conduciamo.

Enrico Bo ha detto...

grazie Pier!

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