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venerdì 14 dicembre 2012

La peste nera.

Darsi buon tempo durante la peste.
Nelle case vecchie si trova davvero di tutto. Stavo frugando affannato tra vecchi scartafacci, tentando di dare un po' di ordine al caos primigenio che nella mia casa dimostra efficacemente come l'accumulo di carte  e di libri tenda all'entropia, quando mi è capitato tra le mani un vecchio documento ingiallito, forse stilato da un mio antenato o invece capitato casualmente nella montagna di vecchiume di cui bisognerebbe avere il coraggio di sbarazzarsi una volta per tutte. Ho cominciato a leggerla per diletto e voglio riportarvene qui almeno una parte, quella che si è conservata meglio, anche per sentire il vostro parere su dove questo antico storico cronachista volesse andare a parare. 

"... eravi ormai da antico tempo che questo male incognito s'era sparso per le cittadi e il borgo. Una peste maligna che avvolgeva l'aere e ammorbava le genti e li mercati tutti. Donde nacque niuno sapeva e chi la diceva venuta dalle lontane Amerighe, chi invece malignamente la indicava condotta dal bieco Alemanno che da oltre li monti mandava le sue perfide truppe ad affannar le genti. Il morbo colpiva senza sosta il contado e la villa, lasciando l'uomo esangue sulla soglia di casa, incapace a nutrirsi come morto e ogni giorno ognun fremeva all'attesa del numero ch'avrebbe segnalato lo conto de li morti o delli moribondi. Per questo, li mestieri e i lavori eran scemati e anco li sani vagavan per le strade sanza occupazione alcuna, li giovani e pulzelle tutte che niuno dava lor travagli e impegni e anco stavan sanza nulla fare, aumentando lo contagio. Li vecchi orbati d'ogni sustanza venian condotti al Lazzaretto e lì integrati in una cassa comune ove morivan dimenticati da tutti. E dunque si cercavan per ogni dove colpevoli e rii a cui addossar le colpe di tutto ciò e già si diceva di strani omeni che ben chiusi nelle lor botteghe manicavan danari, ungendoli d' una mala pece che spargeva ancor più questa pestilenza che i più, avvezzi alle barbare lingue della Britannia, ormai nomavan spr..(qui c'è una abrasione nella pergamena). Il novello governatore chiamato a forza per salvar vite e commerci, avea lanciato grida e proclami ma lor durezza e imperio, se pur n'aveano mitigato la furia, ancor non davan per finita la pestilenza. Ma lo vecchio governatore, che ogni gente avea dato per morto, divorato dalle lussurie e dalli bagordi e che tanto male avea fatto alla cittade, tal da renderla debole e involgarita al punto da lasciar libero spazio all'arrivo incontenuto della peste, sorto dalle orge e dai banchetti con l'uso di arti magiche che li sorcieri d'ogni parte dell'orbe gli inoculavan di notte per mantenerlo in vita, d'improvviso inviò li suoi scherani e sodali per discacciar lo regnante, propalando ogni sorte di menzogne per meglio abbatterlo. 
Principiò dicendo che questa peste, com'ognun poteva intendere, non era vera, ma un imbroglio insomma, divinata per male fare alla cittade da Alemanni e Franzosi e che il solo crederla era mortifero e dannoso. Che la pestilenza, come dicevan l'antichi, com'ogn'altra cosa puote solo esser sustanza o accidente e che quindi lo negro male che alcun chiamava ..( la carta è macchiata ed illeggibile).. ead, non si puote toccare e dunque non è sustanza, né di meno è causata da cose reali, ch'a ben guardare ognun vede che le taberne sono ognor piene e nelle carrozze non si puote trovar posto alcuno per raggiunger li posti della villeggiatura dove darsi buon tempo con femmine e feste galanti ch'ovunque cionondimeno impazzano. Alllora non è neppure accidente e non essendo quindi né l'uno né l'altro, come divinerebbe il sommo Aristotele, semplicemente non esiste, ma è un malevola inventione degli Alemanni per meglio ridurci in servaggio ed è sciocco lo credere, ma debasi invece calare li balzelli, far festa guari e darsi buon tempo lo più possibile e immantinente la peste sarà sparita, imperocché voluta e imposta sol dalli inimici e da vili meccanici menzonieri che mirano a metter in comune le cose d'altri. E così andava dicendo e le genti lo seguivan come novello vate, femmine e messeri, ingreggiati da li suoi servi, come conquisi dalle sue giovenili fattezze e dai lunghi capelli ch'avea in testa, intanto che sorella morte continuava a mieter la sua messe ..."

Il resto della pergamena è tutta bruciacchiata e non sono riuscito a care altro. Non è chiaro se questa cronaca sia frutto di fantasia o altro. Andrò dunque a controllare su wikipedia se in qualche periodo storico possano essere accaduti eventi siffatti. Intanto fuori nevica e uno strato bianco, come un sudario funebre si è calato sulla città. Sento come una sensazione di gelo che mi penetra le ossa e il cuore.


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giovedì 13 dicembre 2012

Santa Lucia.

Lacabòn - da wiki
E' arrivato anche quest'anno il 13 dicembre. Il giorno di Santa Lucia ha un sapore particolare per noi alessandrini. Chissà perché c'era la diffusa convinzione che fosse il giorno più corto dell'anno. In ogni caso a Santa Lucia il tempo, miracolosamente, è sempre  lo stesso, tipicamente alessandrino. Una cappa grigia e fredda avvolge la città, rendendo ancor più scuro il cielo. L'aria però non è frizzantina come potrebbe suggerire la stagione, ma pesante, umida e offensiva al punto di fare intabarrare ancor più i passanti infagottati che si stringono nei cappotti mai abbastanza pesanti per difendere da questa voja d'lasmi stè. Tutto si traduce in sbuffi di condensa che escono al di sotto delle sciarpe, grige anch'esse come i cuori della gente che si ammucchia per entrare alla posta per pagare l'IMU. Eppure in linea teorica oggi è festa qui in città. In piazzetta Santa Lucia ci sono le bancarelle di un tempo. Non quelle ricche e smaglianti ricoperte di piccole cose rosse ed oro dei tanti mercatini di Natale che ormai spuntano come funghi dovunque. Chissà com'è che tanti ne sono affascinati, partono in pullman per andare a girare intorno a questi baraccotti, infreddoliti e in cerca di una serenità che non c'è più dentro e si vuole importare dall'esterno, inutilmente. 

Cosa vuoi portare a casa? Una pallina dorata per l'albero finto o la statuetta di Berlusconi che scende in campo (no, oggi è giorno dispari e fa un passo indietro. Chissà se sono previste entrambe le statuine, da cambiare ogni giorno, il Berlusconi dell'Avvento)? A noi alessandrini invece bastano queste di bancarelle, con qualche torrone spaiato e i bastoncini del lacabòn, corti stecchi di caramello indurito di miele e zucchero, avvolto in povera carta oleate in pacchettini da 1 o due euro. Ci siamo anche inventata una Denominazione Comunale di Origine (come per i Meardini, tanto per farvi capire di cosa è capace la mia città). Lo metti in bocca come un legnetto di liquirizia e succhi quel gusto dolceamaro dell'infanzia perduta, per ritrovare il senso di una innocenza che lo spread ti ha levato. Ci andavo per mano con il mio papà. Io mi guardavo intorno nella piazzetta illuminata da luci  fioche, anche loro in tono di festa minore, senza desiderare niente di particolare, perché su quei banchetti non c'era niente da desiderare. Mio padre comprava un pacchettino e subito me lo apriva; io staccavo uno dei bastoncini, che l'appiccicume dello zucchero attaccava sempre un poco agli altri e me lo ficcavo in bocca succhiandolo come un dovere. Non resistevo molto e dopo poco, quando la salivazione ne aveva già un po' ridotto il diametro infragilendone la fibra, cominciavo a rosicchiarlo, scrocchiandolo coi denti per consumarlo più in fretta. 

Stai attento a non romperti i denti, mi diceva invariabilmente mio papà, forse memore di quella volta che al bastoncino era rimasto attaccato uno dei primi denti da latte, caduto così ingloriosamente sull'altare del dolciume, croce e delizia del mio futuro di bambino grassoccio. C'erano anche gli sbuffi bianchi dello zucchero filato che però, misteriosamente, non hanno mai attratto la mia attenzione interessata. Roba da bambini viziati, forse, mi sembrava. Chissà. Il più ruspante lacabòn era l'unico complemento corretto per quella giornata e mai si sarebbe ipotizzata la sua messa in discussione, il '68 e l'età del dubbio erano ancora così lontani. E oggi, eccoli lì, uguali ad allora, pacchettini e banchetti, con i croccanti di arachidi ambrate e marroncine, che a quel tempo neppure vedevo, semplicemente perché non erano previsti. Non so come mai, ma c'era in casa mia una avversione decisa per le arachidi, 'l giapuneisi (chissà perché poi giapponesi),  roba di bassa qualità, di serie B, succedanea delle mandorle, quelle sì da preferire tassativamente nel torrone. In piazzetta Santa Lucia il tempo si è cristallizzato, forse è davvero il giorno più corto dell'anno; noi, qui, nella città della paglia, non abbiamo tempo di aspettare fino al 21, per quanto ci riguarda, la fine del mondo possiamo anticiparla anche subito.


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lunedì 2 aprile 2012

Cura da cavallo.

da Borsa e finanza.
Succede che nemmeno te ne accorgi. Tutto sembra normale, logico, assolutamente non esagerato o eccedente, eppure quasi senza parere, e ci vogliono anni perché si concretizzi appieno, ecco che ti ritrovi obeso ed ipertrofico. Un ciccione anche un po' sgradevole che trasuda tutto il peggio che il benessere gli ha appiccicato attorno. Diventi antipatico e spocchioso, da proletario bisognoso che eri, ti sei trasformato in un ricco epulone enorme che crede che tutto gli sia concesso di diritto. A poco a poco, però, assieme alla piacevolezza di una vita priva di rinunce o almeno moderazione, compaiono le prime magagne che si fanno sempre più pressanti e più gravi, man mano che passa il tempo. Intanto l'abitudine ad uno stile di vita che tutto pretende e che non trovi neanche sbagliato, anzi come minimo dovuto ed auspicabile, ti hanno abituato male e a questo punto diventa difficilissimo cambiare direzione per rimettersi sulla buona strada. Certo la colpa di tutto questo è in parte tua che hai goduto di tutto, anzi ad un certo punto lo hai preteso, adducendo finte necessità, bisogni inderogabili, richieste pressanti che diventavano poi diritti inalienabili. L'altra parte della colpa va invece a chi ti circondava e che desiderando in qualche modo la tua approvazione ed il tuo affetto interessato, tutto ti concedeva, blandendo il tuo ego smisurato, fornendoti quanto richiesto senza preoccuparsi minimamente del fatto che prima o poi sarebbe arrivato un duro conto da pagare, anche se i soldi non ce li avevi. 

Poi, un bel giorno, è giunto il momento. Si è spezzato quel gioco che sembrava potersi prolungare all'infinito ed un bel serio check up ha messo in evidenza che eravamo ormai al punto critico, che se non ponevi mano in modo deciso e pesante al problema, le conseguenze sarebbero state, ahimé, fatali, non solo per te naturalmente, ma anche per chi ti stava accanto. Cari miei, allora bisogna correre e in fretta da un dottore di quelli veri, non da quella banda di farabutti omeopati, impositori di mani, dulcamara in possesso di tutte le panacee che con pochi pannicelli caldi continuavano a dirti di stare tranquillo che tutto si sarebbe risolto facilmente, bastava comprargli a caro prezzo un po' di acqua fresca e tutto sarebbe andato per il meglio. No, adesso è un po' tardi per le tisane depuranti e gli impacchi di lino, bisogna mettere in atto tutta una serie di odiosi provvedimenti, tutte condizioni necessarie ed obbligatorie, dolorose e penosissime, che prima si sarebbero potute somministrare a poco a poco e senza troppo soffrire e che invece adesso vanno prese tutte assieme e di corsa a rischio di farsi venire il coccolone. Medicine amarissime e intrangugiabili, lunghe e faticose sedute di palestra ogni giorno, dieta orribilmente ipocalorica, brodini insulsi e verdurame sciapo per mesi, forse per anni. Ma attenzione, l'alternativa è soltanto la fine definitiva ed inevitabile. Eccovi dunque subito circondati dagli infami cerusici che vi hanno portato alla rovina, pronti a dire che è tutto sbagliato, che basta tornare alle loro prescrizioni amorose e dolci, che loro sì saprebbero come fare, dopo che per decenni vi hanno trascinato, voi ben compiacenti e corresponsabili, nel gorgo fatale. 

Dunque ragazzi, cerchiamo di riconoscere questo inoppugnabile situazione. Non ci si chiede di dire che ci piace e che siamo contenti, ma se vogliamo tornare ad uno stato di salute almeno accettabile, seguiamo le prescrizioni necessarie, riconoscendone l'obbligatorietà insindacabile. Certo lamentiamoci pure, blateriamo contro l'ingiustizia, indichiamo con sdegno la dieta, così ingiustamente meno rigida, assegnata al nostro vicino di casa, più obeso di noi, quell'infame, che gli consente anche il formaggio, mentre a noi hanno vietato la Nutella, che non siamo mica di ferro, ma non andiamo a prendercela con il dottore incaricato della cura, che fa semplicemente e con professionalità il suo dovere e il suo obbligo deontologico. Anche i vicini apprezzeranno il fatto che finalmente ce la stiamo mettendo tutta per dimagrire, soffrendo certo, e magari tenendo alla larga ancora per un po' gli osti imbonitori che ci apparecchiavano la tavola con montagne di salamelle e strutto fuso, dolci ridondanti di panna e pietanze succulente di aromi. Ci siamo ingozzati per anni, finendo per lasciare i nostri figli con il panierino della colazione vuoto. Sono un po' pelle e ossa 'sti ragazzi, bisogna fare attenzione che prima o poi vengano anche loro a presentarci il conto per la nostra pinguedine che ci appare così naturale e dovuta e da cui nessuno si può chiamare fuori. Protestiamo pure versando calde lacrime coccodrillesche, ma cerchiamo di far scendere 'sta glicemia, che è ancora sopra i 300!


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