Il lungo e sofferto commento di ieri al mio Siamo nati per soffrire, da parte di Corto Maltese, necessita di una risposta un po’ più articolata di un semplice botta e risposta, per cui oggi ho pensato di confezionare quello che l’amico Dottor Divago ha codificato come Ris-post, diciamo un post che funge da risposta e contrappunto vero e proprio a commenti così meditati e densi di contenuto. Ora, caro il mio Maltese (non ti posso certo chiamare Corto perché constato e d’altra parte conosco la complessità del tuo argomentare) so bene la febbre che ti divora (nomen omen) e il fuoco sacro che subito ti avvolge al solo parlar di montagna, purchessia. Eppure ti conosco come conoscitore ed estimatore anche dell’altro elemento. Capisco, il Caribe è altra cosa, ma sono convinto che il concetto di mare in sé non ti sia nemico, anzi. Ora lungi da me voler impostare una diatriba sulla superiorità tra montagna e mare, sarebbe di certo ozioso ricercarla. D’altro canto a quel tale che argomentava lunghi distinguo tra la bionda e la bruna, è stato ben risposto: perché non tutte e due, filosofia che mi trova pur sempre d’accordo. Ma voglio insistere sul fatto che per la mia sensibilità, che tu hai già ben sottolineato in altro campo, dallo gnocco alla cerva, quella situazione che presenta il mare e che potremmo modernisticamente definire come “liquida”, in contrapposizione alla statica solidità che al monte, maggiormente si addice. Capisco il tuo elogio della montagna, vista come sfida continua a raggiungere la vetta, che ti attende, motore immobile, attirandoti magneticamente con la continua minaccia della richiesta, al tuo corpo di un ulteriore sforzo per concedersi, demi- vierge scostante che il piacere della conquista ti spinge ad affrontare.
Il mare invece è lì a disposizione, si offre semovibile come dicevano Cochi e
Renato, sempre disponibile ad accoglierti, fille de joie che ne ha già viste di
tutti i colori e ti promette sempre nuove esperienze, pronto ad avvolgerti in
un abbraccio amniotico, un ritorno alla sicurezza dell’utero da cui veniamo e a
cui continuamente bramiamo ritornare. Forse però è vero che è sbagliato cercare
supremazia tra le due offerte ed è più giusto afferrarle entrambe, cum grano
salis naturalmente, per cui la Rognosa te la lascio volentieri (e anche la
ragazza che hai citato, direi che ha già dato in merito) e approfitterò invece
della pur assai popolata battigia per sognare terre lontane, preferendo la
breve sofferenza dell’offesa del ciotolo arrotondato sulla pianta del mio piede
tenerello, alla costrizione insopportabile della pedula, infame strumento di
tortura, stivaletto malese dell’inconscio, tritatrice ultima di unghie dei
pollicioni. Niente gambe indurite, piante dei piedi dolenti e ricoperte di
bolle, niente fiatone disperante per la mancanza di ossigenazione di polmoni
ormai infiacchiti e non certo per un sano ed orgasmico entusiasmo, ma stazione
orizzontale prolungata e galleggiamento pur precario nell’elemento più docile ed
avvolgente, al fine di poter, invece di costringere il muscolo, liberare la
mente nei consueti voli pindarici propri del pensionato. Salutami gli amici
ortolani e boletofagi che ti seguiranno domani (che è poi oggi) e bacia come si
merita la deliziosa fanciulla che per amor tuo si sottopone a questi supplizi
camminatori, altro che Cinquanta sfumature e simili pulsioni sadomaso!
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2 commenti:
La prossima meta?
Dimenticavo, senza dubbio il mare, forse perchè da ragazzina mi hanno fatto fare indigestione di montagna.
Cristiana
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