martedì 23 gennaio 2018

Una mattina a Mosca





Stamattina, volevo procedere definitivamente verso Boston e cominciare a vedere la linea del traguardo del viaggio autunnale, ma poi d'improvviso mi ha preso una botta di nostalgia, complice il fatto che fa frescolino e non riesco a riprendermi dalla combinata influenza, raffreddore, mal di gola, tosse, anche se fuori brilla il sole. Certo non ci sono più gli inverni di una volta direte voi, ma quest'anno in montagna è finalmente nevicato come si deve, almeno dalle mie parti. Però gennaio è gennaio e i miei gennai più memorabili li ho trascorsi a Mosca. Ci sono stato a lungo ogni anno per quasi vent'anni e sono cose che ti rimangono sotto pelle per sempre. Così oggi, quando ho ricevuto da laggiù, una serie di immagini memorabili dall'amico Eugenio, mi ha preso una specie di magone che questa temperatura molle e foriera di malattie da tepore, circondato dai miasmi virali, non fa che crogiolare, aumentandolo. Gli anziani non  hanno che da macerarsi l'animo nel pensiero dei bei tempi andati, quelli che non possono più tornare, magnificandone persino difetti e privazioni, ma allora il corpo rispondeva e anche la testa era più pronta, soprattutto carica di speranze e voglia di scoprire quello che ti aspettava domani.

Accidenti adesso, questa è l'unica cosa certa che conosci e non è bella. Insomma a gennaio c'era sempre la fiera Interplastica e la mia settimana minima moscovita non mancava mai. Eccolo lì il tram che arrivava dai viali lungo la Majakovskaja, in una nuvola di neve che turbinava leggera. - 11°C non è neppure freddo a Mosca, al limite stavi vicino ai grandi sbuffi di vapore che uscivano dalle porte a vetri sgangherate della Metro a Kitaj Gorad o alla Teatralnaja. La gente passava veloce e senza guardare, intabarrata, nelle dubljonke le donne, nei cappotti un po' lisi gli uomini, tutti con shapke ben calcate sulla testa, le sciarpe che nascondevano il viso, nessuno temeva attentati, allora, i culi neri non sbarcavano ancora dalla Yugovaksal con intenzioni malevole. A pochi passi dal Cremlino il turbinare della neve riusciva a nascondere anche la stella rossa sulla torre Spaskaja, la place rouge était vide... cantava Aznavour e le Natalie correvano a rifugiarsi negli uffici statali a curarsi le unghie davanti agli schermi dei primi computer, dove c'era sempre e soltanto il solitario acceso, mentre sulla spiaggia deserta quei due disgraziati militari rimanevano come imbalsamati e gonfi come l'omino Michelin ritti come fusi davanti al mausoleo di marmo scuro a guardia del Salmone. 

Le rose che le coppie di neosposi avevano portato il giorno prima erano ormai ghiacciate, morte anche loro. Lungo la Tvierskaja i marciapiedi larghi non erano ancora scivolosi e ghiacciati come in primavera. Ogni passo faceva scrocchiare la neve con un suono curiosamente onomatopeico: sgnek, sgnek. Cercavi di arrivare almeno fino al negozio di Eliseevskji per ammirarne grandi colonne, per darvi ancora un ultimo sguardo, cercando di interpretarne il suo segreto, il luogo dove l'antico proprietario aveva nascosto la sua pentola d'oro, perdendoti tra le pile di scatolette di balik e di caviale nero. Mi dicono che non si trova neppure più, il caviale, quello che il nostro cameriere all'Ukraina rubava all'ingrosso e rivendeva a cinque dollari la scatoletta. Già, non ci sono più quei bei freddi di una volta, mi diceva allora proprio Eugenio, lungo la riva della Moscova ghiacciata, quando dopo ogni respiro sentivi una lama acuta che ti si piantava in mezzo alla gola. Ah, un buon chai bollente o almeno un po' di calda acqua, pojalusta, non appena ci si rifugiava nei corridoi della fiera. Fuori, lo sfarfallio bianco continuava a lungo sotto la luce gialla dei lampioni di ferro.



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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bonjour Enrico
"La place rouge était vide....." Chanson de Gilbert Bécaud , Nathalie .

Enrico Bo ha detto...

Exactement, l est un vrai plaisir que quelcun réeconnaisse mes citations!

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