mercoledì 14 novembre 2018

Oman 15 - Masirah, l'isola che c'è

On the beach

Una spiaggia a Masirah
Masirah raccontata, sembra un'esagerazione della fantasia, invece è un'isola che c'è, esiste materialmente, basta avere la voglia di andarci. Senza il paesotto vicino alla base militare sarebbe una lingua di terra deserta, lunga una quarantina di km dove un tempo approdava qualche barca di pescatori, visto che qui intorno il mare è pescosissimo, per il resto solo sabbia a piccoli monticelli creati dal vento attorno a ciuffi di erba dura e già secca prima di nascere, che tentano di resistergli. Una dorsale centrale di colline di roccia scura, glabra e tagliente, la percorre tutta e impedisce di traversarla per il lato corto. La pista che permetteva di farne il perimetro, di una sessantina di km, ora è stata asfaltata e ti consente di percorrerne tutta la costa al completo, apprezzandone, ogni caletta, ogni scogliera, ogni spiaggia. Tranquillo, non incontrerai nessuno o quasi, nelle sabbie lontane dalla riva, qualche barasto abbandonato dove di tanto in tanto una famiglia locale va a trascorrere un paio di giorni "come una volta", tra grigliate di pesce e di montone, e qualche capanna di pescatori sulla riva. Per tutta la costa, bassa e contorta, il colore del mare ti lascia senza fiato. In alcuni punti è ricca di scogli, rocce taglienti e anfratti in cui l'onda si infila con mille spruzzi bianchi, in altri la rena pastosa ed immacolata, scende con pendenza impercettibile e si allarga sempre di più via via che la marea scende. 

Gabbiani
La posizione stessa dell'isola che si allunga da nord a sud, fa sì che ci siano due lati esposti al vento, che arriva alternativamente da terra o dall'oceano, per cui puoi sempre scegliere quale dei due lati preferire, per fermarti qualche ora senza essere costretto a subire la forza del vento che a volte può essere anche forte e fastidioso. Noi scegliamo una delle prime che ci capitano a tiro, una larghissima distesa di sabbia candida circondata da due promontori di basse rocce nere. Qui sei davvero solo di fronte ad una natura che finge di non conoscere l'uomo, di non calcolarlo affatto, continuando ad occuparsi delle sue eterne incombenze, la moltiplicazione delle specie, il cambiamento lentissimo della superficie del pianeta ad opera delle forze naturali, acqua, vento, temperatura. Qui senti che lo scorrere del tempo non si misura in giorni o anni, ma in millenni o meglio in milioni di anni. Se ti abbandoni all'abbraccio dell'acqua, molti pesci ti circondano senza paura, al di là delle rocce poi il fondale stesso è ricco di colori e di vita. Mi riesce davvero difficile raccontare le mie sensazioni in questo posto. Lo avverti evidentemente diverso dagli altri anche simili che hai avuto modo di vedere, lo senti come un luogo lontano e non disturbato dalla presenza di altri tuoi simili, anche se non sei nato ieri e sai bene che anche qui la gente arriva, e senza problemi, tranquilli, ma non lo avverti ecco, ti sembra di essere il solo ad averlo trovato, a goderne, a poterlo fare tuo per primo.

Granchio fantasma
Eppure se cammini a lungo per la spiaggia, trovi tracce inequivocabili della presenza umana, ami ed esche arrugginite, frammenti di reti sdrucite, tracce di manufatti umani ormai corrose e a malapena riconoscibili, come se fossi calato in un pianeta lontano, abbandonato da tempo dalla tua razza trovi vestigia di un'altra consimile, di cui puoi scorgere ancora tracce, ma chissà di quanto tempo prima, forse millenni. Una scarpa sdrucita su cui non vedi più loghi, un frammento di cassa di Coca e infine la cosa impesta ormai ogni luogo del mondo, anche il più sperduto e lontano, la maledetta plastica, odiata e calunniata da tutti eppure inconsapevole ed innocente, materia inerte e capro espiatorio allo stesso tempo, comodo colpevole della polluzione planetaria, messa sul banco degli imputati proprio da chi la trasforma da straordinario materiale, con cui è possibile costruire la metà delle cose che ci circondano a prezzi alla portata di tutti, anche dell'africano più miserabile, in male assoluto, gettandola senza freno e senza vergogna, a terra, liberandosene nei fiumi, disperdendola in mare. Così questo materiale così straordinario, una delle più grandi invenzioni dell'uomo, che più di ogni altro potrebbe essere completamente riciclato e riutilizzato, con il minor consumo di energia tra tutti, diventa per l'ignavia colpevole di chi per primo la critica, uno dei problemi di questo mondo. 

Resti di un pesce palla 
C'è poco da fare, anche qui lontano da tutto e da tutti, in uno dei luoghi più solitari del pianeta, trovi frammenti dispersi tra la sabbia, tra gli scogli e in mare che andranno a costituire pericolo e morte per le tante creature incapaci di distinguerli dal cibo di cui sono perennemente in cerca. Difficile trovare soluzioni a questo problema, anche se la sensibilità aumenta, ma di certo, per molto tempo vedrai volare, tra le dune di un deserto lontano sacchetti di polietilene blu spinte da un vento anch'esso rabbioso per questo sfregio. La cosa che viene alla mente è quella più facile: vietare. Vieti il coltello convinto che così non sarà ficcato nella pancia di qualcuno, anche se poi, chi vuol ferire lo farà con altro. Punisci il mezzo con cui si fa il danno non potendo punire chi il danno produce. Anche questo è un modo di procedere. Noi siamo qui invece a passeggiare sulla rena che scrocchia e brucia sotto i piedi. Ecco una carapace a pezzi di una tartaruga morta chissà quando, lische di pesce bianche, scheletri di esseri che il ciclo della vita ha condannato a finire su questa spiaggia battuta dal sole e dal vento, conchiglie corrose che che hanno ormai perso il colore, altre invece ancora lucide e vive, più in là carcasse di pesci a imputridire. Abbandonato tra gli scogli che l'onda non riesce più a raggiungere, giace la parte ossea di un pesce palla che ancora mostra le spine dure e puntute, che niente hanno potuto contro lo scorrere del tempo.

Al tramonto
Che bello questo luogo dove senti soltanto il leggero ritmo della risacca, dove tutto è come deve essere. Le ragazze sono distese sulla spiaggia a crogiolarsi, Iapo ha finito i suoi racconti di vita omanita e del suo sogno di fare quaggiù un distaccamento di casa Oman, un luogo di ritiro per gente che voglia per qualche giorno andare alla ricerca del non essere, un posto di meditazione sibaritica sospeso tra mare e cielo. Chissà, un giorno forse lo farà davvero. La giornata è passata quasi completamente, eppure non abbiamo fatto assolutamente nulla, se non entrare ed uscire dall'acqua. Raccogliamo minuziosamente i resti della nostra presenza e arriviamo che è quasi sera alla punta estrema dell'isola, battuta da un vento forte e fastidioso, dove un barasto e qualche cammello segnalano la presenza, nella stagione più affollata, di qualche amante del kytesurf e della solitudine assoluta, che viene fino a qui per lasciarsi andare e trascinare via dalla forza del vento sulla cresta delle onde. Un vecchio pakistano lasciato di guardia a questa fortezza Bastiani, ci serve un thé forte e profumato. Poi raggiungiamo l'estremo lembo di sabbia sulla spiaggia infinita per guardare il sole che cala lentamente sulla linea dell'orizzonte. Mentre rientriamo, l'ombra della sera avvolge la sabbia ed i rilievi lontani. Non abbiamo scorto esseri viventi in tutto il giorno. Cerchiamo allora di vedere per primi le luci del paese ancora lontano. Che bello il mondo!

Sulla spiaggia





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