sabato 24 novembre 2018

Oman 23 - Wadi Massawa


Said

Sulla duna
Il ritorno è lungo e la strada al buio ha qualche cosa di malinconico, di perdita di qualcosa, di momento magico finito. Rachid guida in silenzio, nessuno ha voglia di parlare e accanto a noi anche Sabrina, la dolce ragazza che scrive frammenti della sua storia sulla pelle, per curare forse qualche cicatrice dell'anima,  ha gli occhi tristi e se ne sta raggomitolata sul sedile, un po' immusonita. Solo mezz'ora fa era seduta sul bordo più alto della duna e guardava il sole che scendeva tra le dune lontane e sorrideva, come in un estasi meditativa, incurante del vento forte che faceva scivolare la sabbia sui nostri visi, smerigliandoli come carta vetrata del doppio zero. Forse stava lì con la mente immobile e svuotata a godere della sola bellezza che il deserto ti offre senza motivo e senza merito, un premio che sta lì alla portata di chi se lo vuole prendere e gustare. Oppure il suo pensiero correva lontano senza soffermarsi sulle pene o sui motivi di sofferenza che ognuno si porta comunque dentro, essendo il luogo stesso come un filtro che lascia passare solo le parti buone e trattiene il male che gli altri ti fanno o quello che tu stesso ti vuoi imporre. Una medicina buona insomma, che lenisce i dispiaceri e rallegra il cuore, come una tavoletta di cioccolata dopo cena sdraiato su un divano comodo. In fondo viaggiare per il mondo in cerca di conoscenza può anche essere considerato una terapia valida, come si direbbe oggi, olistica e alternativa, in ogni caso una pillola di placebo che non fa male. 

La pista
Il ritorno invece, la notte che scende, le luci lontane della città immagoniscono un po', come se il ritorno predisponesse alla fine del viaggio, della vacanza mentale, per farti ritornare al cruccio del quotidiano. poi magari basta fermarsi un attimo in un locale dalle luci fioche, dove un sorridente omino ti porge dei chapatti croccanti da sgranocchiare durante il viaggio ed anche a Sabrina torna quel sorriso radioso, di chi capisce quale è la parte giusta della riva, su cui sedersi per aspettare il domani. Mi diceva un amico cingalese, quando mi trovavo laggiù con un bel problema di biglietti aerei, se il problema si può risolvere, perché preoccuparsi e se il problema non si può risolvere, perché preoccuparsi. Facile a dirsi, penserete voi, però sarebbe davvero il modo migliore per affrontare la vita. Però vallo a raccontare a chi ha subito una bella batosta, magari qualcuno che ti ha fatto una bella porcata, magari inaspettata tra capo e collo, va già bene se non ti manda a spalare letame. Intanto ragionando tra me e me di questa profonda filosofia da bar, siamo arrivati a casa. C'è giusto il tempo per andare subito dietro, dal pachistano che fa un pollo tandoori, degno e neppure troppo buca lingua. Qui in Oman, mi sembra che tutti i piatti del subcontinente indiano vengano mediati dalla loro originaria spigolosità, con una oculata dosatura delle spezie più potenti e quindi il tutto venga accettato dai nostri palati con una minore riluttanza. Poi mi sembra anche che, alla richiesta di diminuire al massimo pepe, chilly e compagnia cantante, si venga pure ascoltati.

Wadi Massawa
Torniamo un po' tardi e viene giusto il momento di andarsene a letto, dopo una lunga giornata. Iapo, Rachid e qualche altro aiutante, provvedono a caricare sul furgone cinque o sei mastelli di tartarughine salvate dalla furia mordace dei cani del vicinato e dai pneumatici dei veicoli, per andare a far loro raggiungere il mare, seguendo l'onda che risale la battigia al chiarore delle stelle. Ne raccogliamo ancora una decina che si agitano sulla ghiaia del cortile o che cercano di attraversare la strada davanti al nostro portone, attirate dalla luce del lampione. Questa notte è completamente buia, è luna nuova, la più difficile per i nostri amici tartarughini. Beh, almeno questi ce l'hanno fatta, torneranno forse tra qualche anno quando sentiranno la necessità di deporre e far proseguire la vita. Il muezzin ha cantato la sua invocazione da tempo, siamo tutti stanchi, non sentiremo più quella della notte, neanche questa volta. Domani, invece, sarà la volta di una zona un po' diversa dal solito. La desolazione del deserto di pietra e di roccia, più immobile di ogni altra cosa, senza neppure il pur silenzioso e lento vagare delle dune. Wadi Massawa è un luogo impervio e poco conosciuto, neppure segnato sulle mappe, assolutamente poco visitato, forse per questo ancora più interessante. Lasciata la costa, si va verso l'interno a sud ovest, attraverso un paesaggio duro e roccioso. Quando lasciamo la strada per una pista pianeggiante e piuttosto larga, il paesaggio si apre in una valle larghissima, evidentemente formatasi in epoche così antiche che anche le coste, forse un tempo modellate dal passaggio di fiumi impetuosi, ne hanno perduto la memoria. 

La casa di Said
Intorno, pietrisco ciottoloso e sparso, solo qualche arbusto secco in lontananza o nei punti più bassi, tutto intorno avverti una aridità senza mezze misure. In questo wadi, non c'è più traccia di pozze di acque cristalline e neppure di stagni fangosi. Qui sembra che non piova ormai da qualche anno. La pista risale la valle seguendo le curve di livello in una totale assenza di vita. Forse è così in qualche parte della luna o di qualche altro pianeta di roccia. Senti soprattutto l'inospitalità assoluta dell'ambiente che ti circonda, che tuttavia mantiene una sua bellezza scabra e spigolosa, che non vuole piacere a tutti i costi, ma soltanto essere amata per quello che è, terra dura che non chiede e non dà, indifferente alla presenza dell'uomo che voglia abitarla e anche del visitatore di passaggio. Invece dopo qualche chilometro ecco che tra cuspidi di roccia viva e massi erratici, aguzzando la vista riesci a scorgere una costruzione così mimetizzata nell'ambiente che la circonda da sembrare essa stessa parte di quella montagna su cui sorge. E' la casa di Said, un vecchio amico di Iapo, che lui va a trovare ogni volta che passa da queste parti. A tutta prima la casa sembra abbandonata, così silenziosa e sola come la scorgi tra la pietra. Ma quando ci fermiamo davanti al muracciolo che la delimita, subito si apre una porticina ed ecco uscire un vecchietto intabarrato con un longhi candido e col capo avvolto del turbante rosso.

Caffè e datteri
Nessuno sa quanti anni abbia Said, quando era piccolo non si badava a queste cose, ma di certo ne ha più di una ottantina. Accoglie Iapo e noi come vecchi amici, facendoci accomodare nella apposita tenda esterna dedicata agli ospiti. Abbiamo portato un po' di frutta che di certo gli fa piacere perché subito la guarda con occhi golosi.La porta in casa e subito arriva con un bricco di caffè fumante e il classico vassoio di datteri. Si parla un po', di come va la famiglia ed i figli, ne ha  quattro che sono sposati e se ne sono andati in città e di come lui stia benissimo lì, con la vecchia moglie e di come non abbia la minima intenzione di spostarsi o di andare altrove, anche nelle nuove case che sono a disposizione sulla costa. L'amministrazione gli ha portato la luce elettrica e ogni settimana una cisterna arriva dal paese a riempirgli il serbatoio di acqua (per una sola casa!) e lui è molto grato al Sultano di tutto ciò e ben che sta. Le nostre ragazze vengono invitate in casa dove c'è anche la figlia con i nipoti in visita. Noi rimaniamo sotto la tenda a parlare del nulla come si conviene tra ospiti e visitatori nel deserto. C'è una calda sensazione di benessere e di vita appagata, priva di ogni bisogno eppure ugualmente piena, senza odi e rancorose pretensioni. La serenità di chi non vuole accampare diritti. Quando ce ne andiamo, tre caprette alzano la testa belando da dietro il muretto e un dromedario secco secco ci guarda con aria interrogativa, poco abituato a questo tipo di presenze; Said ci guarda partire e ringrazia della visita, rimanendo a guardarci da lontano e alza appena la mano destra in segno di saluto. 




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