sabato 21 dicembre 2019

Cina 20 - Wei Shan


Compitando


Essiccatoio di spaghetti
La porta Xing Gong
Davvero questa piccola Wei Shan corrisponde molto di più all'idea che mi ero fatto dello Yunnan, che mi immaginavo come una regione periferica della grande Cina, ancora legata alle locali tradizioni delle tante minoranze presenti sulle montagne dell'area, circondata da montagne e paesaggi magnifici, ancora relativamente poco toccata dalle grandi masse di cinesi in movimento che vogliono anche loro e giustamente conoscere meglio il loro paese. Il solito pregiudizio insomma che ti porti dietro idealizzando un luogo dove la gente dovrebbe vivere ancora come nei racconti delle guide di cinquanta anni fa, mentre invece il mondo cammina e qui molto più velocemente che altrove. Tuttavia che piacere, quanto ritrovi questa atmosfera calma e rilassata, le vie diritte circondate da antiche case, con poca gente che vi passeggia e gli artigiani al lavoro nelle botteghe. Qui ecco una donna che fa un particolare tipo di spaghetto, al singolare perché un piatto è composto da un'unica tagliatellona che parte dal centro e che, in cerchi contigui che vanno verso l'esterno, ricopre tutto il piatto; più in là, direttamente sulla strada un essiccatoio di spaghetti; vicino un'altro negozietto che sala una sorta di olive verdi all'apparenza deliziose, che poi in verità allappano alquanto la bocca, appena masticate (qui bisogna assaggiare sempre); un altro fa il croccante di arachidi bello spesso e caramelloso e subito mi sembra di essere tornato bimbo nella nostra piazzetta a S. Lucia. Ecco laggiù un negozio di carne secca di maiale, ne espone di tutti i tipi, a pezzi, affumicata, appesa a grappoli, in grossi tocchi o in salcicce che pendono dall'alto; una testona di suino occhieggia curiosa su un lato del banco, senza grugnire.

Fabbrica sottaceti
In un vicolo invece si va a visitare una fabbrichetta di sottaceti. Due fratelli gestiscono il business che va avanti da cinque generazioni in maniera molto artigianale. Tutto il cortile è occupato da mucchi di verdure in attesa di essere lavorati; più in là grandi barili per le salamoie, mentre un gruppo di donne in un angolo sta mondando cucurbitacee dalla forma inusuale. Davanti ad un gruppo di sacchi pieni di peperoncini ormai seccati ed altri ridotti in polvere grossolana o fine, ci sono mucchi di rizomi bitorzoluti che tutta prima scambiamo per zenzero. Uno dei fratelli che ci sta accompagnando nel giro, racconta subito che stiamo prendendo una cantonata, niente ginger, molto più piccolo, qui si tratta di pianta tutt'affatto differente e qui comincia una lunga disquisizione con affannosa ricerca sui traduttori automatici dei vari telefonini per trovare di quale pianta dai grandi fiori gialli che cresce sul bordo dei fossi si tratti. Improvvisamente mi viene l'illuminazione, ma non si tratta di altro che del nostro topinambour (heliantus tuberosus), nel nostro dialetto arcigno tapinabò, così noto nella gastronomia piemontese da considerarlo una nostra tipicità locale, sconosciuto da altre parti, anche se ha origini americane. E invece eccolo qui, comune e consumatissimo, lo avevamo infatti già visto a montagne nei vari mercati. E qui parte la chiacchiera, avvenuta non riesco ancora a capire come, tra il sottacetaio e me, tramite la nostra Apple che si affanna a cercare significati inglesi accessibili da riportare in cinese o in dialetto Bai, per raccontare la mia dettagliata descrizione della bagna cauda piemontese a partire dalla magnificata abbondanza di aglio e acciughe, sciolte nell'olio bollente a mo' di mongolian hot pot, in cui tuffare appunto le fette crude del nostro topinambour.

Museo e tempio
Il monospaghetto
Alla fine l'ho convinto anche se non sa cosa siano le acciughe e non abbia dimestichezza con l'olio di oliva, ma ormai siamo in grande confidenza e mi regala una sacchettino di peperoncino locale, neanche troppo potente in verità, quando poi è stato messo alla prova dei fatti. La mamma, seduta in un angolo del cortile col cappellone delle donne Bai in testa, tiene gli occhi socchiusi, sembra sonnecchiare, ma in realtà controlla le donne che lavorano alla cernita dei cetrioloni e non ci dà molta retta. Il lavoro deve procedere e dopo un po' ecco due omaccioni che tirano giù un pentolone dove hanno finito di bollire delle altre verdure a pezzettini e li portano davanti ad una montagna di barattoli di vetro destinati ad essere riempiti a mano. Sarà pure un'aziendina artigianale, ma pare che venda dappertutto nello Yunnan, insomma è così che si fa il grano. Ritorniamo in strada per andare a finire in una altro cortiletto dove c'è un piccolo ristorante familiare. Anche questi sono amici di Apple e dopo poco eccola tavola coperta di piattini con patate, riso, cavoli e verdure varie, tutto molto buono a dire il vero anche se ho il sospetto che la nostra piccola Apple abbia ormai la cotta per le smanie salutistiche tra il vegetariano e l'organico che cominciano ad appestare anche questo paese che ha sempre amato moltissimo il cibo, quando si riusciva ad averlo ed è appena uscito dalla fase della fame atavica del povero, trasformandosi da poco in consumatore di abbondanza. Sono segnali che percepisci qua e là di come le nostre mode specialmente le più cariche di fuffa varia, girino il mondo velocemente e altrettanto velocemente attecchiscano nei luoghi più impensati. 

Tempio di Confucio
Anche questa è globalizzazione, ragazzo. Ma noi continuiamo a girolare per la città, passando da una antica porta all'altra, attraversando il centro sotto la  torre di Xing Gong (星拱楼 - l'arco delle stelle) con le spalle rivolte al monte Wei Bao (巍宝山 la montagna dell'immenso tesoro), che ospita cammini spirituali e piccoli templi taotisti come il famoso Yuan Jue dove oltre 500 anni fa hanno studiato saggi famosi. All'interno delle mura invece il tempio di Confucio presenta larghi spazi, giardini ben curati e silenziosi porticati che si aprono su ambienti severi che riportano soltanto al posto degli altari, le frasi e gli insegnamenti del maestro, su legni, colonne, grandi targhe e frontoni laccati di rosso mattone. L'influenza del grande pensatore vissuto nel V secolo a.C., curiosamente quasi contemporaneo dei più grandi filosofi della nostra cultura greca, è ancora profondissima nella Cina odierna, con la sua forte attenzione alla dirittura morale, al senso del dovere, a quello dello stato ed alla preminenza del merito, che veniva sottolineato nei difficilissimi esami per diventare funzionario imperiale. In quasi tutte le città c'è un tempio dedicato a lui, dove si onora soprattutto la cultura e la conoscenza, indicate come il dovere basilare per ogni uomo. In generale questi templi ospitano scuole e dedicano festival specifici all'arte dell'insegnamento ed a tutte la arti da quelle figurative, alla musica, alla danza e non ultima alla calligrafia con grandi striscioni di caratteri vergati da maestri della scrittura. Ci fermiamo in un porticato dietro alla costruzione centrale, dove ci sono diversi banchi, un'aula scolastica appunto. 

Costume Yi
In fondo alla sala, una signora con due bimbe sedute che stanno compitando una serie di caratteri. Non appena ci vede insiste perché ci avviciniamo a guardare. Una delle due bambine, sfodera subito un largo sorriso e mostra i suoi progressi, muovendo con grazia un bel pennello da scrittura. I segni neri si dispongono con ordine nel quadrato predisposto, fino a formare l'ideogramma completo e senza sbaffi. Terminato l'ultimo tratto mi guarda soddisfatta e ride felice. La signora, madre o maestra chissà, gongola, lieta anche lei del suo lavoro. E' proprio qui, in queste aule che senti la sacralità del lavoro e dell'importanza dell'insegnante, una dedizione religiosa che va al di là del dovere, dell'impegno costante, del vantaggio per l'allievo. Qui senti l'essenzialità della trasmissione della conoscenza come preghiera, come regola di vita che migliora la società, poi gli altri, infine te stesso. Nel vicino museo, aperto soltanto da un anno, respiri la stessa aria, ambienti perfetti, spazi, reperti che raccontano le imprese del re della dinastia locale Nan Zhao che si oppose alla potenza Tang, esibiti con cura ma circondati da cortiletti, da giardini curati, il tutto sorto attorno ad un tempio taoista del 1400 che ancora esibisce le sue colonne di legno laccate di rosso ed i suoi tetti dagli spioventi ricchi di decorazioni. Lasciamo passare una delegazione di autorità giunti forse da Pechino, che si aggirano nelle sale con grandi cenni di assenso e approvazione, forse il locale responsabile del partito avrà una nota di merito e ce ne andiamo fino alla porta di Gong Chen ( 拱辰楼, L'arco dei pianeti) a nord della città, la più imponente coi suoi 28 grandi pilastri che la sostengono e quindi direi che con un piatto di noodles fritti, passeggiando nelle vie solitarie fiocamente illuminate col naso in sù, la serata si può dire conclusa definitivamente in bellezza.

Giocatori di scacchi

SURVIVAL KIT

Al ristorante
Wei Shan - Città storica a 60 km da Dali, dove iniziò il regno Nanzhao, relativamente ben conservata a pianta rettangolare circondata di mura (25 strade e 18 corsi), con le consuete quattro porte più torre centrale. Molto più suggestiva di Dali, la consiglierei per una notte almeno. Popolata principalmente dalla minoranza Yi, ma anche con molti Bai e Hui. Nelle strade potrete vedere qualche donna anziana in costume. Da vedere il già citato tempio di Confucio, il nuovo museo, i laboratori artigiani, mentre i dintorni si prestano a trekking sul vicino monte Wei Bao (ingresso 60 Y) ed i suoi templi. Se ci capitate durante il periodo del festival delle Torce (verso giugno), avrete la possibilità di vedere molti spettacoli di danza e musica tradizionale con strumenti antichi come la chitarra a tre corde ed i flauti di canne. Per chi fosse interessato ed avesse un po' più di tempo a disposizione, si può pensare ad un salto al vicino villaggio di Dong Liang Hua di minoranza Hui, mussulmana, pochissimo visitato, a qualche km da Da Cang sulla strada tra Dali e Wei Shan.


Museo


Antiche case
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