![]() |
| Quba - Azerbaijan - ottobre 2025 |
![]() |
| La sinagoga |
Oggi, mentre la macchina procede verso nord, il Caspio è liscio come un olio, anche se ingrigito da una nuvolaglia antipatica e poco comunicativa, tanto da farlo sembrare un po' triste e davvero oleoso, come si confà ad un mare da idrocarburi; forse è questo l'aspetto che condiziona il mio pensiero e di certo, a parte la temperatura sfavorevole, non ti incita con la classica voglia di buttarcisi e fare un bagno. Continua a scorrere alla tua destra come un compagno di viaggio presente ma poco comunicativo, che non ha troppa voglia di scambiare neppure quelle quattro parole di convenienza che si fanno tra vicini di posto sul treno. Tuttavia, non c'è neppure quel sentimento un po' triste, un po' nervoso, che classicamente accompagna quella che è la solita sindrome dell'ultimo giorno, quella in cui la testa è già da un'altra parte insomma, e alla fine non ti godi più di tanto quello che vedi. Oggi no, senti al contrario una sorta di torpore diffuso che mi spinge a pensare se abbiamo utilizzato bene i pochi giorni che il caso ci ha fatto dedicare a questo paese. Mah, in fondo penso di sì e parte della piacevolezza del soggiorno è stato dato proprio anche dal fatto che non abbiamo avuto un itinerario preciso, con punti obbligatori da spuntare sul taccuino, ma piuttosto ci siamo lasciati andare, girolando qua e là, seguendo 'istinto ed i consigli di chi abbiamo casualmente trovato lungo la via ed in fondo, non è sempre questo che diciamo quando ci autorimproveriamo di essere solamente turisti e non veri viaggiatori?
Così i chilometri passano piano ed alla fine quando, lasciato il mare risaliamo verso al zona collinare ed i boschi prendono il sopravvento sulla scarsa vegetazione della costa, il cambio avviene in maniera dolce ed impercettibile, il grigio della terra nuda, viene a poco a poco sfumato da tutte le variazioni di giallo dell'autunno, una tavolozza solo apparentemente monocorde, ma in effetti, così ricca di differenze da mutare il territorio in una rappresentazione naturalistica dei meravigliosi tappeti che nascono in questa terra. Arriviamo a Quba in un paio d'ore. La cittadina giace sonnolenta e all'apparenza spopolata attorno al torrente che scende dalle montagne. Certo un tempo era stata importante, all'epoca del cosiddetto khanato di Quba, quando l'Albania Causasica era un grande stato ai piedi di queste montagne. Ma soprattutto la zona era abitata da un gruppo etnico davvero interessante, chiamato degli Ebrei della montagna, che a differenza di altri gruppi tribali simili, si occupava soprattutto di agricoltura e produzione di vino, una caratteristica tradizionale della zona e come tali, nei secoli, questa peculiarità era stata loro riservata, mentre la pratica era inibita ai musulmani. Nei secoli, la comunità si è in parte dispersa nel mondo, mentre chi è rimasto, ha creato il quartiere detto Krasnye sloboda o Red Settlement, costruito secondo una sua specifica architettonica, molto riconoscibile e ha dato vita ad una importante presenza culturale nell'intero paese.
Il quartiere si è sviluppato subito dopo il ponte sul Qudailchay, dove arriviamo dopo aver percorso la via principale. Se nel centro vedevi solo rari passanti e qualche anziano seduto fuori degli poveri locali a giocare a backgammon o a domino, girando le tessere con movimenti secchi e ritmati che battono sui tavoli di legno quasi segnando il tempo, tra i vicoli del Quartiere rosso, non vedi quasi nessuno. Attorno alla grande sinagoga ci sono solo segnali di divieto di ingresso e qualche targa commemorativa. Il bagno pubblico sulla piazza è addirittura impraticabile, come abbandonato da tempo. Ci sono case che dalla struttura indovini sede di famiglie ricche , ma per il resto non c'è in giro anima viva. Ci dice Aqshim che lo spopolamento è anche qui uno dei problemi più importanti e sentiti, ma molti se ne sono andati all'estero, dagli Stati Uniti ad Israele e per i giovani rimasti è difficile resistere al fascino della tentacolare Baku con i suoi miti e le sue nuove opportunità. Certo sarebbe interessante saperne di più o almeno vedere il museo, ma anche questo è chiuso. Un pullman di turisti italiani si ferma un attimo, poi prosegue via veloce. Noi giriamo un po' nei vicoli attorno, poi torniamo al nostro mezzo. Andiamo giù oltre il fiume dove in un grande prato verde, sorge una struttura di cemento, due schegge piramidali rivolte verso il cielo come due triangoli rettangoli che ricordano molto lo stile brutalista degli anni '50, ma un po' in ritardo, diciamo pure fuori tempo.
E' il memoriale dell'olocausto. L'ingresso è gratuito ma si viene obbligatoriamente accompagnati da un tipo molto serioso, che con atteggiamento militaresco ma molto grave e compito, racconta come il complesso sorga su una grande fossa comune ritrovata qui in riva al fiume accidentalmente nel 2007 e sia stato eretto a imperitura memoria di questi martiri, volendo ricordare un po' lo Yad Vashem, d'altra parte anche il Quartiere Rosso viene chiamato Piccola Gerusalemme. Le uccisioni (qui sono stati ritrovati circa 400 corpi) risalgono al 1918, epoca della guerra civile qui avvenuta con l'invasione bolscevica che sottomise definitivamente poi il riottoso territorio, ma a quanto ci spiega la guida è stata compiuta massimamente dagli armeni a danno delle etnie locali di Ebrei, Tati e Islamici Azeri. La documentazione fotografica di questi popoli mostrati nella loro vita di un secolo fa e nei loro costumi tradizionali è davvero interessante, ma l'intonazione delle descrizioni degli avvenimenti del museo ed il racconto della guida, appaiono davvero molto orientati a influenzare un giudizio verso gli odiati vicini e io, non conoscendo quasi nulla di quella lontana realtà storica, mi vorrei chiamare fuori dai giudizi affrettati, perché l'ignoranza dei fatti può condurre lungo sentieri sbagliati.
Ho letto qualche cosa a riguardo sul web e direi che sulla questione la descrizione dei fatti e quindi le conclusioni che si possono tirare al riguardo sono davvero molto confusi e gli storici indipendenti ancora oggi dicono che è praticamente impossibile ristabilire una verità storica provata sugli avvenimenti detti Dei giorni di marzo 1918 (vi invitp a dare un'occhiata su Wiki sotto questa dicitura). In sostanza stiamo parlando di una vera e propria guerra civile avvenuta dopo la rivoluzione bolscevica e al conseguente ritiro dell'impero russo dalla prima guerra mondiale. Nel Caucaso, allora preda di violenti sommovimenti etnici e tensioni indipendentiste che portarono alla creazione della Repubblica Transcaucasica e del Governatorato di Baku, dove si contrastavano gli interessi naturalmente Inglesi e della nascente Unione Sovietica, tutti interessati ovviamente a mettere le mani sul petrolio azero, tutti soffiarono sul fuoco alimentando gli odi razziali preesistenti, basati sulle rivalse armene che scontavano il feroce genocidio perpetrato dai Turchi solo pochi anni prima ed i richiami all'antica Grande Armenia, mentre dall'altra parte, c'erano gli islamici Azeri, con il Soviet locale che armava e aizzava entrambe le parti, che partendo da piccoli incidenti e scaramucce, scatenò una serie di massacri che alla fine di marzo (dati New York Times) provocò all'incirca 10.000 morti Azeri e 2500 Armeni e nei mesi successivi di altri 10.000 Armeni, nei cosiddetti Giorni di settembre che segnarono la riconquista di Baku.
Durante tutto il periodo sovietico i fatti rimasero nell'indistinto volemose bene, con lo stesso Presidente azero che negli anni '70 parlava di "ribellione antisovietica, giustamente sedata dall'azione ferma e risoluta dei Bolscevichi, che riuscì ad estinguerla", mentre nel 1998, lo stesso sosteneva che "la Comune di Baku iniziò un piano criminale volto ad eliminare gli Azeri dell'intera provincia con l'aiuto degli Armeni". Come vedete un argomento in cui a distanza di un secolo non si può riuscire a dipanare la matassa di una guerra civile, che tuttavia a distanza di tempo può ben servire a mantenere e rinfocolare odi mai sopiti e provocatori di attuali o future guerre. Così comunque si è sempre mosso il mondo. Noi cerchiamo solo di capire qualcosa senza illuderci di poter afferrare la verità che se ne è andata nel vento, Solo i morti rimangono ad ingrassare la terra è l'erba verde dei memoriali. Tuttavia guardatevi, se capiterete lì, le bellissime foto di questi personaggi bardati di pellicce e colbacchi monumentali, proprio come io da piccolo mi immaginavo essere gli abitanti del Caucaso, quando facevo la collezione di figurine Le razze umane. Certo non viviamo bei tempi, ma anche quelli passati non erano di certo rose e fiori. Da queste parti poi con un guazzabuglio etnico che presenta un intreccio di provenienze, religioni e storie economiche divergenti, sarebbe addirittura strano che vivessero tutti in pace e contenti.
Così i contrasti che si sono creati, da quelli del tempo passato per venire ai recentissimi, ricordiamo che qui si son sparati addosso fino a due anni fa, non riescono neppure a trovare il capo del filo per comprendere chi ha cominciato per primo. Tra l'altro qui puoi trovare storie del tutto misteriose, come quella del villaggio di Khynalug, isolato in alta montagna in fondo ad una valle perduta alle pendici dei giganti dell'alto Caucaso, abitato da un popolo misconosciuto che parla una lingua ormai conosciuta solo più da un centinaio di persone e della quale si è perduta anche la grafia, che disponeva, si dice, addirittura di 72 lettere e non appartiene ad alcun ceppo noto, ma pur con una sua letteratura e poesia. La zona è citata da Strabone che faceva riferimento a 26 tribù diverse ciascuna con una sua propria lingua, dunque pensate un po' come si potesse andare d'accordo da queste parti. Ci sono sei moschee e un piccolo museo con manoscritti antichi e un tempio del fuoco, visto che anche qui c'era un Atashgah, uno dei tanti fuochi perpetui che fuoriescono dalle montagne, addirittura intorno ai 3000 metri di quota a ricordare che questa è terra zoroastriana. Sarebbe bello farci un salto, ma non è possibile, data la difficoltà di arrivarci, ci vuole un fuoristrada e sarebbe necessario un giorno intero. Una specie di fossile resistente dell'antica Albania Caucasica e una storia di quasi 6000 anni con case di pietra e mattone crudo.
Va beh sarà per la prossima vita, contentiamoci allora di vedere una delle piccole manifatture di tappeti per cui la zona famosa. La fabbrichetta è sulla via principale e occupa circa 25 donne con una ventina di telai, alcuni molto grandi che richiedono all'incirca un anno per completare un tappeto. Sono in poche al lavoro, ma forse dipende dal fatto che oggi è sabato. Una ci insegna la tecnica di annodatura, qui si usa il turk baff, il nodo alla turca, in cui i due capi che fuoriescono, sono vicini. Infila il capo e tira, infila e taglia, il lavoro procede velocissimo e sembra addirittura facile, salvo se provi tu, ad impigliarti subito le dita tra trama e ordito. La ragazza ride della nostra goffaggine, ma chissà quanti turisti sono già passati di qui a mostrare il loro stupore. Noto in quelli già finiti, molti disegni di tipo Daghestan, ma come mi conferma la responsabile, qui si non si fanno annodature molto fitte e la produzione, se proprio devo essere sincero, non mi sembra di standard molto elevato. Sinceramente sono un po' deluso, speravo davvero, visto che qui siamo nel cuore dello Shirvan di poter ammirare qualche pezzo speciale. Io sono molto appassionato di tappeti e poter soltanto accarezzare la superficie di una delicata e sottile annodatura, dal disegno complesso, in cui andare alla ricerca delle piccole imperfezioni che la rendono così squisitamente fatta a mano, con fatica, tempo e tanta pazienza, mi dà un piacere fisico senza pari.
Ne sono sempre stato attratto morbosamente e quando ho avuto l'opportunità di capitare in luoghi di produzione o di commercio, non ho mai perso l'occasione di dare un occhiata, spesso portando a casa qualche cosa, come al mercato di Ismailovo a Mosca o il bazar di Teheran o quello di Bukhara, dai mercanti della Turchia o nella grande fabbrica di Asghabad, che ebbi modo di visitare. Certo, mi sarebbe piaciuto possedere tappeti di alta qualità, dalle provenienze celebri, ma mi sono accontentato anche soltanto di vederli o meglio ancora di toccarli, studiandone i rimandi geometrici, la fantasia del progetto, le rispondenze del campo e delle bordure, alla ricerca magari, dei simboli che ne definiscono le provenienze, quando sono stato in grado di riconoscerle, Davvero una delle opere artigiane che metterei senza incertezze tra le opere artistiche, anche se prodotte da schiere di donne anonime attraverso mesi di fatica. Mi sembra tuttavia che questo tipo di oggetto non sia più apprezzato come un tempo, ma chissà, le mode vanno e vengono. Lasciamo infine la città e proseguiamo la strada nei boschi di querce, qua e là piccoli e grandi locali per accogliere gitanti, dove già si levano i fumi delle griglie. Ci fermiamo anche noi a prendere un ultimo boccone di Azerbaijan, che, come diceva il poeta "a lungo illuda nostra sete in via" e anche senza tappeti torniamo verso la città.
Ma devo togliermi un'ultima curiosità. Possibile che sulle rive del Caspio non ci siano più sentori delle uova più preziose del mondo? Il nostro Aqshim, non si fa pregare, così sulla via del ritorno, ecco proprio sul bordo del mare, un villaggio di pescatori senza nome, una grande piazza polverosa circondata da banchetti di fast food dove si fermano le corriere. Scendiamo e cerchiamo dietro i negozietti ed i magazzini, uno strambugio con la parta solo accostata. Ecco comparire un tipo dalla faccia rugosa e provata dal sole e dal mare, un amico che lavora per una fabbrichetta di inscatolamento di caviale e pare abbia della roba buona a buon prezzo, che forse è rimasta fuori dai cartoni, diciamo così. Tira fuori un po' di vasetti di vetro, la forma classica da 120 gr. Non è neppure Beluga, ma Ocitrin, una via di mezzo col Sevruga. Le uova sono piccole e molto nere, non mi sembra di eccelsa qualità, ma non sono un intenditore, per cui rifiuto di assaggiare, come vorrebbe il tizio per non sentirmi poi in obbligo. Inoltre chiede 120 M, che certo non è il prezzo stratosferico a cui lo trovi in Italia, ma non è neanche regalato, per cui declino l'offerta del dottore e me ne vado da dove siamo entrati, con suo grande dispiacere di non poter concludere il business e per questa volta niente regali. Insomma diciamo a questo punto che è proprio finita. Andiamo di corsa a dormire, visto che l'appuntamento è per domattina alle 3:30, che all'aeroporto non aspettano e magari ci fanno penare per uscire. Ma ormai possiamo dire di essere tornati a casa anche questa volta.
SURVIVAL KIT
![]() |
| Tappeto Daghestan |
Da vedere a Quba - A circa 170 km da Baku risalendo a nord la M1 lungo il mare e che all'ultimo piega verso ovest risalendo le colline. Luogo molto tranquillo e solitario con qualche decina di migliaia di abitanti dediti alla coltivazione delle mele (oltre 200 varietà) e alla lavorazione dei tappeti (disegni Daghestan e Quba). Sede medioevale di un khanato è il centro di uno dei più importanti gruppi ebraici dell'ex-URSS. Da vedere la Città Rossa (Krasnaya sloboda), il quartiere dove appunto si è rifugiato questo gruppo, detto degli Ebrei della montagna, circa 5000 persone, con una importante sinagoga e belle case dalla particolare architettura; Qualche moschea e un hammam; Il memoriale del cosiddetto genocidio del 1918; Un laboratorio di produzione dei tappeti. Se vi fermate più tempo potreste avere modo di vedere nei dintorni, la Cascata di Afurdja, di 75 metri; La gola Tengya Alty, un lungo canyon roccioso con enormi massi; la Fortezza di Cirag Gala, che però è solamente un rudere su uno sperone roccioso; ma soprattutto il villaggio di montagna di Khynalug, molto isolato a 2300 metri, che si raggiunge solo in fuoristrada percorrendo circa 60 km da Quba verso l'interno del Caucaso verso il confine russo, dove vive ancora isolata una comunità che parla una propria lingua. Per questo giro credo che occorra una intera giornata. Questa rimane comunque una zona vocata ai trekking per gli amanti delle zone poco battute, mentre i dintorni ed i boschi vicini a Quba sono invece presi d'assalto dai cittadini alla domenica in cerca di spazi dove fare colossali barbecue. Il giro per tutta la giornata ci è costato 250 M.
![]() |
| Red settlement |
![]() |
| Fabbrica tappeti |






Nessun commento:
Posta un commento