sabato 8 novembre 2025

Azer 17 - Premessa

 

Forse è vero che il destino dell’uomo è già scritto da sempre. Noi ci mettiamo in testa di decidere di volta in volta, di essere veramente protagonisti delle nostre scelte oppure che la assoluta casualità domini, come le più classiche sliding doors, le strade che prenderemo, ma può essere che tutto sia già stato deciso altrove e che le nostre decisioni siano solamente una conferma dell’ineluttabile. Perché questo pippozzo un po’ stucchevole all’inizio del mio lavoro su una delle regioni geografiche più interessanti e complesse del mondo? Perché prima di cominciare il mio racconto di come per trenta anni o più, le vicende della vita mi hanno portato a percorrere più e più volte quelle strade lontane, mi vengono in mente fatti che potrebbero anche portarmi alla conclusione di come quella traccia, sia pure in maniera flebile, fosse già segnata da tempo. Ero un bambino, facevo le elementari e come tutti a quel tempo facevo collezioni di figurine. Ma la mia mamma era piuttosto severa al riguardo, dunque erano messe al bando quelle che tutti gli altri ragazzini ambivano, le Panini dei Calciatori, che per la verità anche a me non entusiasmavano più di tanto, visto la mia scarsa attitudine agli sport, cosa che si traduceva anche in debole passione per i campioni osannati da tutti, ma solo argomenti insindacabilmente da lei giudicati “istruttivi”, vista la sua attenzione a guidarmi con mano ferma verso quello che allora era stimato come unico ascensore sociale a disposizione. 

Quindi mentre i miei compagni di scuola cercavano disperatamente la introvabile figurina di Pizzaballa, io tentavo, sempre senza riuscirci o quasi, di completare l’album di Garibaldi (di cui me ne mancò sempre e solamente una), quello degli Animali del mondo e soprattutto Le razze umane, che era titolato in questo modo, visto che allora quella dizione non era stata ancora messa all’indice. Ero assolutamente affascinato da quelle forme colorate e così diverse da quanto conoscevo, dai Pellirosse delle tribù delle pianure, dai piccoli Pigmei delle foreste congolesi (terre che il vocabolario scientifico Novissimo Melzi che Gesù Bambino mi aveva portato per Natale in seconda elementare, segnalava in una cartina completamente bianca e priva di toponimi dei primi anni ‘50, come Zone non ancora esplorate) e le donne delle tribù etiopi Mursi col grande piattello tra le labbra. Ma la figurina che mi affascinava più delle altre era quella denominata il Circasso, che raffigurava un uomo magro e fiero avvolto in un grande mantello nero, grandi baffi e un gigantesco colbacco di astrakan, così mi aveva detto fosse la mia mamma, visto che allora, tempo in cui l’animalismo non era ancora stato previsto, doveva essere di gran moda e quindi di sua conoscenza e forse altrettanto oggetto di desiderio, mai soddisfatto, né soddisfacibile, visto le nostre condizioni di famiglia modesta. 

Abitava, fiero ed indomabile, le montagne del misterioso e lontano Caucaso e resisteva agli invasori, con feroce ed invincibile bellicosità, almeno così recitava la didascalia della figurina. Forse da quell’album e se così è stato, proprio da quella figurina, nacque la mia voglia insanabile di andare a vedere cosa ci fosse al di là della collina, di confrontare coi miei occhi quanto corrispondessero alla realtà quelle figure ingenue e a volte indistinte? Forse andò così e quel desiderio muto rimase sopito, ma ben presente dentro di me, per anni, fino a quando per altre motivazioni e casualità, o forse per quel fato già stampato nella pietra o solo scritto nel vento, come lo volete vedere, non cominciò ad avere occasioni per concretizzarsi meglio, prendendo forma dapprima lentamente, poi con una progressione inarrestabile che mi intriga ancora alla soglia degli ottanta. Così quando arrivai per la prima volta in quel Caucaso sognato, nel ruolo di mercatante (direbbe Marco) in cerca di contratti, rimasi un po’ deluso di non veder quel personaggio che in figurina mi aveva così condizionato, ma la scoperta di una zona del mondo che facilmente intuivi così carica di interessi, me ne fece appassionare vieppiù, dandomi sempre maggiore desiderio di indagare più a fondo non appena l’occasione si fosse presentata. 

Così a poco a poco percorsi quel nord al di qua della catena, così poco conosciuta ai tempi, dispiacendomi del fatto che la mia azienda non avesse affari anche a sud, cosa che poi ebbe successivamente, quando io ormai ero nella mia terza vita, ma sempre ricordo bene come dentro di me sempre albergasse quella diminutio, del non poter ancora aver avuto la possibilità di scavalcare le cime bianche ed altissime e andare a vedere se anche al di là non ci fossero più, quegli uomini fieri col colbacco di astrakan, calcato un po’ storto sul capo. Adesso che finalmente, canuto e stanco, direbbe il poeta, l’opera è compiuta, non mi rimane che riportarvene le mie impressioni, le emozioni che vi ho provato, le storie che mi sono portato con me ad ognuno dei miei ritorni. Per questo comincerò questa relazione proprio da quei tempi ormai lontani e dei quali però, conservo ancora indelebile memoria.


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