Case torri della Geogia |
Il Caucaso è una delle regioni del mondo che da millenni ha dato vita a una serie di culture diverse ed interessanti, spesso in lotta tra di loro oppure in convivenza temporanea dai fragili equilibri. Ma bisogna riconoscere che è sempre stato un territorio percorso da vivaci tensioni. Le popolazioni montanare sono fatte così, litigiose e poco inclini ad accogliere il diverso, sempre visto come quello che viene a portar via, mercante incluso, al contrario dei popoli di mare, sempre aperti al nuovo, per la serie più contatti, più commerci e si gode tutti. E' proprio la differenza tra le tante realtà presenti e sono decine le etnie che ne popolano le valli, che lo rende così interessante. Me ne ero reso certamente conto quando percorrevo l'URSS nella mia attività lavorativa e ne avevo incrociato i cammini per anni, nella parte a nord della catena montuosa che lo attraversa. Tante etnie diverse, in pratica una o più per ogni valle, che pur nella uniformazione a cui tendeva la pressione sovietica, continuavano a mantenere differenze consistenti. Allora, dietro i nomi delle diverse repubblichette solo nominalmente autonome, ma racchiuse dal cappello del centralismo moscovita di un regime ormai in disfacimento, vibravano voglie di indipendentismo, più o meno vitali, anche se certo nessuno avrebbe in quel momento potuto prevedere le pulsioni che avrebbero condotto, solo pochi anni più tardi agli orrendi massacri delle due guerre cecene.
Altrove, nelle valli kabardino-balkaria o karachayevo-cerchieskaya, avvertivi uno stadio vegetativo meno irruento e più arrendevole, come se i settanta anni di regime avessero appiattito o annichilito a secondo dei punti di osservazione, ogni fantasia di scrollarsi di dosso un giogo ormai solo virtuale, il cui peso, in fondo, non era più avvertito da nessuno. Il loro sogno di un futuro radioso, che si espletava ascoltando il Festival di Sanremo (che arrivava anche in quelle lontane valli alla fine del mondo), era solo quello di arrivare a Mosca e fare il cameriere al McDonald che aveva appena aperto. Anche i tratti tribali erano quasi scomparsi e difficilmente tu, straniero, avvertivi differenze tra Ossetini, Avari, Daghestani e tutti gli altri. Erano tutti Russi insomma, tranne forse proprio quei Ceceni, peperini e attaccabrighe, a cui già allora si guardava con cautela. A Mosca poi, uno dei luoghi dove la tendenza razzista era più forte, bastava guardare alla Yugovagsàl, la stazione che portava i treni verso sud, la più mal messa e puzzolente tra tutte, per capire il disprezzo, mescolato ad una sorta di timore, che i moscoviti avevano verso i cosiddetti culi neri, cosa che è poi emersa in maniera evidente negli anni successivi.
Tuttavia, pur desiderandolo ardentemente, non avevo mai messo il naso al di là del crinale di quelle montagne bianche ed altissime che vedevo dalla piana coperta di neve mentre, con scassate Zigulì, percorrevo da Cherkiesk a Nalchik, da Kislovodk a Valdikavkaz, da Stavropol a Pyatigorsk, dopo essere atterrato a Mineralnje vady, Acque minerali, un nome, un programma. La curva che saliva lentissima ma costante verso il cono isolato dell'Elbrus rimaneva lontana, bianca e innocente come la cima del Fuji, mentre le valli più contorte e impervie che portavano da Teberda fino alle pareti verticali del Dombaj, con le vecchie seggiovie semiabbandonate all'incuria dello sprofondo del regime, lo facevano apparire come un mondo dimenticato e favolistico. Invece non ero mai riuscito a mettere il naso al di là di quelle creste, che invece la politica aveva deciso essere in possesso di una personalità diversa e più forte e le tre regioni, Adzerbajian, Geogia e Armenia, possedevano caratteri distintivi storicamente così separati da renderle parti decisamente differenti, pur nell'abbraccio della Santa Madre. Ne conoscevo l'appeal solamente dai ristoranti reginali che a Mosca andavano per la maggiore, come l'Aragvi e qualche altro dove si andava spesso per godere di una atmosfera più allegra e diversa dalle lugubri sale popolate da allampanati camerieri che ti proponevano solo scatolette di caviale rubate in cucina.
In quei locali, qualcuno di nuova apertura, potevi mangiare pane croccante e bere vino geogiano forte e grezzo e finire con del meraviglioso konjak Ararat di 25 anni, che, proprio per la sua qualità eccelsa, si fregiava del titolo concesso proprio dalla Francia in una esposizione di inizio secolo. D'altra parte mi risulta che dopo il disfacimento dell'URSS, la ditta di produzione sia stata acquistata proprio da un grande marchio francese. Il Caucaso, nonostante la temperatura, è più caldo di per sé, mi raccontavano gli amici, sorbendo grandi cucchiaiate di chorba, la infuocata zuppa del sud, parlado di matrimoni georgiani che finiscono sempre a cazzotti e pistolettate. Insomma avrete già capito che questa perdita di opportunità, il vedere quel mondo a sud della catena dei monti da cui Giasone era tornato vittorioso e coperto del ormai suo, vello d'oro, anche se rubacchiato con l'aiuto di una femmina dagli occhi scuri come la notte, l'ho vissuta ai tempi come una deprivazione di cui ho sentito il vulnus per anni. Orbene, pensate che appena prima che il morbo maledetto ci privasse di tre anni di vita, stavo proprio per mandare la caparra ed acquistare i biglietti aerei per andare a completare questa mancanza, aggiungere delle figurine all'album, che tante pagine ha ancora vuote.
Il covid me lo imperdì per un pelo, ma l'itineraro era tracciato e sempre nella mente a grattare come un tarlo mai sopito. Così, dopo anni, eccolo tornare di attualità, anche se intanto ci si è messa di mezzo l'ennesima guerra, che l'uomo è fatto così, peggio sta e più vuole far star male anche il suo vicino, sentimento generale a cui si aggiungono odi atavici, che si pensavano seppelliti nel dimenticatoio della storia e che invece periodicamente accendono roghi partendo da braci semisepolte tra le ceneri. Questo purtroppo mi impedirà di completare il programma tracciato allora, oltre al fatto che i prezzi sono ovviamente lievitati, ma tuttavia qualcosa si cercherà di fare. Non bisogna fermarsi mai se vuoi davvero resistere (ed esistere) e di programmi e di idee ne ho davvero ancora tanti nella testa. Almeno quelli, naturalmente, e qualcuno magari riuscirò ancora a realizzarlo. Nel frattempo, ho quindi posposto l'Adzerbajian, a cui penseremo dopo, spezzando così il giro in due parti. Il resto intanto, anche se devo rinunciare alle irrangiungibili Avkazia e Ossezia e pure al Nagorno Karabagh, passato ad altra amministrazione, territori particolari dei quali si sta perdendo traccia, è già tracciato ed in fase operativa, ehehehe, sempre che il fisico regga, naturalmente. Vi farò sapere.
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