sabato 31 gennaio 2009
Involtini primavera e bagna cauda
Un mio precendente post : Xué, ha suscitato una qualche attenzione e mi sento quindi in dovere di aggiungere un approfondimento sulla questione, che, come sempre, è talmente complessa da apparire comunque molto riduttivo cianciarne in quattro battute. Ad un mio tentativo di andare un po' più in profondità su quanto sta sotto la superficie della via allo sviluppo cinese, Damiano ha contrapposto una realtà come quella che vive personalmente in un luogo, Prato, dove i problemi negativi causati da questa via, uniti a quelli dell'immigrazione presentano per tutti gli attori interessati un negativo che prevale pesantemente su qualsiasi aspetto positivo della questione. D'altro lato, NonVedente, non toccato in prima persona, si meraviglia dell'importanza data a questo aspetto, di certo più attento al lato teorico dell'accoglienza e forse anche dalla poca "fastidiosità" che la comunità cinese, sotterranea anche nel comune sentire, provoca in generale nella maggioranza delle comunità. In queste poche battute si assommano una serie di grane sociali da riempire decine di saggi sociologici su problemi di cui nessuno negli ultimi duemila anni (e sottolineo nessuno) ha trovato il bandolo. Come lo scorrere dell'acqua dall'alto verso il basso (credo che si chiami forza di gravità), il fenomeno migratorio è (ed è stato) assolutamente inevitabile ed inarrestabile fino a quando ci sarà un luogo dove si sta bene ed uno dove si sta male o malissimo. Perchè chiunque, prima di morire cerca di spostarsi in un altro luogo, rischiando anche la vita, dove forse riescirà a sopravvivere, magari anche in una baracca od in un sottoscala. Sono stati trovati degli ostraka in Sudan, nella zona dell'estremo limes dell'impero romano, su cui erano scritte raccomandazioni che clandestini etiopi, forse morti di stenti nel deserto, portavano con sè per poter superare il confine dell'impero per poter arrivare ad imbarcarsi per giungere a Roma. Non cambiano molto le cose nel tempo, vero? Negli Stati Uniti, che hanno uno dei confini più semplici da sorvegliare, nonostante il muro e i reticolati su cui la domenica qualcuno si esercita nel tiro al clandestino, ci sono all'incirca un miglione di irregolari all'anno. Non è facile fermare l'acqua che scende, anche se qualcuno propone ricette facili quando si va al voto. Un secondo punto è la tremenda tendenza dell'uomo a sfruttare il suo prossimo appena gli è possibile e la presenza di una posizione forte ed una debole, genera questo effetto come per legge naturale. Qui si innesta il terzo punto. In uno stato che vuole essere civile, una politica seria e capace (capisco che questo sia un ossimoro estremo ed improbabile) deve controllare e perseguire senza pietà i comportamenti illegali, che partono spesso dalle piccole cose, fino a provocare disagi sociali di grande entità e molto più difficilmente controllabili. La cosa, proprio nella situazione denunciata da Damiano, era (ed è) molto facilmente gestibile, in quanto queste illegalità non sono costituite da furti, scippi, rapine, dove chi delinque deve essere rincorso ed acchiappato, ma sono tutte ben ferme e facilmente controllabili e punibili. Con chi bisogna prendersela se sorge una città illegale di sotterranei in cui si compiono reati edilizi, di sfruttamento, merceologici e chi più ne ha più ne metta? Intervenendo all'inizio o durante e comunque intervenendo, questo è un problema che si può risolvere, volendolo fare. Qui da noi, i banchetti di cinesi al mercato, sono continuamente controllati (sicuramente più degli altri) e non si vedono comportamenti fuorilegge e la comunità cinese è certamente quella che dà meno problemi di convivenza. Certo bisogna stare attenti che l'esasperazione prodotta dall'illegalità, non faccia confondere i problemi. Laboriosità, sacrificio, poca lamentosità sono doti e non difetti. Sono queste che stanno alla base del successo cinese nel mondo. Sfuttamento, delinquenza e altro, sono devianze da limitare (eliminare non è, come già detto, nella natura umana), ma non credo che siano il fattore portante del fenomeno cinese. Sono certo che chi conosce la Cina al suo interno, concorda con me, che laggiù questi fenomeni sono molto inferiori a quanto si pensa (o ci si illude di credere). Molto spesso chi ha la tendenza a sfruttare sono le aziende straniere, quelle che più sbraitano sul problema dei tarocchi, che temono di non poter più vendere a 50 dollari quello che producono a 1 dollaro (perchè vale 1 dollaro in effetti). Le stesse condizioni di lavoro, vanno via via migliorando laggiù, secondo il naturale trend che anche le nostre economie hanno fatto nel tempo, anche più in fretta di quanto si creda. Piangere perchè non riusciamo più, noi a Prato a fare le magliette come i cinesi, mi sembra una battaglia di retroguardia che si dovrebbe aver superato. Difendere un sistema che non può più esistere, cercare di ritornare ad essere noi i cinesi, mi sembra sbagliato, oltre che comunque velleitario. Non approfittare dell'occasione che ci offre una colossale economia che ancora ha enormi margini interni di sviluppo ed ha la capacità di perseguirli (forse in questa spaventosa crisi mondiale crescerà solo del 7% invece che il 9% come previsto!), rimanendo loro sempre davanti, con tecnologia e creatività e non dietro, sperando di tornare a fare magliette e scarpacce di gomma, non entrare a mangiare una fettina di questa enorme e succulenta (oltre che unica) torta disponibile, mi sembra terribilmente miope. Certo bisogna perseguirla la creatività e la tecnologia e poi non servirà neanche sforzarsi per imporgliela, chè loro sono i nostri primi estimatori. E come ho già detto più volte, speriamo che, ammirandoci, continuino a copiarci, perchè questa sarà (io almeno credo) la nostra salvezza. E stasera involtini primavera per tutti (anche per Damiano dai!).
venerdì 30 gennaio 2009
Gennaio (?) dolce dormire
Brutta storia il sonno, specialmente se hai un sacco di cose da fare, magari dopo una serata solo un filo alcoolica in discoteca(?), anzi è proprio quando ne hai di più che dormiresti tutta la mattina. Poi ti senti un po' colpevole, pensi che ne avrai di tempo per dormire, poi ...... ma in fondo, che importa, è bello lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo mentre il gelo dei giorni della merla avvolge la città. Dormire, sognare, chissà. Uno stesso tema trattato da Li Po e Ommar Khayyam così distanti, così vicini.
Svegliandomi dall’ubriachezza in un giorno di primavera
La vita nel mondo non è che un lungo sonno:
Col lavoro e le cure non la voglio sciupare.
Così dicendo restai tutto il giorno ubriaco
Allungato nel portico innanzi alla porta di casa.
Sveglio, sgranai gli occhi abbagliati sul prato:
Un uccello cantava, solo, in mezzo ai fiori.
Mi chiesi se il giorno era stato bello o piovoso:
Lo zeffiro ne parlava all’uccello mango.
Da quel canto commosso trassi un lungo sospiro
E poiché il vino c’era riempii la mia coppa.
Come un pazzo cantando attesi l’alba lunare;
A canzone finita i miei sensi se n’erano andati.
Li Po
Poiché non sono verità e certezza in nostro possesso,
Non si può con speranze dubbiose aspettare tutta la vita.
Il palmo della mano non deve lasciare la coppa del vino:
In tanta ignoranza dell'uomo che importa esser sobri o ebbri?
Ommar Khayyam
Svegliandomi dall’ubriachezza in un giorno di primavera
La vita nel mondo non è che un lungo sonno:
Col lavoro e le cure non la voglio sciupare.
Così dicendo restai tutto il giorno ubriaco
Allungato nel portico innanzi alla porta di casa.
Sveglio, sgranai gli occhi abbagliati sul prato:
Un uccello cantava, solo, in mezzo ai fiori.
Mi chiesi se il giorno era stato bello o piovoso:
Lo zeffiro ne parlava all’uccello mango.
Da quel canto commosso trassi un lungo sospiro
E poiché il vino c’era riempii la mia coppa.
Come un pazzo cantando attesi l’alba lunare;
A canzone finita i miei sensi se n’erano andati.
Li Po
Poiché non sono verità e certezza in nostro possesso,
Non si può con speranze dubbiose aspettare tutta la vita.
Il palmo della mano non deve lasciare la coppa del vino:
In tanta ignoranza dell'uomo che importa esser sobri o ebbri?
Ommar Khayyam
giovedì 29 gennaio 2009
Cocoons
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mercoledì 28 gennaio 2009
Una pugnalata emotiva
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Goulimine è l'ultimo avamposto del sud marocchino dove sia consentito arrivare con i propri mezzi senza sconfinare in territorio Saharoui. Qui si svolge ogni domenica il più importante mercato di cammelli dell'Africa. Vi convergono a migliaia, touareg con i mantelli blu, Saharoui con grandi turbanti bianchi avvolti attorno al capo, commercianti marocchini con camioncini malandati e qualche turista di lungo corso che ama perdersi tra le mandrie e i sensali. Sembra di stare al mercato di Alba vestiti da carnevale. Stessi gesti, stesse pacche sulle spalle, stesse strette di mano, solo i cammelli hanno un'aria distaccata, superiore, ma loro sono gli unici esseri viventi a conoscere il centesimo nome di Hallah e quindi se la possono permettere. Giudiziosamente eravamo arrivati il giorno prima, rimanendo subito preda di un ragazzino che ci aveva convinti ad andare a parcheggiare il nostro camper nell'oasi della sua famiglia a qualche kilometro dal paese. Ne valeva la pena; sotto un gruppo di palme ci si poteva godere uno spettacolare tramonto sulle dune, prima dorate e poi rosse, infine nere, del grande erg occidentale. Tra le palme c'erano anche altri sbandati, tra i quali due ragazzi di Cuneo, entusiasti ed affascinati come noi del luogo. Calato il sole, il ragazzetto viene a chiamarci con aria complice e ci comunica che proprio fuori dall'oasi si è accampato da due giorni un cosiddetto uomo blu del deserto, un'ottima occasione per una serata un po' particolare. Facciamo comprare carne di cammello per gli spiedini e con i due cuneesi al seguito, veniamo ricevuti dal predone del deserto che ci accoglie, dopo aver controllato la carne, con la proverbiale ospitalità touareg. Era un uomo non giovane, ma di aspetto severo avvolto in larghe vesti indigo di un blu accecante, la testa completamente avvolta in un gigantesco cheche che copriva anche parte del volto la cui pelle scura era cotta dal sole e dalla sabbia del deserto. Se ne stava accoccolato nella sua grande tenda, su spessi tappeti, appoggiato a sacchi di mercanzia disposti in disordine dietro di lui. Veniva al mercato due volte all'anno per barattare sale con orzo, thé e altre cose preziose per chi come lui passava tanto tempo lontano dal mondo civile. Così tanto tempo e così lontano da rimanere stupito e sorpreso quando non spaventato da certa tecnologia, evidentemente a lui poco nota. Come non ricordare, tra un thé alla menta e i dolci datteri freschi, il suo sbattere gli occhi, meravigliato, quando il nostro cuneese usò il suo accendino per fare il fuoco sotto gli spiedini; come se lo rigirava tra le mani continuando a fare scattare la fiamma, come un bimbo con un gioco appena scoperto, lasciandolo poi da parte, strumento diabolico in cui è male, forse, riporre fiducia. Che dire poi, quando si ritrasse terrorizzato, perchè improvvidamente, incurante delle prescrizioni preventive della nostra piccola guida, estrassi la macchina fotografica, subito riposta; un evidente oggetto demoniaco. Dispensava inoltre frasi sagge, tradotteci in simultanea, come osservazioni sui meloni, dono di Hallah, dolci dentro ma ruvidi e brutti di fuori o sui datteri, dita di luce divina. Mentre la nostra cuneese guardava con espressione rapita il principe delle dune, salutammo la compagnia, e ce ne filammo a letto. L'alba sulle dune è veramente un dono imperdibile; le sfumature infinite che iniziano col rosa leggero, per passare poi rapidamete tutti i toni dell'ocra, ti riscaldano dentro e ti rassicurano. Ed ecco arrivare i nostri cuneesi, lei, entusiasta, ci mostra un pugnale antico col manico d'argentone cesellato, che l'uomo blu ha loro ceduto dopo molte insistenze. Era di suo nonno, ma la necessità di nutrire le sue bestie lo avevano convinto a cederlo. Il poveretto non conosceva il valore del danaro, ma era disposto solo al baratto ed il piccolo Mahmud li aveva aiutati, facedosi carico di cambiare i loro cento dollari con i dieci sacchi d'orzo di cui il pastore abbisognava. Gli occhi le brillavano ancora per l'emozione e li lasciammo per andare al mercato, ragione per cui eravamo venuti fin lì. Un luogo straordinario che ci riempì gli occhi dall'alba per lunghe ore fino a mezzodì quando, quasi terminate le contrattazioni, lo lasciammo ai pulmann di turisti che arrivavano da Agadir per perderci tra alcune bancarelle di souvenir. Una di queste era completamente ricoperta di pugnali identici a quello del nostro ospite, disponibili a un dollaro e cinquanta (da trattare). Ridacchiando, improvvidi scettici relativisti, ci dirigemmo verso un piccolo ristorante dove trovammo i nostri due amici, con un diavolo per capello. Avevano certamente visto la bancarella e truffati ma non domi, erano subito corsi alla locale stazione di polizia, dove avevano raccontato il fatto. Pare che i gendarmi un po' assonnati abbiano esclamato: - Ma 'sto Hussein non vuol proprio capirla, ne ha bidonati altri due!- e caricatili sulla jeep, li riportarono all'accampamento dove, dopo una ramanzina e con promessa di non farlo più, il nostro magnifico guitto, restituì il maltolto. Un sogno distrutto da una improvvida bancarella, sciolto nell'acido del buon senso e dello scetticismo. Cento dollari in più in tasca ed una emozione in polvere. Eppure l'anima si nutre di sogni; che pugnalata, che occasione perduta, che peccato!
martedì 27 gennaio 2009
Buon anno!
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E buon anno a tutti i miei amici cinesi. Questo è l'anno del toro (o del bue secondo altri) e mi dicono che non è un grande anno. Vedremo comunque, i presupposti perchè sia un disastro già ci sono, ma ricordiamoci sempre che le previsioni degli economisti, quelli bravi soprattutto, sono sbagliate in più del 50% delle volte e in questo caso è bene. Comunque staremo a vedere e ingozziamoci di involtini primavera!
lunedì 26 gennaio 2009
Il lago Yamzho
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I 4794 metri del passo di Kampa-la ti accolgono con una sgradevole sensazione di difficoltà respiratoria. Cali giù dalla Toyota e fatichi a camminare, a respirare, pensi che sei praticamente in cima al Monte Bianco e invece intorno a te le montagne crescono come i funghi. Guardi in alto e capisci perchè in tutte le tangke tibetane appese alle parete dei templi il cielo sia così indaco, sempre cosparso di sbuffi bianchi di nuvole. Camminando lentamente tra i fasci di bandiere di preghiera colorate che sventolano nel vento teso e gelido, portando in alto le loro richieste di aiuto, arrivi a vedere, poco più sotto la superficie piatta di turchese del lago Yamdrok Tso che si insinua tra le vallette laterali come un polipo dai cento tentacoli, un lago sacro nel deserto dell'alta quota. Sei in Tibet, ma se sei cinese il lago si chiama Yamzho Yumko e non è poi molto sacro, anzi, con il tipico pragmatismo cinese, si trova in una posizione straordinaria per fare una condotta forzata di oltre mille metri di dislivello che generi energia di cui il nostro mondo (sottolineo, il nostro) è perennemente affamato. I tibetani hanno guardato l'operazione con grande disapprovazione e si sono messi, metaforicamente, sulla riva del lago ad aspettare. Non ci sono immissari, quindi è prevedibile che la continua emunzione di acque farà scendere il livello del lago fino a farlo sparire e qui casca l'asino. Perchè i cinesi non lo sospettano o quanto meno se ne fregano, ma tutti sanno che in fondo al lago, da ere immemorabili è tenuta prigioniera e incatenata una orchessa malefica che, una volta liberata dal peso delle acque, spezzerà le sue catene dorate e distruggerà il mondo, quantomeno la Cina. Per questo forse, i tibetani che transitano dal passo con gli yak o le mandrie di capre, dopo aver messo una pietra sui monticelli lasciati dai viaggiatori che li hanno preceduti, guardano il lago e sogghignano a lungo, stringendo gli occhi come fessure scavate nella carne. Quelli a cui raccontano la storia ridono e li prendono un po' in giro. Ma i pastori non sono come i ragazzi impazienti che tirano pietre a Lhasa o bruciano qualche negozio e magari rischiano la vita. Raccontano a te, che ansimi camminando piano per raggiungere l'auto e che guardi un po' smagato i monaci col telefonino che si messaggiano durante la preghiera nel gompa di Sera, una frase famosa di Guru Rimpoche scritta in un rotolo di pergamena del XV secolo:- Quando l'uccello di ferro volerà ed i cavalli correranno sulle ruote, il popolo tibetano sarà sparso per il mondo.- e le fessure sorridono ammiccanti. Loro aspettano.
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sabato 24 gennaio 2009
La città dell'alba
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venerdì 23 gennaio 2009
Niente di nuovo sotto la neve
I miei contatti nella city, tempio della finanza, i quali cercano di investigare i vari aspetti della crisi (al fine di produrne altra, ovviamente) mi segnalano quanto segue:
"Owners of capital will stimulate working class to buy more and more of expensive goods, houses and technology, pushing them to take more and more expensive credits, until their debt becomes unbearable. The unpaid debt will lead to bankruptcy of banks, which will have to be nationalized, and State will have to take the road which will eventually lead to communism."
Karl Marx, 1867
Dalla padella nella brace?
E se si trattasse di una bufala, o una mezza verità (ricordate) magari solo un po"aggiustata"?
E se poi non fosse mica fondamentale indagare se è una bufala?
Pensare che c'è chi se la prende col relativismo, l'unica vera filosofia che ci salverà!
"Owners of capital will stimulate working class to buy more and more of expensive goods, houses and technology, pushing them to take more and more expensive credits, until their debt becomes unbearable. The unpaid debt will lead to bankruptcy of banks, which will have to be nationalized, and State will have to take the road which will eventually lead to communism."
Karl Marx, 1867
Dalla padella nella brace?
E se si trattasse di una bufala, o una mezza verità (ricordate) magari solo un po"aggiustata"?
E se poi non fosse mica fondamentale indagare se è una bufala?
Pensare che c'è chi se la prende col relativismo, l'unica vera filosofia che ci salverà!
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giovedì 22 gennaio 2009
Quasi primavera
C'è il sole oggi, finalmente, quindi il tema di meditazione è:
1. E' facile governare la testa della gente.
2. Basta un attimo e di noi non rimane memoria
3. Bello è vivere in una terra che non ha bisogno di eroi
Come di consueto per condensare i tre punti in un unico discorso vado a pescare nei miei ricordi. Vjacheslav era ricco, molto ricco, eppure, in quel 1993 di grandi novità, era la prima volta che usciva dall'URSS e tutto gli sembrava bello e diverso, anche una cittadina spenta ed anonima come Alessandria. Era ansioso di raccontarsi, con l'entusiasmo di chi esce dal guscio e si guarda intorno avido di imparare, di provare, di conoscere. Veramente non era proprio la prima volta che lasciava la Russia. Mentre gli chiedevo se non avesse mai visto neppure qualche paese all'interno dell'area sovietica, il suo viso si rabbuiò mentre risaliva la scala degli anni. Certo, uno lo aveva visitato, molti anni prima. Era d'inverno, un inverno molto freddo, quello del 1968 e lui, che era ancora un ragazzo, trascorreva il Capodanno in una gelida tenda con i suoi commilitoni, accampati tra le colline, lontani dai centri abitati. Le razioni erano insolitamente abbondanti e di buona qualità da giorni e anche la vodka veniva distribuita senza troppa avarizia. Poi arrivò l'ordine e lui, addetto alla mitragliera, era nella colonna di carri blindati che entrarono a Praga. Era il gennaio del 1969 e tutti erano ben motivati, sapevano bene(da settimane glielo spiegava il commissario politico) che l'Occidente stava per invadere la Cecoslovachia e che i fratelli Cechi li avevano chiamati in aiuto, per proteggerli e difenderli dall'invasore. Era pronto, nel suo slancio giovanile, a combattere per loro, ma mentre il suo carro avanzava sferragliando lungo la grande Uliza Venceslao, comprese subito che c'era qualcosa di strano. Emergeva con quasi tutto il busto dall'oblò del suo tank e girandosi intorno vedeva la folla, la folla dei Praghesi, che non gli lanciava fiori e grida di benvenuto, ma soltanto insulti e grida di "tornatevene a casa". In russo. Quella gente per cui era pronto a combattere, gli mostrava i pugni con ira, oppure lo guardava soltanto con sguardo severo e triste, molte donne piangevano. Uno shock, un ribaltamento di valori. Piano, piano cominciò a capire, risalì alla cura con cui nei giorni precedenti erano stati evitati, addirittura proibiti i contatti con la popolazione. Le sue certezze si sgretolarono a poco a poco in quella acerba primavera, man mano che le richieste di spiegazioni erano aggirate od ignorate. Per sua fortuna non dovette mai sparare e non seppe mai neppure di Jan Palach e degli altri ragazzi. Però la sua verginità condiscendente fu perduta quel giorno e negli anni a venire, guardò sempre chi prendeva per oro le dichiarazioni ufficiali del regime, con l'occhio di chi ha visto. Oggi la maggior parte delle persone con meno di 40 anni che conosco, non sanno neppure chi sia Palach. In un attimo la memoria svanisce se non l'hai vissuta direttamente, specialmente nei luoghi dove i problemi sentiti come i più gravi sono la presenza dei Rom e gli sbarchi a Pantelleria.
1. E' facile governare la testa della gente.
2. Basta un attimo e di noi non rimane memoria
3. Bello è vivere in una terra che non ha bisogno di eroi
Come di consueto per condensare i tre punti in un unico discorso vado a pescare nei miei ricordi. Vjacheslav era ricco, molto ricco, eppure, in quel 1993 di grandi novità, era la prima volta che usciva dall'URSS e tutto gli sembrava bello e diverso, anche una cittadina spenta ed anonima come Alessandria. Era ansioso di raccontarsi, con l'entusiasmo di chi esce dal guscio e si guarda intorno avido di imparare, di provare, di conoscere. Veramente non era proprio la prima volta che lasciava la Russia. Mentre gli chiedevo se non avesse mai visto neppure qualche paese all'interno dell'area sovietica, il suo viso si rabbuiò mentre risaliva la scala degli anni. Certo, uno lo aveva visitato, molti anni prima. Era d'inverno, un inverno molto freddo, quello del 1968 e lui, che era ancora un ragazzo, trascorreva il Capodanno in una gelida tenda con i suoi commilitoni, accampati tra le colline, lontani dai centri abitati. Le razioni erano insolitamente abbondanti e di buona qualità da giorni e anche la vodka veniva distribuita senza troppa avarizia. Poi arrivò l'ordine e lui, addetto alla mitragliera, era nella colonna di carri blindati che entrarono a Praga. Era il gennaio del 1969 e tutti erano ben motivati, sapevano bene(da settimane glielo spiegava il commissario politico) che l'Occidente stava per invadere la Cecoslovachia e che i fratelli Cechi li avevano chiamati in aiuto, per proteggerli e difenderli dall'invasore. Era pronto, nel suo slancio giovanile, a combattere per loro, ma mentre il suo carro avanzava sferragliando lungo la grande Uliza Venceslao, comprese subito che c'era qualcosa di strano. Emergeva con quasi tutto il busto dall'oblò del suo tank e girandosi intorno vedeva la folla, la folla dei Praghesi, che non gli lanciava fiori e grida di benvenuto, ma soltanto insulti e grida di "tornatevene a casa". In russo. Quella gente per cui era pronto a combattere, gli mostrava i pugni con ira, oppure lo guardava soltanto con sguardo severo e triste, molte donne piangevano. Uno shock, un ribaltamento di valori. Piano, piano cominciò a capire, risalì alla cura con cui nei giorni precedenti erano stati evitati, addirittura proibiti i contatti con la popolazione. Le sue certezze si sgretolarono a poco a poco in quella acerba primavera, man mano che le richieste di spiegazioni erano aggirate od ignorate. Per sua fortuna non dovette mai sparare e non seppe mai neppure di Jan Palach e degli altri ragazzi. Però la sua verginità condiscendente fu perduta quel giorno e negli anni a venire, guardò sempre chi prendeva per oro le dichiarazioni ufficiali del regime, con l'occhio di chi ha visto. Oggi la maggior parte delle persone con meno di 40 anni che conosco, non sanno neppure chi sia Palach. In un attimo la memoria svanisce se non l'hai vissuta direttamente, specialmente nei luoghi dove i problemi sentiti come i più gravi sono la presenza dei Rom e gli sbarchi a Pantelleria.
mercoledì 21 gennaio 2009
Xué
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martedì 20 gennaio 2009
Cronache di Surakhis - 6: L'insediamento
Era finalmente arrivato il giorno dell'insediamento. Dopo una dura battaglia senza esclusione di colpi, tutti gli avversari erano stati fisicamente eliminati ed il nuovo Imperatore delle galassie stava per prendere possesso del potere assoluto. Quell'elezione rappresentava una grande novità; per la prima volta, grazie ad un attento uso delle nuove tecniche telepatopsicologiche si era imposto un tripode palmato di Arrak, che aveva saputo conquistarsi, grazie al suo messaggio di novità, le simpatie e soprattutto i consensi telepatici all'eliminazione degli altri concorrenti. Era interessante la nuova modalità di elezione. I candidati effettuavano, in diretta su tutti gli olografi dell'universo, una serie di presentazioni del loro programma, interagendo telempaticamente con gli spettatori, che poi, al termine di ogni settimana decidevano chi eliminare. Il candidato perdente della settimana veniva vaporizzato in diretta tra le battute assolutamente political incorrect della conduttrice, la callipigia Irona de Vlad, ammiratissima per le sue sei abbondanti mammelle (ma se le rifaceva periodicamente e lo sapevano tutti) e il programma Le Elezioni era da sempre quello a più alto share. Paularius, che aveva fiutato l'andazzo, aveva lasciato il suo buen retiro di Voghera e si era precipitato su Surakhis con il primo trasporto disponibile. La miniera viaggiava a turni ridotti. Aveva dovuto restituire all'agenzia oltre la metà degli schiavi, che data la crisi erano stati quasi tutti eliminati, salvo le femmine che potevano sempre venir buone, così aveva potuto anche approfittare per liberarsi di quei rompiscatole di gialloidi del regno di mezzo che sembravano tanto lavoratori e poi passavano la maggior parte del tempo a bere thè di Mou e a giocare a Ma Jong. Convocò d'urgenza la Gilda dei minerari di cui era presidente a vita (era stato costretto ad eliminare Xykz di Altair regalandogli una poltrona con lo schienale farcito di stronzio radioattivo, ma quella mignatta non voleva assolutamente farsi da parte) prima che fosse troppo tardi. Il programma del nuovo imperatore Benedetto era pericoloso, in particolare la parte riguardante l' obbligo di cure mediche agli schiavi a carico dei padroni, una vera scemenza che avrebbe mandato in rovina tutti, considerando anche il fatto che uno schiavo, anche se nominalmente guarito, ha sempre un rendimento assai inferiore. Non parliamo poi del programma di smaltimenti compatibili delle scorie industriali che avrebbero mandato alle stelle i costi di tutte le attività. E pensare poi, che queste scorie, le radioattive in particolare, non coprivano neanche il 50% delle superfici utili di tutti i pianeti. Tra l'altro poi non è che 'ste radiazioni fossero poi così tremende, intanto prima di provocare degenerazioni mortali, potevano passare anni e con le dovute protezioni i pericoli erano molto ridotti. Paularius aveva investito molto nell'industria delle tute antiradiazioni e adesso anche quello gli andava contro. La Gilda avrebbe dovuto sviluppare una pesante attività di lobbing; in molti si erano già mossi e se avessero potuto inserire un paio di elementi nella nuova amministrazione, forse i colpi più gravi si sarebbero potuti parare; alla peggio, dall'interno avrebbero potuto percorrere la soluzione B.
lunedì 19 gennaio 2009
Ghiaccio relativo
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E' difficile capire se ciò che ti lascia senza fiato è la superficie ghiacciata del lago Baijkal o i -30 °C che freezzano tutto quello che ti circonda. I quattro metri di ghiaccio su questo mare interno sconfinato, su cui passano i pesanti camion militari che attraversano il lago come su una comoda autostrada (solo invernale) per raggiungere la Burijatia, paiono il coperchio di un colossale congelatore da cui estrarre con calma i pesci che i pescatori tentano con esche improbabili, nei buchi della calotta nella penombra invernale. Ben coperti, eravamo ad un centinaio di kilometri a nord di Irkutsk passeggiando sul ghiaccio vivo ai bordi della superficie vetrosa verde-blu. Avevamo lasciato da poco l'Istituto Limnologico in cui il Glavnij Limnolog ci aveva illustrato un mirabolante progetto di estrazione dell'acqua dal fondo del lago a 1800 metri, per imbottigliare e vendere in tutto il mondo l'acqua purissima e antica di milioni di anni del Baijkal. Trascurando il fatto che più a nord vi è una presenza di giganteschi impianti per produrre alluminio, l'anziano scienziato era entusiasta dell'idea. Solo al termine del colloquio scoprimmo che il progetto non aveva alcuna copertura finanziaria; cercamo di spiegargli il senso della necessità di dilazionare la cosa e lo lasciammo con grandi saluti ed abbracci secondo l'uso sovietico. Così rimanemo un po' a godere degli ultimi pallidissimi raggi del giorno che stava lasciando spazio alla lunga notte polare, lungo la riva da cui a fatica si scorgeva la linea lontana della sponda opposta. Il dolore forte alla base della laringe, al termine di un lungo respiro, è il segno evidente che la temperatura è inferiore ai 30 °C e l'intorpidimento generale è un ulteriore stimolo a muoversi verso un luogo coperto. Il freddo era veramente intenso, non avevo mai provato una temperatura così bassa; sentivo tutti gli arti torpidi e la punta del naso e le guance, senza riparo, erano stranamente insensibili. Rattrappiti e infagottati nelle nostre dublionke, richiamammo quindi all'ordine Kolija che ci accompagnava, pregandolo di riportarci in un luogo più consono alla vita. Lui ci guardò con occhio perplesso e sbottò: - Eh, lo so, non fa più quel bel freddo sano di una volta. A gennaio si stava quasi sempre sotto i 45 °C, ma da quando hanno fatto la diga sull'Angarà, il clima è proprio cambiato e non si va quasi mai sotto i 30 °C; per forza che poi si prendono le influenze. Andiamo a farci una bottiglia di vodka!- Lasciammo il lago verso la dacia di Kolija, mentre calava la notte.
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domenica 18 gennaio 2009
Qī
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sabato 17 gennaio 2009
Astrazione o astrattismo?
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venerdì 16 gennaio 2009
Il Sardar Ray
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giovedì 15 gennaio 2009
Lepjoshke e montoni
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Il barbaro destino umano è di aspettare con ansia quello che sta per arrivare, per poi lamentarsene appena giunge e passare al successivo step di attesa. Così questa gelida e piovigginosa mattinata rimanda ad una primavera ancora lontana, sognata come una panacea risolutrice. In un'altra primavera ancora da sbocciare, gli spogli alberi di Taskent esitavano a spingere linfa nelle gemme ancora esili di un marzo fresco e polveroso. Bisognava festeggiare però; l'impianto appena inaugurato in un fatiscente edificio richiedeva una consacrazione trimalcionica. Il nostro anfitrione pensò di evitare il classico banchetto ufficiale nella sala dell'Hotel e ci propose un localino tipico dove assaporare la esoticità di un ambiente ed una cucina tipicamente uzbeka. Ecco dunque una corsa nella polverosa periferia sovietica (chissà perchè gli autisti dovevano sempre andare a tutta birra come se fossimo perennemente in ritardo?) per poi entrare nel cortile di una vecchia casa, circondato da un portico un po' malandato. In parte orientale, in parte turchesco, in salsa sovietica, il banchetto uzbeko è intinto di tutte le caratteristiche dell'Asia centrale. Le insalate crude, soprattutto di cipolla e pomodoro ne sono base costante, ma il piatto forte, la vera rivelazione paradigmatica della gastronomia uzbeka, il costituente centrale che condiziona la festa, ciò per cui si sceglie un posto (come da noi il bollito alla piemontese o il bue grasso), è il plof. Il nome stesso è allusivo e onomatopeico e pareva che quello, fosse il luogo dove avremmo mangiato il miglior plof di tutto l'Uzbekistan. Al centro del cortile stava un grande calderone di ferro nero, simile alla pentolaccia in cui il druido mescola la pozione per Asterix e compagni. Qui, fin dal mattino viene prodotto un amalgama di verdure, abbondante cipolla, uva passa e parti grasse di montone in cui successivamente viene cotto il riso che si intride a poco a poco, assorbendo il grasso mentre le ossa rilasciano le loro collosità midollari. E' un piatto unico dai sapori forti dove il peperoncino abbondante gioca un ulteriore parte di dueteragonista. Un punto essenziale nella riuscita di un buon plof sta nel fatto che il pentolone non deve essere mai lavato, ma i sapori di tutti gli storici plof che lo hanno preceduto, concorrono ad arricchire quello che viene portato in tavola. La quantità di residuati escrementizi di topo che circondava il focolare e la nuvola di mosche che avvolgeva tutto e tutti, facevano parte integrante dell'ambiente e del suo colore, un'area da cui sono nate tutte le grandi pestilenze del millennio scorso, inclusa la peste bubbonica di manzoniana memoria, tutt'ora giustamente endemica in quei luoghi, ma non sembrava preoccupare nessuno. L'occhio spento di Gianni mi guidò verso le tavole che rosseggiavano di pomodori cipollosi, ornate dalle ciambelle di lepjoshke, il caratteristico e fragrante pane uzbeko che veniva dal forno in fondo al cortile, proprio davanti alle latrine, su cui fitte schiere di mosche si organizzavano prima di lanciare le loro falangi all'attacco delle mense. Il succo di mela ed il thè irrorò l'intero banchetto fino all'apoteosi finale dei famosi meloni uzbeki, che come sottolineava Rustam sono i più dolci del mondo e che tentarono di ricoprire con un velo vegetale l'intero pasto, avvolgendolo in un sudario cauterizzante. Vodka, brindisi finali e pridladjenije sulla imperitura amicizia italo-uzbeka e tutti a casa. Il giorno dopo tutti sul water fino a sera, mentre un Gianni febbricitante ma non domo, tentava di raccogliere i cocci della spedizione; una prova dura, da cui uscimmo comunque tutti vivi e più forti, anche se, sul momento non pareva possibile. La guerra batteriologica è stata inventata qui.
mercoledì 14 gennaio 2009
Patate olandesi
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L'inverno continua impietoso, ma secondo natura. Ricordo quando trenta anni fa facevo poeticamente arrivare vagoni di patate dall'Olanda, terra di tulipani. Arrivavano in gennaio, gelavano regolarmente. Tutti gli anni. Dall'esperienza non si impara.
Per cui, oggi ancora un haiku di Issa Kobayashi.
Neve
Ero soltanto.
Ero.
Cadeva la neve.
Tada oreba
oru tote
yuki no furi ni keri.
lunedì 12 gennaio 2009
Orsi polari
Non ne posso più! Adesso mi sembra proprio che si sia toccato il fondo. Ogni certezza svanisce. Proprio io, che facevo del dubbio la mia religione, una cosa, almeno, la ponevo nella bacheca delle verità scolpite nel cristallo. I ghiacci si stavano ritirando drammaticamente. I pinguini Vigorsol lo testimoniavano anche ai più scettici (ma ormai non ce n'erano più) e contribuivano comunque ad arginare il problema con una loro soluzione originale. Il polo nord era solo nominale, la banchisa un lontano ricordo; clip di orsi bianchi alla deriva (probabilmente gli ultimi della specie ormai quasi estinta) erano seguiti da elicotteri voyeristi che ne spiavano la nuotata appesantita, con un deprofundis lacrimevole di una giovane giornalista (?) specializzata in notizie drammatiche. I documentari abbondavano di alci che per il gran caldo si tolgono la pelle contro le betulle, volpi che non diventano più bianche ma rosse di rabbia, foche in bikini ad abbronzarsi, gatti delle nevi con accessori da sabbia, husky canadesi con la lingua che tocca terra, mammuth che spuntano fuori quasi vivi dal permafrost siberiano diventato pappetta. Anche le navi rimpiangevano di non aver più iceberg contro cui andare a sbattere, mentre agli eskimesi venivano inviati aiuti sottoforma di canottiere caraibiche. Intere nazioni sommerse dalle acque, acquistavano terreni negli stati vicini per poter migrare legalmente i propri abitanti reietti, nei prossimi roventi decenni. Da qualche giorno, i giornali e quelli che li scrivono (ma ha senso chiamarli giornalisti) ci raccontano che è tutta una balla, che si sa bene da più di un anno, che la banchisa polare non è mai stata così estesa, che il suo spessore sta crescendo, che il numero degli orsi polari è in costante aumento (per cui sarà bene cominciare a pensare ad abbattimenti selettivi), addirittura è quasi certa una nuova (piccola, per fortuna; anche questo è certo) era glaciale. Ma questa gente (giornalisti mi pare una parola grossa) dove le prende le notizie? Perchè si dà retta a tutti quelli che aprono la bocca e danno fiato, oppure lo fanno perchè hanno interessi, devono vendere qualcosa o devono farsi votare o farsi ascoltare da qualcuno e ne fanno cassa di risonanza, dando per certe ipotesi prive di conferme reali. Poi la gente ci crede, dà per scontati gli assunti e vota o si comporta di conseguenza rinuncando a verificare, a controllare, a non dare per certo, a pensare. Adesso basta! Marocchino con Nutella. Ma sarà poi buona davvero?
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domenica 11 gennaio 2009
Ismailovsky Park
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sabato 10 gennaio 2009
Xī
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La grafia dell' ideogramma Xī (Ovest) è particolarmente interessante e come al solito dà un'idea dell' inclinazione poetica della cultura cinese. Sembra infatti che il carattere raffiguri un nido con gli uccellini affamati, rivolti verso il sole che tramonta, che, pigolando, sono ansiosi di scorgere, nell' ultimo raggio di luce aranciata, una sagoma amica, l'arrivo della madre che porta loro il cibo. E' una cultura antica, ricca di questi spunti pittorici, che da oltre duemila anni, aveva compreso, secondo i precetti della medicina taoista, che non fa bene costringere i pantaloni alla vita con lacci troppo stretti, perchè in questo modo il Chi, la forza vitale che equilibra la salute del corpo, non viene lasciata libera di scorrere e fluire in modo naturale. Oggi tutti i cinesi che possono, si strizzano con le cinture di Pierre Cardin e quelli che non possono, bramano di farlo al più presto. Insisto, li stiamo fregando alla grande.
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venerdì 9 gennaio 2009
Elogio dell'ignoranza
Sono sempre stato turbato dall'ignoranza, quella crassa, cattiva, arrogante, orgogliosa di sè stessa, che ti squadra ghignando per dirti che comunque è più furba di te. Quella che si innervosisce infastidita quando affiora la parola cultura e che di norma nasconde altri sentimenti assai peggiori; violenza, desiderio di sopraffazione dell'altro, egoismo totale. Ma c'è anche un'altra ignoranza, più gentile, timida e un po' schiva che quasi si schernisce con le guance ammantate di rossore, quasi vergognandosi della propria inadeguatezza. Un mio caro amico, formidabile poliglotta, aveva cominciato a studiare il russo negli anni settanta durante il servizio militare. Era alle trasmissioni; così metteva a frutto le interminabili nottate solitarie di guardia davanti al telegrafo muto concentrandosi sulle tortuosità della grammatica zarista. Era una notte buia e tempestosa (direbbe il grande scrittore) e, nella pace assoluta della caserma, il nostro era alle prese con lo scoglio di un terrificante elenco di verbi di moto, perfettivi ed imperfettivi. Le pagine davanti a lui, data l'ora tarda confondevano l'elegante grafia cirillica di cui le stanche cornee sfumavano i contorni, quando, dietro di lui, inatteso, un fruscio silenzioso ed inaspettato giunse a turbare la concentrazione. Una mano si posò dura sulla sua spalla, mentre sentiva, appuntati sulla nuca, due occhi grigi, inespressivi ed indagatori che si sporgevano ad esaminare il libro. In quegli anni, nell'ambiente militare, studiare il russo di soppiatto era un interesse alquanto sospetto, certamente una cosa strana i cui fini erano da approfondire. Si sentì gelare il sangue, annaspando alla ricerca di una spiegazione, ma prima dell'excusatio non petita, arrivò secca la domanda: "Ah! Cosa stai facendo?" Uno schiocco nel silenzio notturno. La gola gli bruciava, mentre cercava una risposta credibile ma neutra. Ne uscì una voce flebile e strozzata che gli grattava la gola. "Sto studiando..." Il graduato si sporse ancora in avanti, esaminando le pagine con attenzione; scorreva con calma l'elenco misterioso che dipanava le volute delle maiuscole cirilliche. Dopo qulche momento interminabile, scattò il giudizio, tranchant. "Bravo! Il greco è una lingua bellissima, l'ho studiato anch'io al liceo. Continua così." La pressione della mano si allentò e la presenza inquietante fu inghiottita dalle ombre della notte, da altri attenti controlli. Chissà, ci salverà l'ignoranza?
giovedì 8 gennaio 2009
Jullay
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mercoledì 7 gennaio 2009
Il biliardo di Lermontov
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martedì 6 gennaio 2009
Cronache di Surakhis 5. La fuga
Dopo molti giorni di assoluta meditazione tra le nevi ed il ghiaccio, interrotte solo dall'assunzione di materiali liquidi e solidi diversi per decine e decine di migliaia di calorie, le mie sinapsi mentali hanno potuto allargare il raggio di percezione metapsichica, ricevendo un contatto extrasensoriale da Surakhis che vi riporto.
La crisi sta scavando un solco profondo nell'economia galattica e Paularius è da settimane alla ricerca di una via di uscita, quantomeno difensiva in attesa di momenti migliori. Seduto nel salone di meditazione, sta cercando di concentrarsi sulle parole che sono uscite ieri da tutti gli olografi del pianeta per capire il messaggio nascosto tra le parole forti dell'imperatore dai riccioli d'oro. Da mesi, nell'impero è in corso una lotta sotterranea di potere tra Lui e la Gilda Giudicante che di tanto in tanto fa emergere i piccoli ma necessari sotterfugi per mantenere il potere. Gente misera, che non capisce che quando è necessario tutto deve essere concesso, senza cercare di mettere carburante scaduto nei serbatoi. Le protezioni agli scambi telepatici venivano spesso aggirate e quei bastardi divulgavano subito tutto, senza rendersi conto che anche le porcherie aumentavano la popolarità dell'Imperatore. Il popolo si identifica nel furbacchione che ottiene per vie traverse e ne ammira la perversione e riccioli d'oro fa innamorare le femmine, quando piega la bocca nel suo furbo sorriso. Un po' aiuta anche l'ossido di pirlite che da qualche anno ha aggiunto nell'acqua che fa distribuire gratuitamente dalle sue aziende idriche, ma questo pochi lo sanno ed in fondo l'acqua nazionalizzata è anche peggio. Però le Sue parole della scorsa settimana, risuonano nella testa di Paularius come un allarme cupo e premonitore. Ha detto chiaramente, issato sui suoi altissimi stivaletti, che se la ghenga degli Judicatores avesse rivelato ancora qualche sua intercettazione telepatica se ne sarebbe andato dalla galassia rifugiandosi su Andromeda e lasciando nella disperazione le schiere dei suoi devoti ammiratori. Queste dichiarazioni avevano lasciato basito il popolo al completo e mentre nelle aule della Chiesa Rigenerata, si lanciavano novene penitenziali per evitare il tragico abbandono, saliva sordo l'odio verso la Gilda. Ma a Paularius, che proprio fesso non era, ronzava in capo da qualche giorno un pensiero fisso. Ogni dodici ore, controllava l'andamento dei CDS, i credits default swaps sul debito pubblico di Surakhis, che stranamente avevano più che decuplicato il loro valore, nonostante il Gran Visir Twoseas tranquillizzasse tutti sulla assoluta sicurezza dell'investimento. A pensar male si fa peccato diceva il profeta, ma non è che l'Imperatore, vista l'impossibilità di risolvere la crisi, pensava di abbandonare la nave, lasciando andare tutto in malora in attesa, tra qualche anno (tanto Lui pensa di essere immortale, sottoponendosi alla tecnica RCP del rifacimento corporeo periodico) di tornare come salvatore dell'umanità, richiamato a gran voce anche dai pochissimi scettici? La situazione impone decisioni rapide. Paularius, accese lo schermo e in pochi minuti diede tutte le istruzioni per sistemare le posizioni. Liquidò tutte le esposizioni interbancarie, lasciando solo situazioni debitorie. Secondo gli insegnamenti antichi di Twoseas, cartolarizzò tutto il possibile e trasformò i vari assets in pietre preziose trasportabili. La miniera era già chiusa e tutte le proprietà immobili, le intestò fittiziamente al suo schiavo Woodhead che aveva mandato nelle foreste di Deneb IV da tempo. In poche ore, con quanto gli era strettamente necessario e i preziosi, aveva già lasciato il pianeta, dove i primi moti insanguinavano le strade. Due giorni di iperspazio ed era finalmente a Voghera, un piccolo borgo tra le nebbie dominato dalle casalinghe, il suo buen retiro su un pianeta periferico di cui la gente non ricordava neppure il nome. Di qui si poteva ricominciare.
La crisi sta scavando un solco profondo nell'economia galattica e Paularius è da settimane alla ricerca di una via di uscita, quantomeno difensiva in attesa di momenti migliori. Seduto nel salone di meditazione, sta cercando di concentrarsi sulle parole che sono uscite ieri da tutti gli olografi del pianeta per capire il messaggio nascosto tra le parole forti dell'imperatore dai riccioli d'oro. Da mesi, nell'impero è in corso una lotta sotterranea di potere tra Lui e la Gilda Giudicante che di tanto in tanto fa emergere i piccoli ma necessari sotterfugi per mantenere il potere. Gente misera, che non capisce che quando è necessario tutto deve essere concesso, senza cercare di mettere carburante scaduto nei serbatoi. Le protezioni agli scambi telepatici venivano spesso aggirate e quei bastardi divulgavano subito tutto, senza rendersi conto che anche le porcherie aumentavano la popolarità dell'Imperatore. Il popolo si identifica nel furbacchione che ottiene per vie traverse e ne ammira la perversione e riccioli d'oro fa innamorare le femmine, quando piega la bocca nel suo furbo sorriso. Un po' aiuta anche l'ossido di pirlite che da qualche anno ha aggiunto nell'acqua che fa distribuire gratuitamente dalle sue aziende idriche, ma questo pochi lo sanno ed in fondo l'acqua nazionalizzata è anche peggio. Però le Sue parole della scorsa settimana, risuonano nella testa di Paularius come un allarme cupo e premonitore. Ha detto chiaramente, issato sui suoi altissimi stivaletti, che se la ghenga degli Judicatores avesse rivelato ancora qualche sua intercettazione telepatica se ne sarebbe andato dalla galassia rifugiandosi su Andromeda e lasciando nella disperazione le schiere dei suoi devoti ammiratori. Queste dichiarazioni avevano lasciato basito il popolo al completo e mentre nelle aule della Chiesa Rigenerata, si lanciavano novene penitenziali per evitare il tragico abbandono, saliva sordo l'odio verso la Gilda. Ma a Paularius, che proprio fesso non era, ronzava in capo da qualche giorno un pensiero fisso. Ogni dodici ore, controllava l'andamento dei CDS, i credits default swaps sul debito pubblico di Surakhis, che stranamente avevano più che decuplicato il loro valore, nonostante il Gran Visir Twoseas tranquillizzasse tutti sulla assoluta sicurezza dell'investimento. A pensar male si fa peccato diceva il profeta, ma non è che l'Imperatore, vista l'impossibilità di risolvere la crisi, pensava di abbandonare la nave, lasciando andare tutto in malora in attesa, tra qualche anno (tanto Lui pensa di essere immortale, sottoponendosi alla tecnica RCP del rifacimento corporeo periodico) di tornare come salvatore dell'umanità, richiamato a gran voce anche dai pochissimi scettici? La situazione impone decisioni rapide. Paularius, accese lo schermo e in pochi minuti diede tutte le istruzioni per sistemare le posizioni. Liquidò tutte le esposizioni interbancarie, lasciando solo situazioni debitorie. Secondo gli insegnamenti antichi di Twoseas, cartolarizzò tutto il possibile e trasformò i vari assets in pietre preziose trasportabili. La miniera era già chiusa e tutte le proprietà immobili, le intestò fittiziamente al suo schiavo Woodhead che aveva mandato nelle foreste di Deneb IV da tempo. In poche ore, con quanto gli era strettamente necessario e i preziosi, aveva già lasciato il pianeta, dove i primi moti insanguinavano le strade. Due giorni di iperspazio ed era finalmente a Voghera, un piccolo borgo tra le nebbie dominato dalle casalinghe, il suo buen retiro su un pianeta periferico di cui la gente non ricordava neppure il nome. Di qui si poteva ricominciare.
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