mercoledì 30 luglio 2014

Albania 15: Il signor Archilé






La regione di Zagoria

Ragazzi di Nderan
La pista che sale la regione di Zagoria è davvero difficile, con il bordo in pendenza strapiombante nel vuoto, ci vuole perizia nella guida e sembra impossibile che le auto riescano a superare passaggi così duri, greti di torrenti secchi, mulattiere su cui zampettano nervose le capre, poi quando arrivi alla sommità del passo e vedi una vecchia Mercedes parcheggiata malamente al bordo della strada, ti chiedi come facciano ad arrivare fin quassù. Perché anche in queste terre difficili vive gente e si formano comunità. Scendi un poco ed un enorme platano centenario attira la tua attenzione. E' al centro di un gruppo di case, circondato da un muricciolo che rialza una sorta di panca, un luogo che invita a fermarsi, fresco, tra le montagne, esattamente simile nella forma e nello spirito ai grandi banian che troneggiano al centro dei villaggi indiani e di altri paesi del sudest asiatico. Un luogo di sosta e di riposo per il viandante, il pellegrino, un luogo di incontro per gli abitanti dello stesso villaggio, di una comunità che lì ha vissuto per secoli, quando ancora non c'erano i bar e la sera era il momento, per chi tornava, stanco dalla campagna, di mettere in comune le esperienze, parlare del tempo e delle stagioni, di raccolti e bestiame, all'ombra protettiva del medesimo grande albero che aveva ristorato i nonni ed i nonni dei nonni. E' il paese di Nderan. Adesso solo un gruppo di ragazzini che, quando le auto si fermano all'ombra, corrono subito via, gridando a chissà chi: turisti, turisti! 

Assaggiare il miele
Di fronte all'albero, una bella casa, moderna, con tante parti rifatte di recente, una parabola sul tetto e un giardino come forse è stato visto in una delle tante serie turche che tanto appassionano le ragazze albanesi. Il signor Archilé e la sua famiglia ti vengono subito incontro, appena vedono che ci si guarda intorno in cerca di qualche luogo di ristoro. No quassù non c'è l'autogrill, ma se vi accontentate di quello che abbiamo, potete mangiare qui. Ecco che dà subito disposizione alla famiglia, moglie e nuora che vanno a vedere cosa si può fare per accontentare gli ospiti inattesi e anche un po' imbarazzati. Lui invece si siede nel giardino a chiacchierare, vuole sapere e vuole raccontare. E' chiaro che si sente un po' come un patriarca a cui l'età e l'esperienza della vita consente una posizione di privilegio, non per niente la sua è la casa più bella del paese e ne va giustamente orgoglioso. Come molti qui, anche la sua famiglia appartiene ad una minoranza particolare, quella dei çoban, un gruppo che forse secoli addietro era costituito da pastori nomadi che provenivano dalla Romania e che si erano poi stanzializzati su queste montagne, forse perché spopolate, forse per cercare rifugio da qualche persecuzione. Il loro dialetto infatti è chiaramente romanzo e con qualche sforzo riesce a comprendere anche molte parole di italiano. Forse anche perché gli italiani da queste parti non sono una novità. Il signor Archilé era un bambino piccolo, quando c'era la guerra per questi monti e gli italiani li ricorda ancora. In particolare uno. 

Con la famiglia Archilé
Quando ci fu la controffensiva greca e i morti si trovavano dappertutto a mucchi, nei fossi e sul greto dei fiumi, uno di questi, un certo Antonio Vaiti, chissà se è ancora vivo (se qualcuno ne sapesse qualcosa si faccia vivo per favore, sarebbe bello per questo blogghetto fare una bella carrambata), si rifugiò nella loro casa. Suo papà era il falegname del paese, la famiglia lo nascose e lui rimase lì ad aiutare, a segare legni e piallare assi, fino a che finita la guerra riuscì a tornare in Italia. Così almeno crede o spera  il signor Archilé; qui di italiani ne rimasero tanti, imprigionati subito dal regime e forse morti tra questi monti. Il paese si chiuse per 50 anni e non ne seppero più nulla. Era una gran brava persona e gran lavoratore, dice ridendo il signor Archilé che lo ricorda ancora quando lo faceva giocare nel laboratorio coi pezzi di legno di scarto. Adesso lui non lavora più e sta lì a godersi la sua famiglia, la moglie in cucina, tutta nuova e modernissima, che gli ha appena comprato, c'è anche il forno a microonde e ridacchia soddisfatto seduto sui divani nuovi, anche se mi ha ceduto la sua poltrona, la più grande che spetta al patriarca di casa, quella dove lui alla sera si siede a fumarsi un sigaro e a guardarsi la sua bella televisione nuova a schermo piatto. I figli sono a posto, uno fa l'autista delle corriere, l'altro l'infermiere. Sono sposati con due brave ragazze e i nipoti vanno a scuola a Gjirokastro, certo ci vorrebbe una strada decente, che si fa una fatica del diavolo ogni volta che bisogna scendere in città, figuriamoci se il governo la farà mai, ma in fondo si capisce che è una lamentela di facciata, ma chissenefrega, intanto lui che ci andrebbe a fare a Gjirokastro? 

Sotto il platano
Lui sta bene lì, tra le sue montagne, dove ha una ottantina di vacche, un po'di arnie e qualche pezzetto di terra. Per questo da mangiare non gli è mai mancato e neanche da bere in verità e ghigna soddisfatto versando il suo vino dell'anno scorso e poi ti guarda di sottecchi per vedere se ti piace e se lo apprezzi. Un bel vino forte e con un fondo di resina e bosco, con una spiccata personalità, quasi la stessa di chi lo ha prodotto. Poi tutti attorno al tavolo a mangiare fegatini di agnello con le patate, crema di yogourth, torta salata di mais e erbe di monte, insalata e pomodori. Devi ancora assaggiare il suo miele, dopo il caffé, prima di andare, una dolcezza sottile piena di profumi di fiori di monte. Altro che chilometro zero. Ride quando chi ci accompagna gli suggerisce di mettere qualche tavolino in giardino e cominciare una attività accessoria, che qui di turisti cominceranno di certo a venirne più spesso. Una stretta di mano forte e soddisfatta quella che ti accompagna alla porta assieme alle donne della famiglia ed ai bambini, davanti al vecchio platano dove hai lasciato le macchine. Da piccolo la nonna gli diceva che la sua nonna lo ricordava già immenso così fin da bambina, quando portava le capre al pascolo. E' rimasto uguale anche se lo scorso anno un fulmine ne ha staccato un ramo immenso, che era caduto su un tetto sfondandolo. Ora è rima sta seduta solo una vecchia, forse nello stesso punto in cui sedeva la nonna della nonna del signor Archilé. Le auto, rimaste all'ombra del platano, sono fresche, anche l'aria è frizzantina, da lì in poi la strada è tutta in discesa.

La piazza di Nderan


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2 commenti:

Unknown ha detto...

Sembra quasi una favola raccontata al rovescio; sopra un sogno spezzato, ormai sciupato e la malinconia

Enrico Bo ha detto...

@Tent - Malinconia, piena e contenta di se stessa, che fiera vive tra capre, vacche ed api.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!