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martedì 16 aprile 2019

Central India 13 - Finalmente la tigre!


Tigre del Bengala

Alba
La mattina è ancora più fredda della sera. Sarà una sensazione, sarà perché alle sei è ancora buio, ma ci raggomitoliamo sulle panche del cassone scoperto del fuoristrada come come dei gattini cisposi, avvoltolati completamente nelle coperte. Siamo di nuovo davanti al cancello aspettando che apra, poi appena raccolto il nostro ranger, ci buttiamo a tutta birra su una pista appena segnata diversa da quella di ieri sera. Attraversiamo prima una grande palude poi ci si butta nel fitto del bosco mentre comincia a schiarirsi il cielo e la palla rossa ovaleggiante sbuca tra i rami più bassi colorandoli di arancio. L'umidità dell'aria forma come una leggera nebbiolina azzurra sugli stagni e soprattutto sulla pelle dandoti quella piacevole sensazione di umidiccio gelato che ti rincuora le ossa. Tuttavia bisogna dire che a quest'ora tutti gli spazi appena aperti sono pieni di animali che evidentemente a quest'ora escono per abbeverarsi e cominciare a brucare l'erba ancora coperta di rugiada. I chital appaiono di frequente di fianco o sul sentiero stesso e si spostano appena al nostro passaggio. Solo se ti fermi decisamente per fare qualche foto si spostano lentamente nel fitto del cespugli. Anche i sambar più grandi e più timidi rimangono a lungo a guardarti. Alzano appena il capo e ti seguono con i grandi occhi tumidi e neri, quasi accompagnandoti mentre passi. Sono così vicini che noti bene le corna che stanno ricrescendo dopo la caduta, ancora ben coperte dal velluto della peluria morbida e marroncina. 

Chital
Sono animali davvero belli ed eleganti, in particolare i grandi maschi esibiscono orgogliosi le grandi corna ramificate. I muscoli delle zampe posteriori lucidi e scattanti, pronti al balzo ed alla fuga in caso di pericolo. Percorriamo una pista rettilinea, notando che adesso tutto il bosco è silenzioso, solo, di tanto in tanto, alti stridii vengono dal fitto dei rami più fronzuti. Sono forse segnali di pericolo, il nostro driver aguzza gli occhi e si guarda intorno allungando il collo a destra ed a sinistra. Poi all'improvviso una specie di schianto nel folto dei cespugli alla destra e una massa scura precipita d'improvviso allo scoperto. E' una tigre gigantesca che con un salto ulteriore attraversa di botto il sentiero e riscompare nel fitto del bosco dall'altra parte, perdendosi di nuovo alla vista. E' stato un attivo, così veloce da non poter neppure decidere il da farsi, men che meno alzare l'obiettivo della macchina fotografica. Un fulmine immediatamente spentosi davanti a te, non sai neppure se essere ancora emozionato o deluso per la brevità della comparsa. Il nostro driver è però agitato, inverte subito la marcia e torna indietro ripercorrendo il lungo giro che la pista aveva fatto attorno ad uno stagno nascosto, poi si ferma in un punto leggermente sollevato che offre un ampia visuale sullo specchio d'acqua. Evidentemente conosce bene le abitudini del felino.

Cormorani
Passano solo pochi minuti ed eccola là, la tigre ricompare sulla sponda opposta e percorre il lungo terrapieno con lentezza esasperante, guardandosi intorno, come alla ricerca di qualcosa, di qualche potenziale preda distratta che non l'abbia sentita arrivare. Ha un incedere potente e maestoso, procede con una sensazione di tranquilla e morbida sicurezza, da padrona assoluta del territorio che la circonda. E' una femmina che sta esplorando il territorio, mentre ogni altra forma di vita è scomparsa dalle vicinanze, procede ancora un poco, poi si ferma ancora un attimo prima di infilarsi nuovamente nel sottobosco dove scompare definitivamente. Insomma è vero che era lontana una cinquantina di metri, ma questo animale ha una forza psicologica rara e anche se in fondo non abbiamo potuto godercelo in posizione molto fotogenica, che importa, l'emozione è stata tuttavia grande. Possiamo dichiararci soddisfatti. La strada prosegue tranquilla, tra gruppi di ungulati che brucano sotto gli alberi, cinghiali che scavano a terra, scimmie che rimangono appollaiate sui rami alti. Ci si ferma verso le nove in una grande radura recintata e qui all'improvviso compaiono un'altra decina di auto col loro carico di umanità infreddolita coi lunghi teleobiettivi appesi al collo, mascherati da esagerati teli mimetici, quasi che la tigre si curasse di queste cose.

Femmina di Sambar
Ognuno sbocconcella con cura le proprie uova sode, i pakora e le cosce di pollo fritto, poi è già ora di tornare sotto un sole più coraggioso che ormai è salito alto nel cielo. Ce ne torniamo all'albergo che la mattina non è ancora terminata. Il nostro Uttal ci aspetta con la macchina già carica, presto che è tardi, la vita del turista è tutto un rincorrersi per arrivare a tempo alla tappa successiva, che in questo caso è il parco di Bandhavgarh, altra opportunità per vedere il felino che tanto ci affascina. Sono quasi sei ore di strada, tra curve e controcurve, colline basse e campi coltivati, piccoli paesi dai mercati sulla strada come sempre affollati e ricchi di colori. Più o meno a mezza via, una curiosità, talmente poco visibile che bisogna andare a cercare con una certa fatica, la signora che è incaricata di strappare i biglietti da un blocchetto polveroso, abbandonato sul bancone di un gabbiotto arrugginito. Il parco della foresta fossile di Ghughwa, appena segnalato sul bordo della strada. Anche il piccolo museo sta lì con la porta aperta a chiunque voglia entrare, apparentemente incustodito. In questa area, lungo una piccola scarpata pietrosa che scende verso uno stagno, sono affiorati e evidentemente continuano a farlo, grandi tronchi pietrificati di una foresta del giuriassico, evidentemente sepolta da milioni di anni che ha trasformato il legno in pietra dai colori iridescenti.

Legno fossilizzato
Ce ne sono dappertutto a mucchi raccolti sopra delle piazzole isolate, oppure in grandi pezzi lasciati lì a segnalare il sentiero, oppure in tronchi colossali, alcuni spezzati altri interi e solo sbocconcellati alle estremità a testimoniare le dimensioni degli alberi originari. All'interno del museo, ci sono i pezzi più belli, assieme a blocchi di quarzi che sono cristallizzati in forme curiose e brillanti. Metto una firma sull'immancabile registro. L'ultimo passaggio è di una settima prima, una famiglia di Calcutta. Intanto ci si ferma anche ad un albergo sulla strada, piuttosto nuovo ma anche questo desolantemente deserto, per un thé biscottato, c'è pure il wifi, cosa questa ormai diventata indispensabile all'uomo moderno. Chissà come mai ma da qualche anno il rimanere in contatto, connesso come si dice, col resto del mondo è diventato quasi indispensabile, il non esserlo è ormai sentito come una penosa deprivazione da risolvere al più presto. Siamo fatti così, bisogna farsene una ragione. Intanto raggiungiamo Bandhavgarh che è quasi buio. L'albergo è molto accogliente, bisogna quindi approfittare per rassettarsi al meglio e prepararsi alle fatiche di domani. La jungla rumorosa, anche qui ci circonda, assieme al paesello che si è formato all'ingresso del parco, con i vari negozietti di immancabili gadget tigreschi.  

Mercato

SURVIVAL KIT 

Una camera
Nature Heritage Resort - Situato a pochi minuti dall'ingresso Tala, del parco. Da qui vengono organizzate le visite (una all'alba, l'altra nel tardo pomeriggio con appositi mezzi, 5500 rupie per macchina per tour di 3 ore con lunch box). Bungalow molto belli e moderni, con bagni nuovissimi e ben forniti. Pulito. TV, AC, stufette, frigo, free wifi alla reception. Cena a buffet discreta. Personale gentilissimo. Grande piscina con bar all'aperto. Una delle sistemazioni migliori del tour. Camere doppie sulle 7000 Rupie per pensione completa.

Ghughwa fossil and park - A metà strada circa tra Khana e Bandhavghar. Ingresso 55 rupie. Potete farci una sosta di una mezz'oretta tanto per sgranchirvi le gambe lungo i sentieri dove potrete vedere mucchi di tronchi fossilizzati. Piccolo museo con spiegazioni geologiche e minerali. Tutto piuttosto fatiscente. Interesse limitato.


Vulturide

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lunedì 15 aprile 2019

Central India 12 - Cercando la tigre


Femmine di Barasinga e cinghiale
 
Maschio di Barasinga
All'ingresso del parco c'è un certo affollamento. Inutile farsi illusioni, la cosa è ormai dappertutto gestita secondo i canoni del turismo moderno, devi far lavorare il maggior numero di persone possibile, gestire la folla dei turisti che cresce sempre di più e far sì che il tutto renda al massimo in termini economici. Quindi niente illusioni di romantiche esplorazioni nella jungla, ma un gran numero di auto dipinte come da programma a colori mimetici, che scorrazzano in lungo ed in largo sui sentieri previsti. Niente di male naturalmente, anche perché la superficie interessata è molto vasta e ci si perde subito quasi tutti di vista, non appena si prende qualcuna delle tante stradine laterali che si infilano tra gli alberi. Intanto si fa una bella mezz'oretta di attesa al punto dove vengono distribuiti i permessi di entrata e ti viene affidata una guida che, conoscendo tutti i segreti del parco a menadito, saprà bene mostrarti il massimo possibile, poi ti viene lasciata l'opportunità di dare un'occhiata allo shop pieno di gadget che riproducono in ogni modo il felino oggetto del desiderio di ognuno, infine viene alzata la famosa sbarra che ti consente di entrare nel folto della boscaglia. La nostra è una bella ragazza dal piglio deciso, la faccia dell'India moderna e sviluppata. Appollaiati sul retro scoperto del fuoristrada, fa un freddo cane, comunque. 

Zona umida
E' vero che questo è il periodo migliore dell'anno per visitare il parco, dato che non piove e ti risparmi una fangata esagerata che credo costringa addirittura alla chiusura delle visite stesse durante i mesi del monsone forte, ma la temperatura è piuttosto bassa e dato che quando vieni in India è ovvio che di default farà un caldo becco, non sei mai abbastanza attrezzato di coperture confortevoli. Per fortuna tutto è previsto, incluse grandi coperte militari con le quali avvolgersi completamente, come profughi appena tratti in salvo. Bisogna comunque dire che il luogo ha il suo bel fascino naturale, non volevo usare questo aggettivo, da me odiato e filosoficamente fuorviante, ma non ne trovo altre. Appena il tuo mezzo si ritrova da solo tra gli alberi più fitti, hai la tua bella sensazione di essere in un luogo intoccato dall'uomo, denso di quella selvatica bellezza che ti fa dimenticare l'organizzazione e tutto il resto. Una jungla fatta di alberi fitti con liane penzolanti, tronchi caduti e marcescenti, sottobosco spesso, composto di cespugli fogliosi ed epifite che crescono sui rami parassitando i loro ospiti e ricoprendoli di ulteriore bellezza, che forse, quando la pioggia arriverà generosa, esploderanno in una fioritura violenta e pervasiva a vestire di colore quello che adesso è soltanto verde intenso. 

Pavoni
Quando il bosco si dirada, si aprono piccole radure e poi più ampi spazi di brughiera, fatti di erbe alte e arbusti isolati, alternati a stagni e pozze di acqua di più grandi dimensioni. Un ambiente naturale perfetto, dove in effetti la vita si sviluppa con ricchezza notevole. Il bosco risuona di rumori, lievi ma presenti dappertutto che segnalano l'esistenza di molte specie di animali. L'avifauna è ricchissima, a partire da una serie multiforme di piccoli uccellini dai colori violenti e dai cinguettii variamente modulati. Li vedi con facilità, proprio grazie alla loro livrea così accesa, sui rami bassi degli alberi o appollaiati su pali e spuntoni rivolti verso l'alto. Nelle zone più umide invece è tutto un rincorrersi di palmipedi che navigano sulle superfici a specchio in cui si riflette la foresta circostante o che zampettano sulle rive fangose becchettando qua e là alla ricerca di cibo sepolto. Poi, di frequente, tra i cespugli bassi o sui prati più verdeggianti, vedi enormi pavoni di un verde blu brillantissimo in cerca di cibo tra l'erba. I maschi che si trascinano la lunga coda richiusa come uno strascico da sposa transessuale, volgono la testa intorno a scatti, mostrando le creste coronate, orgogliose della propria bellezza, forse in attenzione ai pericoli della jungla, forse solo per esibirsi sessualmente di fronte all'altro sesso. Le femmine, più piccole e grigie, se ne vanno per conto loro, senza dare nell'occhio, tanto quando sarà ora di scegliere, sapranno bene come fare. 

Entello maschio
Ogni tanto, seminascosto tra i cespugli, ma senza troppe preoccupazioni di non farsi notare, qualche piccolo cinghiale grufola, scavando nel terreno morbido in cerca di cibo, senza guardarsi attorno, come per dare soddisfazione ad una fame atavica che non si sazia mai. Gruppi di scimmie di diverse specie, dai piccoli macachi alle più grandi e timide, gli entelli comuni del genere Semnopithecus che mostrano i minuscoli musi neri incorniciati di folto pelo bianco tra i rami alti, compaiono si tanto in tanto sui bordi della strada. I maschi di vedetta, più in vista, intenti a mangiare germogli con aria noncurante, in realtà vigili con la coda dell'occhio a dare l'allarme se arrivasse qualche pericolo inatteso. I fuoristrada anche se talvolta rumorosi, ormai non fanno loro né caldo, né freddo, si sa bene che non rappresentano il gruppo dei predatori affamati. Ma le presenze più frequenti e numerose sono le diverse specie di erbivori ungulati che popolano la boscaglia a gruppi numerosi o a piccoli nuclei separati. Il più grande tra questi è il maestoso sambar, un cervide dal mantello grigio davvero imponente, i cui maschi esibiscono palchi di corna dalle ricche ramificazioni. Li vedi aggirarsi tra gli alberi, spesso solitari, alzando la testa al tuo passaggio, con lo sguardo che ti segue adagio quasi sentisse il peso dell'imponente trofeo che portano al di sopra. Le femmine più timide, sono in questa stagione per lo più accompagnate da un piccolo che le segue da vicino senza perderle di vista. 

Femmina di Sambar
Generalmente vicini o immersi nelle pozze di acqua sono invece i barasinga o cervi di palude, di dimensioni inferiori, dal mantello dorato, la cui rarissima sottospecie Rucervus duvancelii branderi è presente solo in questo parco, mentre anche la specie principale è comunque estinta nella maggior parte del subcontinente. Sguazza in gruppi numerosi negli stagni, i maschi giovani separati dalle femmine, che fanno  branco coi piccoli, controllate da un maschio dominante, di guardia sull'argine. I più comuni invece, nel parco se ne contano oltre 20.000 capi, sono i chital o cervi pomellati (Axis axis) molto simili ai nostri daini e riconoscibilissimi soprattutto per il mantello cosparso di piccoli ciuffi di peli bianchi. Chital è infatti una parola bengali che significa macchiato. Anche queste mandrie, che contano spesso decine e decine di individui, sono sparse nelle radure e rappresentano alla fine, assieme ai più grandi sambar la preda fondamentale, per le oltre cento tigri presenti nel parco. Intanto chiacchierando chiacchierando, delle tigri non si vede neppure l'ombra, solamente qualche gigantesca orma lasciata nel terreno molle ai margini della pista. Un po' poco, accidenti; che anche questa volta dovremo subire la delusione dell'essere arrivati fino a Roma senza vedere il papa? Intanto si è fatto sera e pur contenti del giro ce ne torniamo in albergo con la bocca un po'storta, completamente avvolti nelle coperte per ripararci dal freddo e pronti ad accendere in camera le stufette di fortuna. Speriamo bene per domani.

Mandria di Chital

Ibis neri
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domenica 14 aprile 2019

Central India 11- Kanha National Park

Andando a far legna


Mandrie
Soltanto un centinaio di chilometri in questa India rurale apparentemente poco popolata per raggiungere il parco nazionale di Kanha. Abbiamo lasciato lo stato di Chhattisgarh, costituitosi in tempi recenti da una costola del Madya Pradesh per entrare definitivamente in questo grande stato che è il vero cuore geografico del paese, grande come l'Italia e più o meno con lo stesso numero di abitanti, uno dei più carichi di storia e di vestigia storiche che i diversi imperi che di volta in volta si sono succeduti in questo territorio hanno lasciato come eredità artistica. Lo percorreremo in lungo ed in largo cercando di vederne tutti i luoghi più importanti, a partire dalle città più popolose. Tutto il territorio è situato sull'altipiano centrale e la mancanza di rilievi importanti, assieme ad un monsone più temperato di quello che colpisce di solito le coste, ne hanno incentivato la sua valenza agricola. Qui crescono piuttosto bene le più importanti colture utili, dai cereali, alla canna da zucchero, al cotone di cui siamo giusto in fase di raccolta. Difficilmente, scorrendo lungo le strade vedi zone di più diffusa aridità ed i magri pascoli consueti in vaste aree del nordovest del paese, ma di più si notano, fuori dei paesi stessi, assembramenti di tende che segnalano la presenza di gruppi numerosi di manovalanza agricola seminomade che si sposta nelle diverse aree geografiche in concomitanza con le campagne ed il ritmo delle stagioni.

Tribù Gond
Sono presenze anche qui forse ingombranti e confinate ai margini delle comunità stanziali, in tendopoli fatte di teli di plastica gialla e blu, sdrucita, che sopravvivono in stato di estremo disagio, dell'acqua dei fossi e di quanto riescono a mettere insieme nelle giornate di lavoro, prestate ad una agricoltura di grandi dimensioni. Qui gli appezzamenti sono vasti e gestiti in modo che potremmo definire moderno, spesso parzialmente meccanizzato. D'altro canto l'India ha raggiunto da decenni, grazie a quella insanamente vituperata rivoluzione verde che ha allontanato il ricordo di quelle devastanti carestie che l'affliggevano periodicamente, l'autosufficienza alimentare, riuscendo a produrre per intero le derrate necessarie ad alimentare in modo più o meno soddisfacente oltre un miliardo di persone, cosa non così secondaria per giudicarla in modo equilibrato. Oltre a questo aspetto rurale, non si può dimenticare la rilevanza economica di una industria piuttosto vivace istallatasi attorno alle grandi città come Bhopal, Indore, Jabalpur e Gwalior. Rimangono poi ancora grandi spazi boschivi di cosiddetta jungla che occupano parte delle aree a sud dello stato. Ed è proprio qui che ci stiamo dirigendo di buona lena, anche se in queste strade pur volenterosamente chiamate autostrade, lungo le quali è molto difficile mantenere medie superiori ai 50 km l'ora.

Lungo il sentiero
Bisogna dire che la nazione, che pure era partita con un certo ritardo grazie al lascito inglese di una rete ferroviaria molto capillare, sta facendo uno sforzo notevole per dotarsi di un reticolo di autostrade che uniscano le varie città principali, ma tutto ciò si scontra con le obiettive difficoltà di svolgere lavori logisticamente attuabili in presenza di un traffico soprattutto commerciale davvero imponente e caotico, che rende spesso le opere già dimensionalmente superate prima ancora della loro conclusione. Percorrere tratti di strada in perenne rifacimento, congestionate oltre che da teorie infinite di camion sovraccarichi che procedono a ritmo di lumaca tra lunghi sbuffi neri, anche da mezzi di movimento terra che sbancano, spianano, asfaltano tratti già pieni di buche maestose ancora prima che l'opera sia completata, è fatica penosissima. A questo si aggiunge la presenza esagerata di mezzi locali, carretti, sistemi a trazione di animale, tricicli, motorette di ogni specie ed infine un immenso traffico di pedoni e di greggi e mandrie che ovviamente provano molto più comodo procedere su tratti spianati ancorché non pronti per la viabilità normale, piuttosto che traversare per i campi ed i sentieri tra le risaie. Insomma il nuovo cresce ad un ritmo inferiore alla crescita tumultuosa della necessità di spostamento di una popolazione che si moltiplica a ritmi serrati, che nessuna politica di pianificazione familiare pur tentata da tutti i governi del dopoguerra, è riuscita minimamente a frenare.

Uccellino
Intanto che sto ragionando su questi argomenti, sugli stessi problemi che mi perplimevano trenta anni fa durante le mie prime visite in questo paese e che mi sembra rimangano per il momento senza soluzione, arriviamo alla riserva di Kanha, un parco di mille chilometri quadrati circondato da una altrettanto vasta area di rispetto, costituito già nel 1955, per proteggere le ultime tigri del Bengala, presenti ancora oggi qui in buon numero. Ormai è chiaro a tutti che questo è un business piuttosto fiorente, opulento e generatore di un gran numero di posti di lavoro diretti ed indiretti, per cui si può dire che tutti spingano nella direzione di una protezione abbastanza efficace. Pare infatti che contrariamente a quanto accade in altre aree protettive nelle quali la presenza degli animali in questione è più teorica che reale, qui e nel vicino parco di Bandhavgarh, sia in aumento costante. Al limitare del parco stesso lungo il fiume che lo attraversa, c'è un vecchio albergo governativo, nato assieme al parco stesso. Le costruzioni sono circondate dal bosco fitto e anche se siamo piuttosto provati dalle ore di macchina, non si può resistere dalla voglia di fare un lungo giro nei sentieri che circondano le costruzioni. Difficilmente si potranno incontrare lungo la strada animali pericolosi, almeno sembra che siano stati avvertiti di non disturbare i turisti più di tanto e vista la caciara che fanno i gruppi di ragazzi più numerosi, si devono essere rifugiati nel folto e difficilmente si fanno vedere anche solo di lontano.

Nel bosco
Basta insomma non andare a fare proprio il bagno nel fiume, per non disturbare i coccodrilli che se ne staranno acquattati nelle ansa limacciose per non avere grane. D'altra parte le acque piuttosto fangose non invitano più di tanto. Nel frattempo bisogna far arrivare almeno le tre, che nella parte centrale della giornata gli animali se ne stanno tranquilli a riposare tra le frasche e aspettano che si appresti la sera per pascolare o andare a caccia a secondo se prede o predatori. Tuttavia l'atmosfera è molto piacevole. I boschi si sentono vivi e pieni di suoni, di cinguettar di uccelli, di rami smossi dalle scimmie, di scricchiolar di rami spezzati da qualche bestiola di passaggio. E' il senso del selvatico in salsa masala che puoi assaporare mentre butti giù qualche cucchiaiata di riso, sulla terrazza dell'albergo tanto per ambientarti col sottobosco. Odore di muschio e foglie secche che si mescola al coriandolo e alla curcuma del curry ed al cardammomo del thé, profumo di Oriente  che infiamma le mucose e addolcisce i pensieri, forse gli stessi che provava Kipling assieme ai suoi epigoni prima di cominciare una delle tante cacce alla tigre, la desiderata, sfuggente e misteriosa regina di questi luoghi e dove con ogni probabilità è nata l'idea del suo Libro della jungla. Forza, proviamo ad andare a cercarla.

Il fiume


SURVIVAL KIT 

Aree umide
Kanha Safari Lodge - Area di Mukki - Vicino all'ingresso del parco, con posizione molto comoda, costruzioni nel bosco. E' un vecchio Hotel governativo, rimodernato. Camere molto grandi ragionevolmente pulite, con terrazzo sul bosco. La doppia tra i 3000 e le 4000 rupie a seconda dei periodi. Acqua calda, docce, frigo, TV, no wifi. Il ristorante offre pasti di buona qualità e non troppo speziati. Personale gentilissimo. Di qui partono i giri nel parco con i fuoristrada che avrete precedentemente prenotato (ogni uscita di tre ore, al mattino presto o alla sera, 25 Euro). Le uscite prevedono lunchbox per colazione o pranzo pick nick in apposite aree.  Attorno all'albergo è ben segnato un percorso a piedi nel bosco, su un facile sentiero, che potrete percorrere in un'oretta anche da soli, lungo il fiume.


Scimmie



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