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sabato 20 giugno 2020

Luoghi del cuore 19: La pace di Stoccolma


Svezia - agosto 1983


Quasi notte
Il tempo che, diciamolo pure ci aveva un po' perseguitato lungo le strade del grande nord, divenne improvvisamente clemente regalandoci giornate di sole splendente che esaltavano a dismisura i colori dei paesaggi circostanti e solo episodicamente la massa di nuvole invadeva il cielo rendendolo tuttavia ancor più mosso e ricco di spazi luminosi. In particolare la costa svedese digradante verso il mare in maniera dolce e costante presentava una campagna di campi vasti ed ordinati dai colori vivaci sia che si trattasse di prati da fieno, verdissimi e brillanti, sia che si fossero messi tardive giallo oro. I raggi che li illuminavano radenti al mattino ed alla sera tardi ne facevano una spettacolare tavolozza, magnificandone ancor più le tinte. Come sempre tutto aveva un'aria di solitario ma ordinato abbandono, luoghi dove la presenza umana è soltanto episodica e quasi assente. Rarissima la presenza di lontane ed isolate fattorie di legno color rosso mattone dai tetti di lamiera dove il sole si specchiava violento. Certo che non ti puoi aspettare altro da questi grandi spazi solitari. Un paese dove vivono una decina di milioni di abitanti, grande una volta e mezza l'Italia, significa una densità di un decimo all'incirca della nostra. Certo che il distanziamento sociale qui non è poi un grosso problema, tenuto conto che già oltre un milione se li porta via la capitale. Questo devono aver pensato quei governanti quando hanno deciso di lasciare gli obblighi di quarantene varie al buon cuore dei cittadini, considerando anche il supposto maggiore senso di responsabilità sociale dei popoli del nord. 

Attorno alla città
Tuttavia i risultati sembra che non abbiano pagato lo stesso, perché nella fase clou della pandemia hanno avuto la maggior percentuale di morti e nonostante la mancanza di lockdown, il PIL è sceso della stessa percentuale di tutti gli altri paesi sviluppati. Insomma non è che son tutti più furbi di noi, tuttavia allora questi pensieri non ci sfioravano neppure e ci siamo aggirati per qualche giorno tra le ordinate e tutto sommato piacevolissime via della capitale, il suo grande porto, gli edifici maestosi, la reggia con le sue rappresentanze di corazzieri dagli elmetti bianchi, le schiere di teste biondissime, le guglie, i tetti rossi ed i grandi spazi delle piazze moderne, che già allora presentavano quella totale pedonalizzazione a precorrere tempi e ideologie successive. Un'altra città piacevolissima insomma, circondata da spazi verdi infiniti, boschi di betulle e stagni dalle rive coperte di canneti, dove si aggirano stuoli di anatre selvatiche, con radi pescatori immobili che paiono statue poste a meglio delineare il paesaggio. Ecco, questo senso di pace assoluta e di tranquillo vivere, un po' lontano forse dall'attuale frenesia di attivismo efficiente, che si è allargata a macchia d'olio nel mondo del mercato globale. Mi risulterebbe che anche adesso quel popolo non brilli per stakanovismo e che la cura del  tempo libero abbia la prevalenza sul lavoro pancia a terra che ha preso ormai la preminenza su tutto il resto, che la mentalità che ci arriva da oltreoceano, sembra aver imposto come comune sentire negli ultimi decenni. Comunque abbiamo lasciato questa terra con il rammarico che si prova quando si lascia alla spalle il senso della tranquillità vissuta senza affanni. Forse era solo una impressione superficiale, ma la sensazione che quelli siano luoghi dove è piacevole vivere te lo porti a casa per sempre.

Area pedonale




Al porto
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mercoledì 19 agosto 2009

Affidabilità.

Avere un camper dà una sensazione di grande libertà. In effetti mi manca un po’ quella possibilità di decidere sul momento dove andare, cambiare destinazione o luogo dove fermarsi a seconda dell’umore del momento o della piacevolezza del luogo. Certo in una mia vita precedente ero nomade ed il gusto mi è rimasto. Il primo camper che ho avuto era un Fiat 238 attrezzato Camo, come dire Anonimous, un usato di vent’anni piuttosto spartano. Poco pratico del mezzo e della tecnica del camperista, volendo sperimentarlo, andando come prima uscita a capo Nord, una meta classica, lo portai vicino a casa, da un cosiddetto mago dei camper di cui per amor di patria non faccio il nome. Volevo che gli desse una guardata, magari mettendo a posto le eventuali magagne che il mio occhio inesperto non avevano saputo valutare al momento dell’acquisto e che mi mettessero in grado di partire tranquillo per il grande Nord. Seduto su una seggiola da campeggio sbrindellata, circondato da una fila di camper nuovi di zecca in vendita ed in affitto, da far sognare un emiro in vacanza con le 18 mogli, alzò gli occhiali da sole sulla testa, si alzò lentamente, dette un’occhiata di traverso al mio gioiello, si aggiustò il pacco e pronunciò una frase che rimase celebre nella mia memoria negli anni futuri. “Mé, anc’on s’afari lé, a vag nonca fin al Mandrogn” (per chi deve preparasi ai futuri esami necessari per avere la residenza da noi potrà servire come esercizio quindi traduco: -Io, con quell’affare lì, non vado neanche fino a Mandrogne-, noto paese della provincia di Alessandria, distante 3 km dal luogo del consulto). E se ne andò nell’ufficio vicino, senza aggiungere altro. Scornato, ma non domo, me ne tornai a casa; il giorno dopo caricammo il mezzo di tutto punto, pieno di gas e benzina, acqua e cambusa e partimmo all’indomani verso le 6 di mattina. La prima tappa fu la costa svedese 36 ore e 1800 km dopo, in un bel campeggio nel bosco. Devo dire che alla prima prova, il misconosciuto e zingaresco mezzo non aveva battuto ciglio. Proseguimmo per la costa norvegese, divertendoci come non mai. Incontrammo altri camperisti, come capita lungo la strada. Si dorme vicini, si fa comunella, ci si scambiano esperienze. Certo tutti guardavano con sufficienza il mio topolone grigio, ma tra camperisti c’è più complicità e nessuno ci derise; piuttosto erano tutti prodighi di consigli nel caso avessimo incontrato difficoltà tecniche o meccaniche prima di raggiungere la meta. In particolare una coppia di fiorentini di lunga esperienza, alla guida di un imperiale Hymermobil Mercedes, di sette metri, con ogni comodità che potessi immaginare nella mia mente di neofita, ci fu molto vicina e facemmo un bel tratto di strada insieme. Li lasciammo andare avanti perché volevano arrivare velocemente a capo Nord, ma attrezzatissimi com’erano ci lasciarono un dettagliato elenco di posti a cui rivolgerci in caso di rotture, default meccanici, insomma necessità varie. Noi ce la prendemmo con calma, procedendo prima alle isole Lofoten, una vera meraviglia naturalistica, prima di andare ancora verso nord per gustarci il sole di mezzanotte negli ultimi giorni utili. Invece inopinatamente, ritrovammo i nostri amici ad un migliaio di kilometri dal capo. Avevano rotto irrimediabilmente la frizione; mezzo bloccato fino all’arrivo del pezzo da Oslo. Erano molto nervosi e sapemmo poi al rientro in Italia che non erano riusciti a raggiungere la meta, ma se ne erano tornati lemme lemme a Firenze. Noi procedemmo di conserva, gustandoci l’estrema appendice dell’Europa, anche se con un cielo un po’ rannuvolato, poi scendemmo tutta la Finlandia con uno slalom tra i laghi, la Russia allora misteriosa, l’Estonia, prima di tornarcene a casa sani e salvi dopo 11.000 km in un mesetto. Lo tenemmo per cinque anni il topone grigio e ci portò in ventidue paesi, fino in fondo al Marocco, dove una sbarra dice che più a sud non ti lasciano andare e non si bucò mai nemmeno una gomma, mai un problema, mai una lira spesa da un meccanico. Anni dopo, mi comprai anch’io un Hymermobil, non era spaziale come quello dei fiorentini, ma era sempre l’università dei camper. Ad ogni viaggio ebbi un problema meccanico grave, pompa dell’acqua, cardano dell’albero motore, coppa dell’olio e così via cantando. Per fortuna se lo portò via l’alluvione del ’94 se no non avrei proprio saputo come liberarmene.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!