sabato 8 agosto 2020

Luoghi del cuore 43: Le strade di Prizren




Lo storico ponte di Prizren - Kossovo - agosto 1990

La moschea di Sinan Pasha
E finalmente ce la facemmo a scavalcare quel benedetto passo di Cakor senza che gl pneumatici piantassero ulteriori grane; allora era semplicemente una strada sterrata di montagna che permetteva di arrivare dal Montenegro al Kossovo, senza il lungo giro da Berane. Sulle balze della montagna solo pastori e pecore, nessuna sensazione che sulla cima a 1849 metri, un giorno non lontano sarebbe passato un confine, dopo una guerra sanguinosa e barbarica. Solo un senso di pace assoluta quale le strade solitarie di montagna sanno dare. Passammo Pec col suo bel monastero, per arrivare con calma a Prizren una deliziosa cittadina antica, già nota ai romani. Per i suoi monumenti e per la sua aria di vecchia perla nascosta tra le montagne, la città era decisamente imperdibile e camminare sugli antichi selciati ti dava la sensazione di essere in uno dei nostri villaggi medioevali dove respiri il tempo del passato e gli abitanti affacciati alle antiche botteghe hanno facce scavate dal tempo, anche se sono nati dopo di te. Le costruzioni di mattone rosso apparivano esteticamente armoniose e piacevoli, non avvertivi discrasia alcuna tra gli archi romanici della chiesa di Nostra Signora di Ljevis e quelli appena più chiari della moschea di Sinan Pasha con la grande cupola dai riflessi azzurrognoli che le conferiva l'ossidazione dei secoli ed il sottile minareto che si levava aguzzo ad indicare il cielo. Anzi, apparivano come due facce diverse, ma in fondo assai vicine tra di loro, del sentimento religioso di un popolo che solo casualmente in fondo apparteneva ad una delle due fedi, certo nemiche da secoli, ma che in fondo, nella realtà di tutti i giorni convivevano tranquillamente quando si scendeva dai palchi delle diatribe ecclesiastiche al quotidiano. 

Abiti eleganti
Quanta distanza dal vero, come questa cesura insanabile era in quel momento assolutamente inavvertibile a me che passeggiavo tranquillo fino a raggiungere il magnifico ponte di pietra di Ura e Gurit, con la sua grande ed elegante campata centrale che scavalcava il fiumicello deciso a tagliare in due la città; una unione indissolubile tra le due sponde, vincolate a guardarsi l'un l'altra da secoli, oppure un baluardo a segnare una divisione insanabile. Fatto sta che il vecchio quartiere del centro dava una sensazione di piacevole tranquillità. Dopo una serie di locali che vendevano curiosi vestiti da cerimonia, pomposamente chiamati boutique, finimmo in un negozietto che vendeva tappeti tessuti, tipo kilim, dato che qui la tradizione turca è stata sempre molto presente. Un venditore che allora mi sembrava vecchissimo, me ne mostrò diversi, alcuni bellissimi, altri piuttosto vecchi. Ci accordammo su uno non troppo grande che mi aveva colpito per i suoi colori sapientemente mescolati tra di loro, gradevolmente coerenti e non sfacciati, dal disegno geometrico semplice ma ben studiato. Me lo arrotolò con gran cura e mi disse qualcosa che non capii molto bene, in quella miscellanea linguistica che si dipana sempre tra chi appartiene a culture diverse, ma che risolve sempre per chi abbia la necessità di intendersi in qualche modo per portare a termine una compravendita. Una cosa tipo, hai fatto bene a prenderlo perché queste cose quaggiù stanno per scomparire per sempre. Non so davvero se fosse una previsione consapevole o un timore di sciagure future presenti nell'aria. Ce ne andammo in cerca di un localino dove mangiare qualche cosa. Infondo alla piazza, una bellissima area circondata da antiche case ben conservate, da una via laterale, spuntava la sagoma ingombrante e violenta di un carro armato, una presenza assolutamente incongrua che turbava la pace del luogo, disturbandola con un presagio disgustoso, che al momento non era neanche proponibile. Ci turbò quel momento magico e neanche la cena fu molto piacevole.

Nostra Signora di Ljevis

2 commenti:

OLga ha detto...

Non sono mai stata ,solo fino a Zagreb conosco.Buona domenica

Enrico Bo ha detto...

Anche a te. Vale la pena.

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