Per rispondere all'interesse mostrato da alcuni, sul post Bati la fisica, oggi mi tocca questo ris-post (come li definisce l'amico Dottor Divago). Grazie al paziente lavoro di Franco Castelli, sono riuscito ad avere il testo completo della poesia di Rapetti sull'argomento e ve la ripropongo tal quale, con traduzione verso per verso dello stesso Castelli, in quanto il dialetto di Villa del Foro (l'antica Forum Fulvii) è particolarmente ostico e duro da comprendere, pur nascendo a pochi chilometri da Alessandria. Qui si capisce bene come l'espressione Battere la fisica, coinvolgeva tutti i fatti misteriosi di cui erano capaci streghe e maghi. Un pericolo pauroso in cui erano coinvolte e capaci di svolgere, solo le persone che avevano studiato nei libri "grossi" ed in particolare i preti, che il volgo contadino di ogni parte d'Italia ha sempre visto con la diffidenza e la poca stima a prescindere, un po' come oggi la gente pensa ai politici. Questi personaggi sono sempre stati visti come capaci, grazie alla loro supposta cultura, di approfittare delle donne del paese quando i mariti sono lontano e di ingannare la gente a loro vantaggio, utilizzando le peculiarità del loro ministero. In fondo questa storia delle mogli e figlie che si vanno a confessare, non è mai andata giù e l'identificazione del grasso curato furbacchione, severo con i poveracci ed ossequiente verso i potenti, tipologia incarnata dai vari Don Abbondio letterari, con il prestasoldi è di pratica comune. Ecco dunque questa meravigliosa Ra fizica, dove emerge la figura di Don Paulon, che immaginiamo grasso e rubizzo intento a suscitare malefici paurosi per poi risolverli con magici anatemi al fine di mantener un potere ed una autorità sui contadini della sua parrocchia che lo temono e devono tenerlo buono con offerte e devozioni.
Ra
fizica.
Diz che don Paulon batijs ra fizica
ch' il divu 'r Bringiuten-ni, 'n gir
sta mizica
ra cà tacà ra gìazia, fnèstri suta
cor ratarauri rj' ombri sòrt na
gnuta.
Cucdein ch' l' à ra muruza t' al
cunzivi
cullà che 'r va zì pschè dar pas 't
capivi
ma l' iss sarà, er fnèstri, cà e
stala
dùai ùagg quacià 'ns u lìacc, na micia-gala!
Capì ch' is favu vighi, 't spauentavu
'nt er stali, da maznà, i vègg
quintavu
fa dì na mesa ai mòrt, o du, sparisu
'r prèvi l' à u
libi, chil se 'r vùa parisu.
'Nt ra fnèstra è don Paulon,'nt l'
ombra, pisava
'r vasìa alvà u spargein, l' òm gras,
bifava
va 'n cà scumpar ra streja, l' èl, l'
èl nèinta
l' indman fan dì sta mesa e ra
scarvèinta.
Dìotu 'r "Puntarùa", su
fiùa 'l diz, Mariu
vist chil, avli sentì, 'r memòrii variu
d' amson, scariavu 'r cùav,' n cà ch’i
mangiavu
"Er fùa,
curì, 'nt ra curt 'd Verzon !",crijavu.
Sidlein an
man, baston, cujcòz ch’ u ciama
l' avghivu tur
au scagn, tit lèingui 'd fiama
sòrt don Verzon da 'n cà, fa 'n sign
ant l' aria
sparis er fùa, csé
't dizi, vat te 'n paria?
Fan vighi 'n
can, lìon, n' afè ch' aj smeja
ien avstì 'd
bianc, long a ra strà, cèr meja
rivè dèj na
randlà diz ch’ u spariva
s' l' è 'r prèvi pre 'n pò 'd tèimp
pì nein l' avghiva.
Pinètu, rèj an Bèrb, er pscava in
ombra
mulava zì spariva, l' èua zgombra
tirava, turna andrèinta, dl' ombra
viva
da drìa l’ ava ra len-na ch’ al
nuziva.
Na nùacc, mni cà mèz ciuc, dau
simitìari,
atur quant
balaren-ni, fausi o vìari
tucà balè con lur, fin chi sparivu
l' indman truvà
‘n caudrein, o gèint, l' avghivu!
In auter caratìa, bargìa cme chili
va zì 'nt cul fòss, ‘n bòt 'd nùacc,
nein a squitili
tucà scariè e cariè, e tira e bita
camp-sant pein
'd gèint nèint truvè ien ch' al jita.
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La
fisica.
Si
dice che don Paolone battesse la fisica
che
lo dicevano le Bringiottine, in giro 'sta musica
la
casa vicino alla chiesa, finestre sotto
coi
pipistrelli e le ombre esce una ghigna.
Qualcuno
che ha la morosa lo conoscevi
quello
che scende a pescare dal passo lo capivi
ma
l' uscio chiuso, le finestre, casa e stalla
due
occhi accovacciati sul letto, una gatta…..!
Capito
che si facevano vedere, ti spaventavano
nelle
stalle, da bambini, i vecchi lo raccontavano
fai
dire una messa ai morti, o due, spariscono
il
prete ha il libro, lui se vuole appaiono.
Nella
finestra è don Paolone, nell' ombra, pisciava
il
vaso levato l' aspersorio, l' uomo grasso, sbuffava
va
in casa e scompare la strega, lo è o non lo è
l'
indomani fan dire una messa e la scaraventa.
Dìotu
il "Puntarùa", suo figlio lo dice, Mariu
ha
visto lui, aveva sentito, le memorie variano
d'
estate, scaricavano i covoni, in casa che mangiavano
"Il
fuoco, correte nel cortile di Verzone !" gridavano
Secchiello
in mano, bastone, qualcosa che serve
lo
vedevano intorno allo sgabello, tutte lingue di fiamma
esce
don Verzone di casa, fa un segno nell' aria
sparisce
il fuoco, che ne dici vai in pari ?
Fan
vedere cani, leoni, un affare che gli somiglia
uno
vestito di bianco lungo la strada, lumi nessuno
arrivare
a dargli una randellata dicono che spariva
se
è il prete per un po' di tempo più nessuno lo vedeva.
Pinetu,
reti in Belbo, pescava un’ ombra
mollava
giù spariva, l' acqua sgombra
tirava,
di nuovo dentro, dell' ombra viva
dietro
aveva la luna che lo ammaliava..
Una
notte, tornato a casa un po’ brillo, dal cimitero,
intorno
quante ballerine, false o vere
gli
è toccato ballare con loro finchè sparivano
l'
indomani trovato un pentolino, o gente, lo vedevano !
Un
altro carrettiere, lattaio come lui
va
giù nel fosso una notte, nessuno a soccorrerlo
gli
tocca scaricare e caricare, e tira e metti
il
camposanto pieno di gente, nessuno che lo aiuti.
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Par di sentire i racconti di streghe e di morti, la sera attorno alla lanterna delle veglie nelle stalle. Cose assolutamente sicure e provate, come quelle del pescatore Pinetu ammaliato dalla luna, che continua a gettare le reti nel Tanaro tirando su solo ombre o quel passare vicino al cimitero dove era stato costretto a ballare tutta la notte con ballerine fantasma fino a quando queste non avevano deciso di andarsene o del carrettiere, certo piuttosto rotondo dopo la serata in osteria, finito nel fosso, che aveva continuato, novello Sisifo a caricare e scaricare tutta la notte, mentre a fianco, quel camposanto pieno di gente immobile a guardarlo senza aiutare. Su tutti giganteggia il timore reverenziale verso Don Paulon, che batteva la fisica suscitando, forse lui stesso fuochi tra i covoni per poi spegnerli con misteriosi segni nell'aria, facendo così pari. Preti di campagna capaci di far comparire animali strani e paurosi e bianche figure avvolte in lenzuoli bianchi che giravano tra le case di notte, magari a trovare le parrocchiane ingenue. Qualcuno, più sospettoso e pieno di malizia, come in fondo lo sono i contadini, vinta la paura, gli aveva dato una bastonata in testa e poi stranamente per qualche giorno il curato non si era più visto in giro. Un racconto così vivido e naif da fare innamorare. Che grande poeta Rapetti!
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