martedì 20 agosto 2024

Caucaso 14 - Nello Svaneti

Svan - Georgia - aprile 2024


Mestia

E così eccoci qua. Siamo finalmente arrivati nello Svaneti, la zona della Georgia che, con le sue valli nascoste e misteriose, è l'area forse più interessante e di certo la più attrattiva dal punto di vista iconografico del paese. La valle principale si protende, dopo aver sfiorato la quasi impenetrabile Abkhazia, quasi parallelamente alla catena del Caucaso maggiore con le sue cime nevose ed aguzze, molte delle quali di altezza superiori ai 4000 metri, seguendo il confine russo, comunque inaccessibile da queste zone, in quanto le strade, inclusa la principale si fermano alle pendici delle montagne, raggiungendo le valli secondarie senza traccia di asfalto, quando non diventando solamente sentieri di montagna da percorrere a piedi o con animali. Qui si trovano quattro tra le dieci montagne più alte del Caucaso, incluso il gigante massiccio del Chkhara di 5201 metri. Tutta la regione è ricoperta di foreste di conifere, principalmente abeti del Caucaso che si perdono al limitare dei pascoli in quota per lasciare infine il posto ai nevai eterni delle cime. Più in basso le latifoglie classiche dei mondi prealpini, querce, carpini e faggi. Queste valli, che durante l'inverno rimangono, almeno quelle più in quota, completamente isolate per le abbondanti nevicate causate dalla vicinanza del mare, le precipitazioni qui possono superare anche i 3000 mm annui, con continue frane e valanghe che si abbattono sui fondovalle, bloccando sentieri e interi paesi, sono abitate da una etnia rimasta a lungo e forzatamente priva di contatti col mondo esterno, gli Svaneti. 

Il monte Ushba (4710 m.)

Questa era la terra che sorgeva alle spalle della Colchide e nella quale nessuno osava avventurarsi, pena il sottoporsi all'opposizione e alle condotte spesso violente dei suoi abitanti, le cui abitudini rimasero per secoli sconosciute, favoleggiate ed ammantate di leggendarie violenze. Molti nelle altre contrade del paese ancora oggi ne hanno paura. In effetti l'area, a causa del suo isolamento geografico, rimase sempre ai margini dei poteri succedutisi nel tempo, dal regno di Abkhazia dell'antichità, a quello di Georgia e poi successivamente all'impero Russo ed all'URSS, a cui gli abitanti si opposero con rivolte sanguinose. Tutto questo ha dato luogo ad uno sviluppo architettonico assolutamente curioso che ne fanno appunto oggi la principale attrazione, tanto da renderlo degno della proclamazione di sito Unesco nel 1996. Infatti attorno all'anno 1000, i singoli paesi e le famiglie che li abitavano erano talmente in contrasto tra di loro che si sviluppò l'abitudine di costruire a difesa delle varie case altissime torri di pietra, assolutamente sproporzionate alle abitazioni stesse, allo scopo di rinchiudersi al loro interno a difesa della famiglia e dall'attacco delle altre famiglie vicine; situazione che ha creato faide secolari e inimicizie sanguinose, lasciando tuttavia un patrimonio del tutto unico al mondo che ancora attualmente caratterizza tutta questa regione. 

Due torri

Tra il IX e il XII secolo, in ogni paesino della valle, ne sono sorte a centinaia, che evidentemente sono servite efficacemente al loro compito dissuasivo, perché a tutt'oggi rimangono lì, perfettamente conservate, come aste occhiute, col loro minuscolo posto di osservazione posto sotto le scandole del tetto, manifestando la loro inquietante presenza, come a dire, siamo qui, guardatevi bene dal minacciare questa casa. Oggi il territorio è quasi spopolato, la mancanza di risorse, se non quelle scarse silvo-pastorali, che di certo non possono essere sufficienti alla vita del mondo attuale, ha convinto la maggioranza dei giovani a lasciare per sempre questi piccoli paesi sotto le montagne e solo recentemente un certo sviluppo dell'attività turistica e dell'interesse verso la natura selvaggia, gli sport invernali ed estremi e la maggiore facilità di raggiungere queste zone, ha dato qualche possibilità che ha evitato il completo abbandono. Mestia è il piccolo capoluogo della regione con meno di 2000 abitanti, base di tutti gli itinerari che partono da qui per esplorare i punti più selvatici di queste valli. Il luogo, pur essendo ormai molto "normalizzato" ha comunque un suo fascino di paese di montagna di un altro mondo e quindi molliamo subito i bagagli nella nostra camera per esplorare nel poco tempo che rimane prima che cali la sera, il centro del paese. 

Una torre a Mestia

Subito alle spalle del centro, lungo le stradine in salita che risalgono verso la montagna, le vecchie case in pietra che ospitavano i vecchi abitanti, conservano al loro interno ancora una decina di torri, alcune forse pericolanti, altre aperte per chi vuole entrare a dare un'occhiata. Non per nulla il paese è gemellato guarda caso con S. Giminiano ed è stato visitato nel recente passato dal nostro grande fotografo esploratore Vittorio Sella che ne ha lasciato una documentazione interessantissima in seguito al suo primo viaggio extraeuropeo avvenuto proprio tra queste valli nel 1889, copia della quale ancora esposta nel bel Museo storico ed etnografico, da cui si evince come, a parte i costumi degli abitanti, tutto sia rimasto ancora esattamente come allora, almeno nei paesi più lontani della valle. Noi intanto risaliamo l'erta faticosissima e scivolosa a causa del selciato bagnato dalla pioggia e perché no dagli escrementi dei numerosi bovini che rientrano dal pascolo, e penetriamo nella zona più vecchia tra le case dalle porte chiuse, di legno antico e reso grigio dal tempo, che fatica a distinguersi dalla pietra. Una di queste è accostata, dietro, quattro giganteschi maiali neri, di una razza molto simile a quella che ancora si trova nelle campagne parmensi, che si ruzzolano nel brago fangoso grugnendo di soddisfazione. Entriamo nella torre; su un vecchio tavolo è posta una scatola di cartone dove lasciare se si vuole, un'offerta. Qui evidentemente tutto gira sulla fiducia. 

La salita

La dimensione è quella di una stanza, un tempo dedicata al ricovero degli animali, su cui si alza la torre. In un angolo un'erta scala di legno conduce ai piani superiori, quattro o cinque, il primo dedicato al magazzino per i viveri di scorta in caso di assedio, le altre per il ricovero delle persone, fino a giungere alla sommitale da cui osservare le case circostanti e decidere il da farsi. Salire sulle scale malferme è davvero difficile, se non leggermente rischioso. Proseguo con una certa fatica fino al secondo piano. All'ultima anche i nostri più arditi scalatori decidono di rinunciare perché i gradoni sono talmente alti da rendere impossibile l'arrampicata. Tuttavia l'idea che ci si può fare di questo tipo di disposizione è assolutamente chiara. Un luogo di difesa da sparuti gruppi di assalitori in cerca di razzia o di vendetta, con la possibilità di asserragliarcisi per qualche giorno in attesa di aiuto da parte di alleati-amici o di desistenza da parte degli assalitori. Non diverse almeno logisticamente da altre case-torri viste ad esempio nello Yemen o perché no, nei nostri paesi medioevali italiani, come appunto già rimarcato. Dalle piccole aperture che si aprono nelle pareti man mano che si sale, si vede il paese all'intorno, una serie di tetti di pietra e di legno abbarbicati gli uni agli altri, nemici vicini che avevano di certo più bisogno di aiuto reciproco che di contese fratricide.

Il negozio a Mestia

Ma questo è l'animo umano, pronto sempre a dilaniarsi vicendevolmente specie tra fratelli quando invece ci sarebbe bisogno solamente di aiuto reciproco e di solidarietà tra poveri. Gli Svan (circa 15.000 persone) parlano una lingua loro, separatasi da gruppo delle proto lingue caucasiche almeno 1000 anni prima del georgiano stesso, considerata in via di estinzione, con quattro lievi varianti tra paese e paese, incomprensibile agli estranei, cristallizzata in secoli di inverni isolati nel fumo delle stalle a raccontarsi storie ed antiche leggende, di invasori respinti da eroici pastori e bellissime principesse da conquistare con mirabili gesta. Oggi, quando comincia a scendere la neve, quella che in poco tempo bloccherà ogni possibilità di movimento tra i paesi più lontani, molti degli abitanti che rimangono tra le montagne, scendono qui in città; i tempi sono cambiati e molti hanno qualche attività sviluppata che attende l'arrivo dei turisti in cerca di esotico. Isolati rimangono in pochi, qualche vecchio o qualcuno in rivolta contro la società moderna al quale l'isolamento fino a maggio a cui è costretto ad esempio il paesino di Ushguli, dove andremo domani, è diventato un vezzo, una volontaria dimostrazione di diversità di cui farsi gloria in questo mondo che tende ad uniformare ogni cosa. Forse per mantenere l'orgoglio di uomini duri e puri, gente di cui "quelli" di fuori dovrebbero ancora avere paura, insomma un voler incutere un rispetto atavico proprio solo delle genti di montagna, dove maggiore è l'isolamento migliore è la sicurezza di essere difesi dal resto del mondo. 

Chorba

Una mentalità non dissimile in tante montagne in giro per il mondo anche se magari declinata in modi solo apparentemente diversi. Scendiamo intanto verso la via principale facendo lo slalom tra gruppi di maiali neri e polli schiamazzanti. I bovini, che da soli scendono dal monte verso le loro stalle, evidentemente per essere munte, ci guardano con occhi stanchi e buoni, più attenti a non scivolare sulle pietre viscide che a muoversi con lestezza. Hanno corna piccole ed inoffensive, le vacche mammelle minuscole e di certo poco produttive, anche loro in linea con l'avara redditività che ogni prodotto della terra e della pastorizia, in questa valle può dare all'uomo. La cittadina di Mestia sorge ad oltre 1500 metri nel suo punto più basso, ai piedi del monte Ushba, il colosso innevato che la sovrasta. Nelle case del centro, più nuove e moderne che sono sorte attorno al giardino, sorto penso in epoca sovietica, piccoli locali offrono gradevoli servizi dei quali sei subito invitato ad usufruire. Fuori c'è poca gente e intanarsi al caldo è subito cosa grata. Una bella cioccolata calda, non sarà di certo consona alla tradizione, ma fa tanto piacere. Una parca cenetta in cui sarà d'obbligo assaggiare la trota di torrente, lo Shavtskala, che scorre spumeggiando in mezzo al paese, corredata da formaggio fritto della zona, saporito e convincente, una calda zuppa scura e una purea di patate e formaggio per finire, un menù questo di certo consueto nelle case ricche di queste valli dove questi erano gli unici prodotti disponibili in una certa abbondanza, se pure credo saranno stati dosati anch'essi con molta parsimonia nei lunghi inverni dei tempi passati. Noi al contrario ci diamo dentro senza pietà, euri permettendo.

La valle di Mestia


 



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