Ancò 'l fa na frigg orba, (oggi fa un freddo orbo, come si dice tra i mandrogni, chi sa perché al femminile). Così è anche da noi quando le notti sono serene e diradate le nebbie d'inverno, spunta un raggio di sole e lo sprazzo di azzurro ti fa sognare cieli himalayani perduti, dove l'azzurro si muta in blu e poi indaco. Forse la mancanza del partire ormai si va stemperando nel timore che non sarà mai più possibile farlo. Oggi, avrete notato, c'è un po' di negatività nell'aria e mi va diricordare solo momenti di difficoltà anche se poi, se li puoi raccontare, hanno sempre un andamento da lieto fine. Eccomi quindi spaziotrasportato sul bordo di una strada sterrata di alta quota e non si tratta della Val Chisone. Bucare una gomma è sempre una grana, figuriamoci poi tra le montagne del Sikkim. Finisce che te ne stai lì un paio d'ore su una panca di legno di una baracchetta che vende pacchettini di ogni tipo, incluse patatine e bibite, fuori dal paese, alla fermata del bus. Una signora accoccolata a gambe incrociate dentro al loculo che è anche un po' la sua casa per tutto il giorno, tenta un approccio umano, ma non avendo uno straccio di lingua in comune, lo scambio di idee diventa difficile. Ride molto, schermandosi la bocca con la mano, poi si assesta meglio sulle chiappone generose e prepara un pan di betel per un cliente che aspetta la corriera, è bello chiamarla così, come si diceva da noi nella campagna degli anni '50. Alla fine rimani lì a guardare le casette di Pelling che avevi lasciato ieri e che dopo un viaggio di un giorno intero credevi di aver perduto chissà dove e che invece ridono davanti a te, appena dall'altra parte della valle. Del Kangchenjunga invece nessuna traccia, ufficialmente disperso tra le nubi lontane, proprio non vuol saperne di farsi vedere, il vergognoso. Frotte di bimbi in divisa nera vanno a scuola con le borsette dei libri a tracolla e quando la gomma è ormai ufficialmente riparata, viene finalmente l'ora di partire, anche Yumdrok è ormai alle spalle. Arriviamo al Tashi Ding Gompa che è quasi mezzogiorno.
Bandiere di preghiera colorate |
Questo è il più sacro e forse il più antico tra i monasteri fondati dai Cappelli Rossi in Sikkim. Una scalinata di pietra ti porta in cima alla collina in un quarto d'ora, accompagnato dagli alti pennoni bianchi delle bandiere. Anche se i rifacimenti sono continui, il cubo bianco con le piccole finestre colorate e gli spioventi del tetto dorato, mostrano il peso dei secoli di questo luogo carico di leggende. Pare che il sito sia stato addirittura divinato dallo stesso Guru Rimpoche, il leggendario Padmasambava per i tibetani, che scagliò un giorno una freccia, la quale cadde proprio in questo punto preciso dove, secoli dopo sarebbe stato costruito il monastero. Altri dicono invece che i tre monaci santi arrivati dal Tibet per diffondere la buona novella dei Nyingma Pa (e anche per salvare la ghirba direi, dato che i Cappelli Gialli, loro avversari, non erano molto teneri con loro), appena giunti qui, furono abbagliati da un riflesso che arrivando dal vicino Kangchenjunga, andava ad illuminare proprio la cima della collina e così fu scelto il punto. Non ti sazi mai di guardare questi affreschi che mani di veri artisti hanno tracciato nei secoli sulle pareti, senza lasciare mai una traccia del loro nome, che questa è cosa senza importanza di fronte alla sacralità dell'atto di rappresentare il divino.
Un guardiano |
Accoppiamento tra divinità tantriche |
Proprio per questo l'opera d'arte in sé non è importante; non ha senso insomma conservare antichi dipinti, pur se bellissimi, meglio distruggerli e rifarli nuovi, perché proprio il fare, è preghiera ed ha valore, così come si impiegano giorni e giorni a disegnare con le sabbie colorate prima dei festival complicatissimi mandala dagli straordinari e complessi disegni, per poi distruggerli senza rimpianti appena terminata la festa. Proprio questo deve dimostrare la necessità di distaccarsi dalle cose del mondo reale, dalla samsara, inutile e vana che allontana dall'illuminazione. Eppure rimani incantato davanti alle antiche tankhe srotolate lungo i muri o appese alle colonne di legno rosso, annerite un poco dal fumo delle lampade, incorniciate da broccati dai disegni barocchi e attorcigliati, dorati, rossi o azzurri per dar maggior colore alla bellezza, che raccontano storie di illuminati che predicano o di figure orrifiche che difendono i luoghi santi da mostri malefici, o ancora guru famosi, in groppa a cavalcature mitologiche e allievi fedeli che circondano il maestro, Tare verdi e bianche col corpo flessuoso che pare muoversi tra le aureole, mandala perfetti e complicati nelle cui geometrie simmetriche l'occhio si perde in maniera ipnotica. Un gruppo di monaci in fondo alla sala prega con la cadenza cantilenante e profonda del basso continuo; rispondono al più anziano che con gli occhi semichiusi, immobile, comanda il coro.
Muri di mani dipinti |
Una enorme campana rimane in attesa davanti alle piante in fondo al cortile, non puoi resistere alla tentazione di infergere almeno un colpo col grande batacchio di legno che le sta accanto. Un suono profondo puro e penetrante si espande nella valle, la attraversa come un onda in cerchi concentrici che vanno via via allargandosi senza diminuire l'intensità per un tempo che ti appare infinito. In fondo al giardino, un gruppo di grandi stupa bianchi o dipinti di giallo vivo, nascondono nella loro viscera di pietra reliquie preziose, capelli del Buddha o ancora meglio, uno delle centinaia di suoi denti, sparsi per tutta l'Asia, senza differenze avvertite o contrasti dottrinali tra le varie sette, per una volta concordi. Ancora pochi chilometri e un altro piccolo tempio orna una collinetta al bordo della strada. E' una vera rarità perché è dedicato, unico nel suo genere, alla religione Bon, l'antico credo tibetano soppiantato dall'arrivo pervasivo del Buddhismo ed in parte integrato sincreticamente in esso. Oggi lo stesso Dalai Lama ne ha decretato l'ammissibilità tra le diverse sette accettate, che hanno compreso essere assai meglio fare fronte comune, sia politicamente che dal punto di vista dottrinale.
Ragazzi che vanno a scuola |
Così, questa antichissima religione, qualcuno pretende che risalga fino a 18.000 anni fa e che si affida alle divinità orrifiche ed agli spiriti della terra e della natura, recita la sua parte di precursore del complesso pantheon di figure mitiche, divine, semidivine o semplicemente umane ma illuminate, che popolano i luoghi di culto di questa parte di mondo. Così il Yung Drung Kundrak Bon Gompa, minuscolo ma armonico monastero Bon, dipinge la collina di muri ricoperti di mantra colorati di blu, all'interno di arabeschi di nicchie bianche su pareti rosso mattone, mentre i vialetti che vi conducono sono tappezzati di fiori viola acceso. Qualche monaco giovane è seduto sulle panche davanti all'ingresso. Come tutti i ragazzi ridono e scherzano, l'ora della preghiera è finita da un pezzo; soprattutto digitano compulsivamente su smartphone cinesi. Già perché il Bon sarà anche la religione più antica del mondo, ma il monastero non sta mica lì a fare la muffa; ha tanto di pagina e profilo facebook su cui posta con una certa frequenza, vedere per credere e mettere un mi piace. Ma bisogna affrettarsi, la strada per arrivare a Gangtok, la capitale, è ancora lunga.
I chorten di Tashi Ding |
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