lunedì 16 settembre 2024

Saveur de la Côte 1



ciottoli tondi

sfiorati dalla brezza -

gracchia un gabbiano



domenica 15 settembre 2024

Recensione: T. Umrigar - Il canto dei cuori ribelli


 

Romanzo molto adatto a chi ama l'India e da questa è attratto morbosamente come me, quindi certamente poco equilibrato nel giudizio. Certamente questi lavori a tinte forti possono sembrare un po' troppo feuilletton d'altri tempi, ma le storie indiane sono spesso dure e anche utili a sfatare quel  giudizio generalizzato che si dà normalmente dell'India, credendolo un paese dolce e dal cuore spiccatamente gandhiano. No, l'India è anche e soprattutto un paese che può essere molto violento specialmente quando andiamo a parare sui temi religiosi e sui rapporti che si rifanno alle tradizioni. In particolare il trend politico di questi ultimi anni ha ancora di più, se possibile, accentuato questo aspetto che ha inasprito i rapporti tra la maggioranza indù e la minoranza mal sopportata e palesemente discriminata dei musulmani. Ma al di là della storia potente di questo romanzo, interessante come tutti quelli scritti da autori indiani, anche questa vive all'estero, è il secondo aspetto, il romanzo nel romanzo della protagonista, una giornalista di origine indiana, che si trova a seguire contro voglia una vicenda di cronaca nella sua terra in cui torna casualmente, chiamata a sostituire una collega. E' a mio parere la parte migliore del lavoro, che studia, scruta ed esamina gli stati d'animo degli espatriati che ritornano a casa e si trovano in mezzo al contrasto tra i loro vecchi stati d'animo e quelli nuovi, in cui credono di essere perfettamente integrati, trovandosi poi fuori posto in entrambe le situazioni. Una situazione che credo molto consueta, ma qui trattata con belle sfumature. Gradevole insomma.  



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sabato 14 settembre 2024

Recensioni: M. Vaglio Tanet - Tornare dal bosco


 

Candidato allo Strega 23, si sente che è scritto bene, da una mano delicata e che sa fare il suo mestiere. In più un'autrice che ama profondamente la natura e la descrive con cura ed affettuosità direi decisamente poetica, quando si lascia andare ad allungare il brodo del racconto. Tuttavia questo tipo di romanzo non è nelle mie corde per cui l'ho fatto andare piuttosto velocemente senza che mi abbia coinvolto più di tanto. Si svolge nella Biella degli anni '70, area che ho conosciuto e forse anche per questo, riconoscendone i luoghi mi ha trattenuto un po' di più, con una storia delicata, di una bambina che si suicida per un rimprovero e della sua maestra che sui colpevolizza. Un ricamo su un fatto di cronaca realmente avvenuto. Una cosa un po' flebile anche se per carità, non offende.


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venerdì 13 settembre 2024

Recensioni: J Adler-Olsen - Vittima n. 2117

 


Ennesima opera di questo produttore di thriller di enorme successo mondiale con traduzioni in 42 klinguee decine di milioni di copie vendute. Classico thriller da ombrellone con 500 pagine che vi faranno passare il tempo mentre aspettate di digerire prima di fare il bagno, a tema terroristico mediorientale, che adesso va di moda. Ovviamente da bon mestierante vi obbligherà a leggerlo tutto di fila per la sola voglia di vedere come va a finire, anche se devo dire che non ha un intrecci che avvinca più di tanto, trascinandosi fino alla fine senza particolari colpi di scena. Calcolando il costo un tanto a pagina è accettabile come investimento.


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giovedì 12 settembre 2024

Recensioni: T. Terzani - In America


 

Altro magnifico libro del grandissimo giornalista che riesce a raccontare gli avvenimenti del suo tempo con distacco obiettivo, nonostante sia schierato e mai come in questo caso, nel quale, agli inizi della sua attività, non era neppure ancora giornalista. Si tratta della raccolta degli articoli inviati al Giorno e all’Astrolabio, durante i suoi due anni di soggiorno negli Stati Uniti, dove era stato inviato, giovanissimo, con una borsa di studio per affinare la sua preparazione. Il grande interesse di questa raccolta sta nel fatto che questi articoli riguardano gli anni topici dal 68 al 70. Siamo nel pieno della guerra del Vietnam, delle contestazioni studentesche, delle prime battaglie per i diritti civili, delle Pantere nere e degli omicidi di Martin Luther King e di Bob Kennedy, che infiammarono il paese negli anni fondamentali per il mondo nel secondo dopoguerra. Già fin da queste sue prime mosse ed esercitazioni di scrittura si capisce la straordinaria capacità di Terzani di trovarsi nel posto giusto, al momento giusto, per vedere, per vivere e per raccontare i fatti che hanno infiammato la seconda metà del secolo scorso. Cosa che si ripeterà poi quando si ritroverà alla caduta di Saigon e all’apertura della Cambogia con la scoperta degli orrori degli Khmeri rossi, in quell’infiammato sud est asiatico che segnò indelebilmente gli anni 70 e poi in Cina alla fine dell’era Mao e ancora a percorrere l’Unione Sovietica, proprio mentre ne avvenne il disfacimento finale. Fantastico leggere adesso, proprio per misurarne la incredibile attualità, il racconto della battaglia elettorale tra Nixon e Humfrey, con la rinuncia di L. Jhonson, che fa apparire il racconto delle elezioni americane che stiamo vivendo oggi come una squallida ripetizione di fatti già avvenuti. Insomma una lettura vivificante ed appassionante al tempo stesso che consiglio assolutamente


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martedì 10 settembre 2024

Caucaso 21 - Nel centro di Yerevan

Museo dei manoscritti - Yerevan - Armenia - maggio 2024
 

Ararat col cappello

Non riesco a staccare gli occhi dal finestrino. Questo gigante assoluto con il suo cappello bianco che domina la piana che si allarga all'infinito, sembra così vicino da poterlo toccare solo allungando le mani, eppure è ancora lontanissimo, anzi è addirittura in un altro stato: la Turchia, così pericolosamente vicina nello spazio, così lontana nel sentire. Presenza che dà turbamento, alle spalle di questo piccolo staterello dalla storia travagliata, un tempo grande per importanza e dimensione, oggi così punito e senza colpe da eventi così tragici da far tremare di indignazione chiunque voglia rileggere le pagine degli eventi dell'ultimo secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. Ma dovremo parlare molto di questo argomento perché visitando l'Armenia ti trovi davanti a questo problema ad ogni momento ed in ogni situazione. Intanto questo muto testimone sta qui davanti a noi con la sua imponente bellezza con la sua storia e le leggende di cui è ammantato. Oltre quaranta anni fa ero proprio là, in Turchia, sull'altro versante e già allora ragionavo della sua straordinaria bellezza e della sua indiscutibile imponenza. Ricordo che spiavo le sue balze che di lontano appaiono come lievi pendii su cui sembra facile salire, mentre stiamo parlando di un bel cinquemila, calzato e vestito, sul quale schiere di improbabili cercatori dell'arca perduta, e qui proprio di questo si parla, si sono perduti essi stessi senza trovarne le tracce, di Noè poi non se ne parla. 

Artisti della domenica

Comunque sia è un monumento della natura che per la sua posizione ti dà una immagine assolutamente indimenticabile. Il bello è che praticamente si dice che da ogni parte dell'Armenia lo si veda distintamente, insomma una cartolina indimenticabile. Intanto passa il tizio a ritirare le lenzuola, significa che stiamo arrivando, naturalmente con puntualità svizzera, anzi sovietica visto che questo era l'andazzo quando c'era lui, come ovvio. Scendiamo con molta calma, io, assonnatissimo in quanto come mio costume non ho riposato quasi nulla, benché il letto fosse comodissimo. I passeggeri filano via veloci, quasi tutti attesi da qualcuno, tanto che quando noi usciamo fuori dalla grande stazione centrale di Yerevan trascinando i nostri trolley e gli zaini affardellati, alle 7 di mattina, ci ritroviamo praticamente soli a cercare il taxi del caso. Yandex funziona velocemente, ma quando il tizio arriva con una macchinetta che riuscirebbe a malapena a caricare la metà di noi, figuriamoci il bagaglio al seguito, nonostante si fosse registrato sul sito come capiente van, tocca subito litigare, visto che la sua scusa è che siamo troppi. Gianluca ne chiama allora un altro e questo è capiente al punto giusto. Comunque il problema è il nostro alloggio sarà pronto solo nel primo pomeriggio e riusciamo quindi solo a raggiungere un punto di base dove un tizio che stava dormendo ci prende in carico i bagagli fino a quando verremo a ritirarcele. 

Piazza della Repubblica

Nel frattempo possiamo farci un giro per il centro per avere un primo contatto col paese. In pratica non c'è nessuno in giro visto che il sabato alle 7:30 la città è ancora in braccio a Morfeo. Come in Georgia, non c'è segno di vita prima delle 10. In realtà anche io sono più morto che vivo, però in fondo è piacevole mettere un passo dietro l'altro in una città ancora senza traffico dai viali larghi e guardare la sfilata dei vecchi palazzi che si susseguono alternati a bei parchi ricchi di verde. In un attimo, dopo aver passato il cinema Mosca, arriviamo fino a piazza Aznavour, che qui è una vera e propria gloria nazionale e viene ricordato ad ogni piè sospinto, con la sua grande fontana dello zodiaco. Dopo aver attraversato un altro grande parco, finiamo in un bel bar, si tratta del Lumen Café che è ricavato da un vecchio negozio storico in attività dal 1936, che ci dicono poi essere stato la tabaccheria più importante della città, nella quale ancora riconosci antichi arredi ed un inequivocabile stile a metà tra oriente ed occidente. Cappuccini e dolcini (specialmente questi ultimi) sono assolutamente deliziosi e col prezzo richiesto ci mancherebbe ancora, ma d'altra parte se vuoi sentire aria di casa dall'altra parte del mondo, devi pagare e te lo meriti pure; in ogni caso le cameriere sono di una gentilezza disarmante e poi che dire, in questo modo ci siamo completamente ristorati e pronti a riprendere il duro cammino. 

Tacchi spaziali

Rinfrancati anche se alleggeriti, risaliamo il viale fino alla scalinata che porta al Matenadaran, un museo di antichi manoscritti dedicato a Mesrop Mashtots, un famoso sapiente, creatore dell'alfabeto armeno che campeggia ai lati della strada, una lettera dopo l'altra mentre si sale verso l'alto. In cima, davanti al colonnato piuttosto cupo di pietra scura, siamo circondati da una marea di bimbi con mamme e nonne al seguito che evidentemente si preparano ad una esibizione, tipo saggio di fine d'anno, agghindati al meglio, scarpe di vernice bianca, divise blu con un enorme fiocco azzurro davanti, qualcuna con le orecchie da Topolino per maggiore folklore. Le mamme ancora di più, esibiscono il loro miglior guardaroba, una con scarpe dai tacchi dorati e scolpiti, decisamente avveniristici, efficacemente progettati forse per ridurre l'attrito. Una bimba, che ostenta al collo un braccino ingessato e che evidentemente non ha voluto perdersi la festa, fa del suo meglio per mettersi in prima fila, ma la maestra la dispone in secondo ordine, causandole un broncio irresolubile. Chissà che delusione! Insomma tutti sono lì per godersi lo spettacolo, c'è pure una telecamera TV, poi visto che le cose si prolungano, noi ce la filiamo alla chetichella riscendendo lo scalone. 


La cascade

Un poco più avanti troviamo un negozio della catena Grand Candy, che sia fuori che dentro mantiene l'aspetto di una caramellona dai colori pastello, una sorta di Ferrero locale famoso per i dolci e le colazioni tradizionali armene fatte a base di ponchik, una specie di bombolone servito caldo ai vari gusti, imperdibile e assolutamente popolare nel prezzo, l'equivalente di 20 Cent. Optiamo per quello alla vaniglia, mentre qualcuno sceglie il cioccolato, da sempre medicina assoluta e incontrovertibile produttore di serotonina, l'ormone della felicità,  che va giù come l'olio, diciamo una seconda colazione, e poi, quando una cosa è buona e te la gusti, sicuramente fa anche bene a prescindere che sia fritta e un concentrato di zuccheri vari, alla faccia della glicemia. La cassiera a cui cerchiamo di agevolare il conteggio finale ed il calcolo del resto, ha chiare difficoltà nella matematica elementare, inoltre noi facciamo una tale confusione per spiegarle che se le diamo monete in più è per ricevere una banconota intera come resto, ma evidentemente è troppo complesso il concetto stesso. Non importa, finalmente sazi, sciamiamo felici verso il parco che conduce alla cosiddetta Cascade, una lunga scalinata che porta fino in cima alla collina. 

Botero nei giardini della Cascade

Questo è uno dei luoghi più frequentati della città, con i suoi giardini ordinati, a gradoni successivi, ricchi di molte statue di artisti famosi delle transavanguardie mondiale, dai bronzi di Botero ai mobiles di Calder. Tutta l'ambiziosa costruzione disposta sul bordo della collina è stata voluta da un ricco donatore, tale Cafesjan, esule americano che ne ha finanziato il completamento, pur con molti ritardi, dall'inizio nel 1975 quando era stata pensata come monumento ai Soviet e interrotta dopo il terremoto dell'88 e la fine dell'URSS e ripreso solo nel 2001 fino alla fine, nel 2009. La scalinata è lunghissima, per un dislivello di almeno 100 metri, per fortuna ci sono delle scale mobili che consentono anche agli anziani come me di procedere fino in cima senza problemi e non solo di fermarsi ad ogni step per uscire all'aperto e godersi i panorami aperti sulla città, tra statue, fontane e ragazzini che giocano. All'interno poi, molti ambienti presentano mostre ed altre attività artistiche, oltre naturalmente a pezzi di design esposti lungo lo spazio di salita. Non vi dico dello shop alla base, con un sacco di oggettistica davvero bella, che inviterebbe all'acquisto. Il monumento ha certo la grandiosità pensata durante il regime, ma il suo completamento e la ricchezza di opere d'arte che ne fanno un contenitore di arte moderna di tutto rispetto, la valorizzano notevolmente oltre a renderla una magnifica passeggiata per raggiungere il soprastante parco della Vittoria, dove noi andremo invece alla fine del nostro giro armeno. 

Balconata del Cascade

Così si ridiscende adagio adagio apprezzando le grandi balconate sulla città ad ogni piano, godendosi, ad ogni rampa di scale mobili, benedette sempre siano, una nuova visione dell'Ararat che giganteggia dalla parte opposta della città. Un sacco di gente che va e viene e che evidentemente trova piacere e svago a frequentare questi luoghi di esibizioni culturali e anche semplicemente belli di per sé. Continuiamo attraverso un'altra porzione di parco (ma quanti parchi in questa città!), dove al centro evidentemente ogni week end ci sono decine di artisti dilettanti che espongono le loro opere in attesa di compratori, molti decisamente bravi, tanto che mi fermo a tentare un approccio con uno che si dimostra molto felice della mia attenzione, raccontandomi di quanto gli piaccia dipingere e tutto questo senza cercare di rifilarmi nulla, solo per  il  piacere di parlarmi della sua passione, e proseguiamo poi fino alla piazza della Libertà, sede dell'Opera, teatro monumentale dalla facciata curiosamente curva, che mi sarebbe piaciuto vedere all'interno, magari con annesso spettacolo, ma, accidenti le date di permanenza non combaciano. E' uno degli orgogli culturali del paese, costruito negli anni trenta , ma poi rinnovato tanto da avere due grandi sale da oltre 1000 posti cadauna. 

Opera

La statua seriosa come si addice allo stile dell'epoca, che lo precede, è quella dell'architetto Tamanyan che lo progettò. Poi ci tocca la bella zona pedonale ricca dei soliti negozi di lusso come impongono le più classiche modalità dei centri delle capitali mondiali e che finisce in piazza della Repubblica, anche questa circondata dai palazzi del regime in pietra dorata, incluso quello del Governo, che si specchiano nelle grandi fontane centrali. Beh, bisogna dire che questo centro storico della città, pur di stile decisamente sovietico, non è poi così malvagio, ma ha una sua dignità che rende gradevole passeggiare tra parchi e palazzi d'epoca. Anche perdersi tra i mille banchetti del Vernissage tra torme di turisti per la maggior parte russi e di altri paesi della CSI, è piacevole, guardando oggetti improbabili, bamboline, bigiotteria e lame locali che predominano sulla paccottiglia che piace tanto al visitatore ansioso di portarsi a casa il ricordino di turno purchessia, incluse le famigerate calamite da attaccare ai frigoriferi, con tanto di Ararat artisticamente disegnato sopra (è proprio vero che sta dappertutto) e che hanno ormai preso il posto delle classiche palle con la neve che scende. Va bene, confesso, le calamite le compriamo, poi via verso il GUM, il grande mercato speciale soprattutto per la frutta e la verdura, uno spettacolo della vista che rende obbligatorio un  passaggio anche qui. 

Fragole al GUM

Soprattutto l'attrazione principale è costituita dalle composizioni di frutta secca, esposta in ogni ordine e quantità, mescolata a formare composizioni che vogliono anche essere artistiche e che invitano ovviamente all'acquisto, specialmente quelle bagnate nella cioccolata, vere ghiottonerie, per non parlare dalla Churchhela, di cui vi ho già detto, i bastoncini di piccoli frutti vari su cui viene colato uno sciroppo che si rapprende per appenderli tenuti insieme da un cordino. Di fianco, ricchi banchi di spezie mediorientali tra le quali trionfa lo zafferano in stami. Ovviamente compriamo perché non si può resistere solo a guardare, alternando agli acquisti solamente una sosta per buttar giù un po' di carni alla griglia che sfrigolano su un banchetto vicino, tra due venditori di cognac fatto in casa, rigorosamente esposto in bottiglie di plastica di recupero, ma garantito dieci anni di invecchiamento. Ma diciamo la verità, vale la pena anche solamente ammirare i banchi dei formaggi o quelli delle more, delle ciliegie e delle fragole, visto che siamo nel pieno della stagione e ce ne sono di meravigliose a secchielli, a cascate, a interi banchi pieni fino a strabordare, che tutti invitano ad assaggiare, a godere insomma di tutto quel ben di dio. Per non parlar delle albicocche, che non per niente, se si chiama Prunus armeniacum ci sarà un motivo e sembra che qui ci siano le migliori del mondo in assoluto. Difficile resistere in questo tempio alimentare, anche se poi, non so proprio dove metteremo tutti questi pacchetti, le ciliegie per fortuna, spariscono subito e ci lasciano in bocca quel sapore di buono che non ti fanno sentire la stanchezza nelle gambe. Via chiamiamo un taxi, che il tempo vola!

Banco formaggio al GUM

SURVIVAL KIT

Frutta secca

Luoghi da vedere nel centro di Yeravan - Una bella passeggiata a piedi per avere un colpo d''occhio iniziale della città, può prendere le mosse da Piazza Aznavour. Potete fare una sosta al Lumen Café, 45, Mesrop Mashtots Ave, ricavato da un negozio storico del 1936, dolci deliziosi ma molto caro; poi salite e se avete tempo visitate il museo degli antichi manoscritti con il monumento a Mesrop Mashtots. Sosta alla sua base al negozio Grand Candy per una gustosa colazione o un gelato a seconda dell'ora. Traversate il parco e salite poi alla Cascade  (300 m di scalinata) per ammirare il panorama e l'Ararat e lungo la discesa visitate il museo Cafesjan e le esposizioni ivi contenute. Poi piazza della Libertà col teatro dell'Opera (cercate di vedere uno spettacolo nelle imponenti sale). Proseguite nel corso pedonale che porta alla Piazza della repubblica e poi al cosiddetto giardino del Vernissage, un colossale mercato di bancarelle di gadget per turisti, paradiso appunto dei suddetti. Imperdibile poi il GUM, grande mercato alimentare, tra i più belli del Caucaso. Infine un po' più lontana la Moschea blu, una vera chicca molto ben conservata, l'unica attiva in Armenia.

Il GUM

Case sovietiche
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7 -  Kazbegi

venerdì 6 settembre 2024

Caucaso 20 - Ultimo saluto alla Georgia

I due fiumi di Mtsketa - Georgia - maggio 2024


Monastero di Jvari
Con lo stomaco a posto, ma era più un appagamento della gola che altro, ci possiamo rimettere in marcia, lasciando Mtsketa per risalire, dopo aver attraversato l'Aragvi, sulla collina che ci sta alle spalle per riuscire a raggiungere il piccolo monastero che ne costituisce il culmine. Si tratta del complesso monastico di Jvari sorto quassù nel IV secolo, sulle rovine di una croce sacra eretta, tanto per cambiare da Santa Nino, che in Georgia ha fatto un po' tutto a quanto pare, per quanto riguarda gli albori e la diffusione del cristianesimo. L'interesse della costruzione è soprattutto data dalla splendida posizione dalla quale puoi dominare tutta la valle con la congiunzione dei due fiumi, posto che il vento non ti porti via e dal suo valore architettonico, visto che si tratta di una delle prime costruzioni cosiddette a tetraconch, cioè con quattro absidi uguali nelle quattro direzioni che inscrivono la classica croce greca. Una tipologia piuttosto comune nel disegno bizantino delle chiese di questa area, ma che ad esempio era stata prevista anche dal Bramante, nel primo progetto del 1503, della basilica di San Pietro a Roma. La strada per arrivare è tortuosa ma infine si giunge all'ampio parcheggio. Da qui prendendo il sentiero per salire alla chiesa al riparo di un muracciolo di pietre, devi tenerti con una certa attenzione perché effettivamente, anche se previsto, si è levato un vento che si fa fatica a stare in piedi. 

Un'abside
Icone a Jvari
L'esterno è più semplice e severo di altre analoghe costruzioni, tuttavia non si possono non apprezzare i bei bassorilievi sulle pareti esterne e sopra i portali. L'interno è ancora più semplice e modesto. Qualche fedele è raccolto in preghiera davanti alle icone esposte attorno; si respira il silenzio compunto e solitario dei santuari di montagna. Ma il vero spettacolo è all'esterno. Sulla balconata sotto gli archi di pietra che si affaccia sulla valle, infatti, la vista è magnifica, i bordi delle colline sembrano dipinti di un verde intenso e scendono ripidi verso i nastri d'argento dei due fiumi che con ampie curve convergono verso la città, congiungendosi proprio ai suoi margini. Lontana, ma ancora ben visibile, l'altra chiesa che abbiamo appena lasciato, appare come racchiusa all'interno del suo muro di cinta, come volesse rimarcare la sua capacità di difesa dagli attacchi degli infedeli. Insomma staresti a lungo quassù, ma come ho detto, il problema è riuscire, pur reggendosi ben forte alla balconata di ferro che ti protegge dallo strapiombo sottostante, a non farsi portar via dalle folate rabbiose di un vento che qui pare essere costante fissa. Alla fine devi desistere e tenendosi ben stretto il cappello in testa, torniamo alla macchina, tuttavia contenti delle immagini immagazzinate con gli occhi. 

Così possiamo dirigerci con tutta tranquillità verso la stazione di Tbilisi dove arriviamo verso le 18, visto che alla 20 ci attende il treno che ci porterà ad Yerevan. Il nostro Sarkisjan ci lascia proprio davanti, augurandoci ogni bene e buon viaggio verso quella che rimane sempre la sua terra e noi, dopo aver varcato la soglia del gigantesco edificio, sovietico in ogni sua espressione, andiamo fino all'ultimo piano per attrezzarci ad attendere il momento della partenza. La stazione è il classico palazzone che dopo la caduta dell'impero ha avuto tutti gli spazi invasi da ogni tipologia di attività commerciale, dai venditori di generi di consumo alimentare per i partenti, ai prodotti più vari che possano procurare business ad ogni costo, inclusi i cambisti, dato che la moneta di qua la devi mollare in qualche modo, visto che al di là del confine più nessuno la vuole più. Quindi, prima necessità, quella di andare a liberarci dei Lari rimasti, cosa che a tutta prima doveva essere facilissima, ma dopo il terzo tentativo da altrettanti bugigattoli, uno, presidiato da un donnone avvolta in un fazzolettone colorato, che si dichiara chiusa, il secondo che non ha Euro, poi nemmeno Dollari, il terzo che dice che sono troppo pochi per essere cambiati, comincia a presentarsi complicata. 

Esterno

Con Gianluca decidiamo allora di fare un salto nel mercatone antistante, dove eravamo già stati il primo giorno e dove sembra ci siano banchetti più professionali. Alla fine ne troviamo uno che mette mano ai dollari, ma che, dal numero di volte che conta e riconta i soldi, che tira fuori dal cassetto le banconote, poi le rimette via, infine smanetta su una vecchia calcolatrice cinese, capiamo che con la matematica anche dei numeri e delle operazioni semplici, ha dei problemi. Alla fine riusciamo a farci dare i nostri verdoni e ce ne andiamo in cerca di cibo per aggiustare la cena. Ma ecco il vecchio che ci rincorre perché sembra abbia sbagliato i conti. Si rifà tutta la strada per tornare al suo bugigattolo, lui ritira fuori la calcolatrice e alla fine risulta che i conti erano giusti e che evidentemente quello del cambista non deve essere il suo mestiere. Torniamo alla stazione e ci compriamo un paio di khachapuri per riempire lo stomaco risalendo all'ultimo piano dove però, dopo poco veniamo cacciati via perché il bar chiude capirà, sono quasi le sette e mezza. Con lo stomaco a posto, ma era decisamente più un appagamento della gola che altro, cerchiamo di raggiungere il nostro treno, che dovrebbe essere l'unico che parte a quest'ora, quindi con scarse possibilità di non trovarlo. Ma l'impresa anche qui si rivela più complessa del previsto. 

Una porta

In un posto, che poi dovrebbe essere il tabellone delle partenze, quello insomma deputato a indicare da dove partono i treni, ma secondo una vecchia abitudine sovietica alla quale ero a suo tempo abituato, non è detto, è segnalato al binario 3, ma, come dicevo, non è sicuro. Gli addetti della stazione, posto che lo siano, sono vaghi al riguardo e danno indicazioni contradditorie. Andiamo dunque al 3 sgobbandoci le valigia per rampe di scale ripidissime, visto che gli ascensori sono guasti e le scale mobili anche, ma qui non si vede nessun treno, che poi dovrebbe essere qui da tempo visto che dovrebbe partire tra un quarto d'ora. Seguendo le indicazioni di altri disperati come noi, che corrono di qua e di là senza una meta precisa e con i quali cerchiamo di scambiare informazioni sempre vaghe e probabilistiche, vediamo che, ben nascosto al binario 5, un treno c'è e visto che non se ne vedono altri, rifacciamo le scale a ritroso su e giù per raggiungerlo velocemente. Qualcuno assicura che si tratta del nostro, ma non è poi così certo. Cerchiamo disperatamente qualcuno con un aspetto da ferroviere, sul treno stesso o nei dintorni del medesimo o quantomeno dalla cosiddetta dejurnaja, la capavagone che nel periodo sovietico, in ogni treno dell'URSS, presidiava come un cerbero inflessibile il proprio vagone distribuendo i passeggeri con ordine inflessibile e militaresco. 

Icona

Deve certo esserci da qualche parte. Alla fine un tizio compare e anche se non presenta alcun tipo di divisa, sembra svolgere questa funzione e da alcuni suoi grugniti, anche se non troppo convinti, desumiamo essere sul nostro convoglio. Robe da matti una dejurnaja maschio non si è mai vista, ma i tempi cambiano anche qui. Seguendo le indicazioni stampigliate sui biglietti, stavolta non ci sono dubbi, individuiamo vagone e scompartimento, dove finalmente ci stravacchiamo tranquilli e pronti alla partenza verso il confine. In realtà era più semplice di quanto sembrava, anche perché quello era l'unico treno presente in stazione, ma si sa che quando sei timoroso di sbagliare, l'agitazione la fa da padrone. Il treno mi sembra rimasto molto simile a quello dei miei vecchi tempi andati, quando traversavo l'URSS in lungo ed in largo con la mia valigetta dei contratti, piena di dépliant e di campioni. Anche allora l'amico Gianni prenotava sempre lo scompartimento cosiddetto Coupé, tale e quale a questo, nel quale ci si barricava dentro per la notte insaccati nelle tute da viaggio, per rivestirci poi il mattino dopo, rassettati alla meglio prima di arrivare in stazione. Però allora la dejurnaja di turno, quantomeno ti portava a richiesta, dei bei bicchieroni di thè, sostenuti da eleganti porta bicchieri di metallo e sottobicchieri di maiolica, forse come ai tempi degli zar, così almeno mi raccontava Eugenio. 

Fregio esterno a Jvari

All'inizio, nei bei tempi andati, addirittura ti chiedeva se lo volevi indiskji o kitaiskji (indiano o cinese), poi, capito che si era italiani, cercava di attaccare bottone raccontando di suoi ipotetici fidanzati italiani perduti nella notte dei tempi. Se ne andavano con occhi sognanti, sbattendo le ridondanti terga che sballonzolavano lungo le pareti del corridoio al ritmo del tutùn tutùn delle ruote del treno sulle rotaie. Adesso vedo che c'è solamente un grande bollitore per l'acqua calda in fondo al corridoio, davanti alle latrine e se vuoi il thè te lo devi portare da casa. In compenso vengono distribuite lenzuola e coperte, così ci predisponiamo per la notte, anche se dopo la partenza, prima di abbandonarsi a Morfeo,  conviene aspettare di arrivare alla dogana per sbrigare le pratiche necessarie. Infatti verso le 10:30 ci si ferma in piena campagna e ci fanno scendere davanti ad un gabbiotto dove in fila per uno ci appongono il timbro di uscita. Sbrigano un vagone per volta, noi siamo sull'ultimo. Davanti al portello di ogni vagone, un miliziano con un cane controlla chi sale e chi scende, non si sa mai. Riprendiamo il viaggio e dopo una mezz'oretta ecco che salgono gli Armeni, molto più scherzosi e rilassati all'apparenza, che appongono il timbro di entrata appoggiandosi al vetro. Infine scendono e si spengono le luci. 

Scompartimento coupé

Possiamo tentare di dormire. Io non riesco mai a dormire fuori da un letto vero, così mi lascio cullare dal dondolio del treno che percorre lento la piana infinita di questa Asia, ponte tra due mondi. Le ore passano in un dormiveglia tutto sommato dolce e denso di aspettative; è questo il viaggio, un lasciarsi andare lungo la via che ti porta da qualche parte, che di conduce all'altrove incognito, che non solo non ti spaventa, ma sempre ti incuriosisce. Così trascorrono le ore, quando poi il sopore passa e finisci con lo svegliarti completamente, non puoi fare altro che, seguendo il dondolarsi del convoglio, alzare la tendina esterna visto che ormai sono le sei ed è già chiaro e buttare fuori un occhio. E' così che la prima immagine che ti coglie è talmente inattesa da farti rimanere senza fiato, stupito del tuo essere lì a goderti quel privilegio. Sul fondo della pianura, il gigantesco cono bianco di neve del monte Ararat, dalle pareti che disegnano un asintoto perfetto con la pianura che si perde all'orizzonte, si staglia netto, con la piccola anticima più bassa al suo fianco, per formare una cartolina perfetta e stupefacente per quanto inattesa. Nulla all'intorno, ai suoi fianchi, davanti, vicino. Solo questo gigante solitario che domina l'orizzonte con il suo carico di storie e di leggende. Un luogo iconico che racchiude in sé misteri e bellezza assoluta. Quasi quasi ti passa di mente anche la voglia di fare colazione.

Ararat

SURVIVAL KIT

Dalla Georgia all'Armenia - Il mezzo più comodo è il treno notturno che va da Tbilisi a Yerevan in circa 11 ore, con partenza dalla stazione centrale di Tbilisi alle 20:00 (dal binario 5). Si arriva alle 7:00. Non c'è tutti ii giorni per cui informatevi prima di organizzarvi l'itinerario. Il biglietto costa molto poco per il vagone comune. Nello scompartimento Coupé da 4 letti sui 30 €. C'è anche una cosiddetta I classe con scompartimento a due letti sui 45 €. Vengono distribuite lenzuola e coperte sigillate, ma dovrete portarvi i viveri. Verso le 11 si arriva in frontiera e le operazioni, molto semplici, vengono sbrigate in pochi minuti. (Si scende sul lato georgiano, mentre sul lato armeno salgono i doganieri direttamente).

Fedele



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7 -  Kazbegi

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