Ed eccoci ad un altro libro del suddetto giallista islandese di cui vi ho parlato ieri. La solfa è sempre la stessa, atmosfere cupe e sole avaro della sua presenza, freddo, neve, alcool e depressione. Tuttavia devo dire che se siete stati in quei luoghi, ovviamente l'effetto del ricordo vi renderà più affascinante la lettura, sull'onda dei ricordi e considerando anche il fatto che quelli sono, naturalisticamente i più interessanti dell'intera Europa, a mio parere naturalmente. Un altro punto da sottolineare è che la prosa del nostro Ragnar è piuttosto stringata e non si perde in fronzoli, quasi volesse dirti: a me interessa solamente la vicenda nuda e cruda e voglio portarti alla fine del mio racconto senza farti perdere troppo tempo. In effetti, anche se tutto questo non contribuisce certo a rendere l'opera indimenticabile dal punto di vista letterario, le 250 paginette scritte grosse, ti permettono di chiudere la pratica velocemente e così se sei soprattutto interessato a vedere come va a finire, non ci metti molto.
Dunque, mentre il precedente si svolgeva nell'atmosfera aovattata e crepuscolare di Sigulfiordur, un fiordo sperduto ed isolato nell'estremo nord dell'isola non lontano da Akureiri, questa volta la vicenda si svolge vicino a Reykjavik e nella desolata penisola di Reykjanes poco lontana. Questa volta la protagonista è Hulda, una ispettrice a pochi mesi dalla pensione, sempre snobbata ai piani alti perché donna, sola e naturalmente preda di problematiche psicologiche, di delusioni lavorative e guarda caso di inconfessati segreti familiari, che viene forzata a lasciare il servizio a favore di giovani raccomandati e naturalmente incapacissimi colleghi. Tanto per tenerla buona le viene affidato un ultimo caso a sua scelta, il classico cold case che giace in fondo alla pila di scartoffie. Così, attraverso la consueta serie di trovate si arriva alla conclusione e devo dire che l'unica nota assolutamente interessante è che il colpo di scena finale è decisamente inatteso e merita i 5 euro spesi.
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