Visualizzazione post con etichetta letteratura cinese. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta letteratura cinese. Mostra tutti i post

venerdì 20 settembre 2024

Recensione: WenYan Lu - La donna che piangeva ai funerali


 Sono sempre molto interessato alla letteratura proveniente da altri paesi, sia che si tratti di classici, sia che mi vengano proposti scrittori di oggi. Questo lavoro, romanzo di esordio di una scrittrice cinese (che scrive però in inglese) è davvero interessante, specialmente per la ricerca del racconto che rappresenta moltissimo, almeno per quanto io conosca quel paese, della vita, delle abitudini, del modo di pensare di quel popolo, specialmente di coloro che hanno vissuto il passaggio da Mao alla situazione attuale, nella Cina profonda, quella dei villaggi che ha potuto solo marginalmente profittare dei grandi cambiamenti e dei miglioramenti di vita di quel paese. Queste persone hanno vissuto l'esperienza della vita delle comuni maoiste a quelle del grande boom attuale, del quale hanno accettato ovviamente i vantaggi positivi, ma non mostrano affatto, astio verso un passato giudicato, nelle sfumature, perché questo aspetto non viene approfondito, non poi così negativamente. Ci ho ritrovato molte delle sensazioni che mi era parso di comprendere durante i miei periodi di permanenza laggiù. La estrema pruderie che non consente né di parlare e neppure di pensare a certe cose, men che mai avvicinarsi all'argomento sesso, quanto poi nella realtà, praticare anche con una certa disinibizione e libertà anche nei giudizi a riguardo. 

Il libro racconta la storia di  una donna di un villaggio, trovatasi per caso ad esercitare il mestiere di prefica che piange a pagamento ai funerali, figura evidentemente molto richiesta anche oggi. Il suo mestiere la mette di fronte alla conoscenza di molti piccoli e grandi segreti che ascolta durante i funerali, visto che tutti hanno la disposizione di confidarsi con questa figura anomala e sempre a contatto con la morte. La condizione mortale, è questa l'idea che aleggia continuamente nei pensieri e nelle cose per tutto il romanzo e per tutta la vita di questa donna, al pari dell'amore, sentimento, al contrario del sesso, essendo sposata regolarmente, a lei tecnicamente sconosciuto e su cui si fa continuamente domande destinate a rimanere senza risposta, in una vita che scorre noiosamente nel paesino, condizionata soprattutto dai doveri, verso la famiglia, il marito, i genitori, la figlia, essendo lei come essere umano e soprattutto come donna, in fondo alla scala dei valori e delle considerazioni dovute. Tanto per capirci ribadisce che per giudicare un marito una brava persona, è sufficiente che non picchi la moglie, almeno non troppo. Davvero un libro interessante e di piacevole lettura, che vi consiglio se vi interessa almeno sfiorare il modo di pensare di questa altra parte di mondo.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

lunedì 4 luglio 2016

Cigni selvatici – Jung Chang 1991

Risultati immagini per Cigni selvatici – Jung Chang 1991



Un libro di grandissimo interesse, non certo per il suo valore letterario, aspetto in cui mi è parso piuttosto debole e immeritevole della notevole fama avuta, con milioni di copie vendute e innumerevoli traduzioni, ma piuttosto perché illustra con grande dovizia di particolari tutta la storia complicata e poco conosciuta della Cina del secolo scorso, fino all’esplosione economica degli ultimi trenta anni. L’autrice racconta le vicende personali della sua famiglia fin dall’inizio del novecento con la caduta dell’impero. I tre personaggi chiave della storia, nonna, madre e lei stessa con le loro stesse tristissime vicende tormentate e spesso angoscianti, sono protagoniste importanti della storia violenta di questo paese che ha vissuto un secolo davvero terribile, di guerre, povertà, massacri e violenze inaudite. Naturalmente lo stato di transfuga da un mondo chiuso ed impenetrabile quale era la Cina degli anni settanta, che stava appena uscendo dal Maoismo più crudo, influenza profondamente i giudizi dell’autrice, certamente condizionati anche dalle situazioni estreme che lei e la sua famiglia, come milioni di altri cinesi hanno dovuto subire. Depurando il racconto dai toni spesso esageratamente idillici o catastrofici, per cui ogni personaggio che si incontra è cattivissimo o buonissimo, ogni paesaggio è di una bellezza esagerata o di uno squallore senza fine, si apprezzeranno senza dubbio le situazioni particolari, alcune davvero gustose che riescono a raccontare la vita di tutti i giorni di un popolo che ha subito davvero molto dalla storia in un periodo nel quale quel mondo era da noi assolutamente sconosciuto e spesso mitizzato, proprio stravolgendo la portata di quegli orribili difetti che ogni tipo di totalitarismo porta con sé inevitabilmente. Un mondo in parte scomparso e oggi inavvertibile per chi viaggia in quel paese, ma che è assolutamente bene conoscere e ricordare.

Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

martedì 24 settembre 2013

Recensioni: Lin Yu Tang - L'importanza di vivere.

Con questo si conclude la carrellata sulle letture estive. Come vi avevo preannunciato, dato che l'ho ritrovato, ho voluto mettere alla prova del tempo questo saggio epocale che in Italia tra i '50 e i '60 ebbe un successo straordinario. In realtà, L'importanza di vivere (seguito poco dopo da L'importanza di capire) è uscito in America nel 1937, quando non si sapeva ancora chi era Mao e si sentivano soltanto i prodromi della guerra che stava per arrivare ed è quindi di per sé interessante leggere questo saggio, in cui si hanno soltanto i sentori della tempesta che sta per cambiare il mondo. Il libro ebbe, come ho detto un enorme successo. Ai miei tempi lo leggevamo tutti e ne eravamo molto toccati. Ti apriva uno squarcio su un mondo nuovo, lontano e davvero diverso da quello che eravamo abituati a leggere e sicuramente mi deve avere influenzato parecchio. Un vero e proprio trattato di filosofia che attinge a piene mani dai testi classici cinesi dai quali trae molti brani e citazioni. Un libro sull'ottimismo, che, sulla traccia epicurea della nostra filosofia classica, pone come traguardo la ricerca della felicità, visto tra l'altro, che come impone la costituzione americana, ognuno ne ha insindacabilmente diritto e l'autore è sì cinese, ma decisamente anche americano come mentalità, avendo lì vissuto tutta la seconda parte della sua vita. Felicità che va ricercata in ogni aspetto della vita. Dal piacere che può dare l'arte, lo studio, l'amore, il viaggiare, il godere della natura, della casa, della capacità di pensare come di quella di poter fumare la pipa. O semplicemente di essere vestiti comodi. 

Deliziosa la parte con cui spiega come sia incredibile per un orientale giustificare l'uso del colletto o delle costrizioni della cintura e del gilet. Sul lavoro poi è lapidario, bisogna lavorare il meno possibile e soprattutto mai vivere per lavorare. Qui prende una cantonata clamorosa, prevedendo che la scienza e la tecnica libereranno sempre di più l'uomo da questa maledizione, lasciandogli sempre maggiore tempo libero. Chissà cosa direbbe oggi, dovendo constatare che i giovani invece sono costretti a lavorare sempre di più, compensati sempre di meno. Tuttavia il suo elogio dell'ozio è davvero godibile, così come la descrizione del piacere di prendere il thé con gli amici, niente di più lontano dal formalismo della cerimonia giapponese. Diciamo che rimane un libro molto interessante, al punto che ho deciso di trattenerlo qui sulla scrivania per cavarne di tanto in tanto spunto per qualche post sulla filosofia orientale, che comunque conferma un assioma fondamentale, per fare i filosofi con profitto, sia che si sia nati in Oriente che a Roma o nell'antica Grecia, bisogna avere un buon numero di schiavi o servi, chiamateli come volete, che lavorino al posto vostro lasciandovi il tempo e il piacere di filosofare e al fine godervi la vita. Mi sembra comunque che sia giusto sottolineare che per Lin Yu Tang, convincente filosofo, anche se deludente invece come romanziere, come ho avuto modo di sottolineare, il senso della vita e quindi l'importanza di vivere stia tutto nella capacità di apprezzare la vita stessa in ogni suo aspetto e condizione, che è già un buon punto di partenza e su cui alla fine concordo.

Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

sabato 14 settembre 2013

Recensione: Lin Yu Tang - Juniper Loa

Lin Yu Tang è stato notissimo, in Italia, negli anni ’60, quando un suo saggio filosofico L’importanza di vivere, spopolò nella nostra generazione quasi come Il giovane Holden. Tutti lo leggevamo e ne eravamo affascinati e può essere che il mio interesse per l’oriente e la sua cultura sia venuto anche da lì. Saggista prolifico, fece conoscere la Cina e la sua cultura in un periodo in cui le sirene maoiste imperversavano e questa voce discordante era di certo di grande interesse. Mi è capitato in mano questo  suo lavoro, tutt’affatto diverso dalle sue opere saggistiche più conosciute. Si tratta infatti di un romanzo che racconta una lacrimosa e romantica storia, il cui tema centrale sono le vicende di una famiglia cinese trapiantata a Singapore nel periodo della guerra civile dei primi decenni del secolo scorso. Pieno di note autobiografiche, l’autore infatti visse a Singapore per diversi anni, direi che il romanzo è una vera delusione, una vicenda alla Harmony, fumettosa e stereotipata che davvero non aggiunge niente al lavoro del filosofo. Comunque dato che sono passati 50 anni, nei prossimi giorni voglio riprendere in mano quel volume famoso e vedere cosa mi suggerisce dopo tanto tempo. Vi farò sapere, per intanto per questo Juniper Loa, direi che potete lasciar perdere.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

lunedì 26 agosto 2013

Recensioni: Mo Yan- Le sei reincarnazioni di Ximen Nao

Mo Yan, specialmente dopo il conferimento del Nobel nel 2012, è stato spesso criticato, specialmente in Cina, per non avere preso una posizione critica netta nei confronti del regime. Chi afferma queste cose, ha probabilmente letto con superficialità le sue opere. Questo magnifico libro ne è l'esempio. Nel 1950 un proprietario terriero viene giustiziato per crimini contro il popolo. Ritenendo di aver subito una grossa ingiustizia, lui che si ritiene uomo probo e onesto ottiene dal re degli inferi di reincarnarsi per chiedere giustizia. Ma Yama gli gioca un brutto scherzo. Si dovrà reincarnare per almeno 5 volte in veste di animali diversi, un asino, un maiale, un toro, un cane e una scimmia, prima di stemperare il suo odio e la sua animosità e potersi finalmente reincarnare di nuovo nei panni di un uomo. Così la storia degli animali ripercorre 50 anni di vita politica cinese nelle campagne, dall'epoca delle comuni alle guardie rosse, alla morte di Mao e al seguente esplodere dello sviluppo economico così diverso dagli inizi della rivoluzione. Una storia descritta con un sarcasmo ed una raffinatezza smagliante, vista dagli occhi degli animali che via via si succedono. 

Una grande saga familiare dove si seguono i personaggi fino alla loro tragica fine. Ma il romanzo non si legge soltanto come una intricata e splendida storia, condita da tutte le  frecciate ad un mondo così particolare come quello del comunismo cinese, pur descritto con l'affetto di chi ha vissuto anche la sua parte eroica e di ingenue convinzioni, assieme ai suoi aspetti più duri e pesanti. Infatti la critica pungente scorre anche nella fase successiva dei nuovi ricchi, che hanno sostituito i vecchi poteri con  i nuovi e spesso niente affatto migliori. Lo stile è poi davvero interessante. Segue infatti i canoni della vecchia letteratura cinese con i capitoli scanditi dalle indicazioni delle gesta dei personaggi. Pare di leggere Il sogno della camera rossa in tutto e per tutto. Sarebbe davvero bello conoscere a sufficienza la lingua per poter leggere l'originale e confrontarlo con questo testo classico a cui certamente si ispira. Non manca, oltre alla davvero fantastica visone onirica del racconto, una continua autoironia, con i continui riferimenti a se stesso, personaggio anch'egli del racconto, dipinto come un tipo insopportabile a cui non bisogna dar credito essendo uno spassionato contafrottole. Davvero consigliabile per avere uno spaccato non consueto della moderna letteratura cinese.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

venerdì 31 agosto 2012

Recensione: Lu Hsun - Fuga sulla luna.

Volume molto interessante per coloro che vogliono approfondire la conoscenza del Paese di Mezzo. In questo caso il nostro autore, che ha scritto molto nei primi anni del secolo scorso, ha vissuto uno dei periodi più travagliati ed interessanti della Cina, quello della caduta dell'impero e della nascita dei fremiti socialisti e prerivoluzionari che attraversavano il paese, sull'onda dello sconvolgimento russo. E' una raccolta di racconti scritti negli anni 20, che ci raccontano di una Cina di paese, dove arrivano ovattati gli stimoli delle novità occidentali a turbare la stabilità confuciana radicata da millenni. Le figure tratteggiate, il pazzo, il mendicante, lo scemo del villaggio, il ricco prepotente e il giovane rivoluzionario, raccontano le loro vicende personali, ma sullo sfondo dominano le etichette cinesi di sempre: il terribile esame per diventare funzionario imperiale, il detto non detto a cui si deve fare riferimento per non turbare l'armonia, gli scoppi di violenza che di tanto in tanto percorrono la società cinese nelle rivolte contro il potere e la sopraffazione dei piccoli potentati locali, la crudeltà assoluta che spesso appare a noi gratuita e priva di sentimento, l'importanza del non turbare l'armonico andamento delle cose, anche a scapito della giustizia; tutte costanti ben riconoscibili anche nella Cina di oggi e molto utili per capire la mentalità di un paese. 

Il tutto è sempre condito dalla poetica tipica orientale, dove si deve immaginare e dove la natura colora e rappresenta i sentimenti. Certamente qua e là traspaiono anche le vicende personali dell'autore, figura discussa durante il periodo, in cui i letterati partecipavano prepotentemente alla discussione politica che andava formandosi, con la forte influenza russa e che condusse infine alla rivoluzione maoista. Non mancano i riferimenti alla cultura giapponese che al pari di quella russa influenzava in quel periodo l'intellighenzia cinese. L'attenzione dell'autore viene sempre riposta sull'aspetto popolare, dando rilevanza all'uomo e alle sue sfaccettature, alla tradizione, ma anche alle idee nuove che vorrebbero, come in tutti i movimenti dell'epoca, portare alla costruzione di un uomo nuovo, cosa ancora più difficile in un paese dove è totalmente sconosciuto il concetto di democrazia, ma ben radicato invece quello di dovere, di rispetto verso l'autorità. Lasciatevi tentare da questo raccontare piano, che si sofferma sui piccoli particolari all'apparenza insignificanti, conditi sempre da un finale delicato, mentre le storie si formano nei cortili degli hutong di Pechino o nelle vie polverose della campagna povera dove breve è il confine tra l'agiatezza, fatta del possedere quanto serve alla vita quotidiana e la povertà, che significa disperazione e spesso morte. Per chi vuole cercare di capire la Cina.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

lunedì 15 febbraio 2010

Dan Brown - Il simbolo perduto.

Mi sono preso un week end di pausa, perchè lavorare stanca e anche la mente ha bisogno di riposo, soprattutto se già naturalmente è portata all'otium. Una parentesi temporale da impiegare respirando semplicemente l'aria fine dell'alta quota, come propone il Buddha e godendo del sole forte che filtra tra i pini coperti di neve oppure spendendone una gran parte per leggere qualche cosa. Sciaguratamente, ho optato per questa seconda ipotesi, impiegando così sette od otto ore della mia vita che avrebbero potuto/dovuto essere meglio spese. E' un po' l'irritazione che ti prende quando ti vuoi far del male con le tue mani, quando sai già che una cosa ti fa venir mal di testa eppure la mangi/bevi lo stesso; in particolare per me che non riesco a trovare il tempo per leggere più di una quindicina di libri all'anno (per forza che poi siamo un paese di ignoranti, direte voi) e poi vado a spendere una delle opzioni in questo bidone, pure costoso. Ciò detto bisogna pur che dica due parole per esaminare il caso in questione, per mettervi in guardia, per lo meno la cosa non sarà stata completamente vana. Va bene, non sono così ingenuo da non sapere che cosa avrei trovato. Il buon Dan, avendo trovato per puro caso, dando casuali calci alle pietre, una enorme pepita d'oro, non può fare a meno di continuare ad approfittarne, però da uno scrittore ci si aspetterebbe qualcosa di più che scrivere per la quinta volta lo stesso libro. Il fatto è che Brown più che uno scrittore, è uno che scrive libri come mestiere, come quei mestieranti della penna che dovevano buttare giù un giallo ogni quindici giorni, un romanzo d'appendice per solleticare i palati spessi dei lettori dei giornali della domenica, dei seriali di bassa qualità just in time, cotti e mangiati. Se esaminiamo l'oggetto con un minimo di attenzione, emerge prepotentemente la scarsissima qualità letteraria del testo. Diciamola tutta, come già i precedenti, Il simbolo perduto, è proprio scritto male, raffazzonato e confusionario, forzato in ogni sua parte, con i caratteri improbabili tirati via grossolanamente e pieno di svarioni e di topiche proprie di chi deve consegnare il lavoro entro mezzanotte e non ha neanche il tempo di rileggere. Il fatto che, come sembra, sia addirittura stato tradotto da più mani per fare più in fretta, la dice tutta sulla qualità dell'operazione. Non ci sono errori di ortografia proprio, forse perchè esiste il correttore automatico. Uno che vuol fare un libro basato su riferimenti storici e geografici reali e che dichiara di avere persino un consulente alla bisogna (ma cosa lo paga a fare?), confonde addirittura l'Odissea con l'Iliade e il fatto che non ci sia neanche stato il tempo di correggere lo svarione (perchè qualcuno glielo avrà sicuramente fatto notare dopo l'uscita del lavoro originale) la dice tutta sulla necessità di dare in pasto alle fiere il prodotto, senza stare a preoccuparsi dei dettagli. Altro che limare l'opera! Mi direte che per l'uomo medio americano ciò che riguarda la cultura del vecchio continente è un dettaglio trascurabile, sarà così ma anche per un mestierante, le topiche più grosse dovrebbero avere un minimo di importanza. Infine, più che nei precedenti, il nostro dimostra di non saper trovare un finale decente, sprecando un ulteriore centinaio di pagine per avvoltolarsi su sé stesso senza sapere dove andare a parare. Sento già una voce che mi dice: - Ma allora, disgraziato, perchè lo hai comprato se già sapevi cosa ti aspettava, perchè non lo hai buttato dopo le prime pagine, perchè hai voluto bere fino in fondo l'amaro calice? Sei di quelli che una volta entrati, vogliono comunque vedere il film fino alla fine per non perdere i soldi del biglietto?- Il problema è che il meccanismo perverso di questi prodotti (avrete notato che non riesco proprio a chiamarlo libro) è costruito in modo che quando attacchi, non riesci a staccartene fino a quando non sei arrivato al termine. E' la maledizione dell'adesso voglio vedere come va a finire, che ti fa continuare rovistando fino alle ultime pagine e crogiuolandoti nell'abisso della tua stessa viziosità. Forse funziona così con le droghe, sai che è una porcheria che ti farà male, ma non riesci a staccartene finchè ne hai a disposizione ancora una pista. L'operazione è certo tutta calibrata al fine di fare più soldi possibile. La stesura è tipica delle sceneggiature cinematografiche degli attuali film di azione, per non perdere tempo quando servirà. Capitoli brevissimi che terminano sempre con una sopensione, che invoglia a vedere cosa succede dopo. Cambi di scena alternati per dare movimento alle inquadrature e per aumentare un po' il debolissimo interesse alla solita caccia la tesoro, condita da esplosioni, fuoco e fiamme e salvataggi dell'ultimo secondo, di cui pare che gli sceneggiatori americani non riescano a fare a meno, che vuol tenere alta la tensione fino all'acme delle rivelazioni finali, la cui banalità lascia davvero sconcertati. Però in questo modo, alla fine ci arrivi e il libro non lo posi prima dell'ultima inutile pagina, il grano lo hai tirato fuori e sono tutti contenti. Amen.

sabato 2 gennaio 2010

Hóng lóu mèng.


Ieri ho finito Hóng lóu mèng, Il sogno della camera rossa, uno dei più famosi classici cinesi della fine del settecento. Il romanzo di Zhao Xue Chin, ambientato nel periodo d’oro della dinastia Chi, rappresenta una bella sfida per il lettore occidentale, anzi diciamo pure che ci vuole un bel fegato ad affrontare fino alla fine le oltre mille pagine di questo affresco di vita di corte cinese, senza crollare, massacrati da un modo di raccontare tuttaffatto diverso da quello a cui siamo abituati. Un continuo affastellarsi di avvenimenti, un raccontare dettagli che ci possono apparire secondari o non determinanti nello svolgersi della storia. Eppure se si riesce a resistere, seguendo la vita del giovane Pao-yu, il rampollo di una importante famiglia di nobili, destinato al classico cursus honorum per diventare funzionario alla corte dell’imperatore, che si dipana lentamente negli splendidi giardini di certo molto simili a quelli che si possono vedere ancora oggi in Cina, apparirà uno stupendo affresco di vita, che permette di afferrare completamente moltissimi aspetti della mentalità, del costume, del modo di esprimersi, di tutte le infinite sfumature di comportamento di un mondo di cui spesso si conosce assai poco e ancor peggio si interpreta sulla base di notizie approssimative. La vicenda si può interpretare come quella di un giovane Holden d’Oriente, ribelle al destino che lo attende, al modo di comportamento che da lui ci si aspetta, secondo una serie di topoi, tutto sommato comuni a tutte le culture. L’adolescente cresce in mezzo ad un gran numero di sorelle e cugine, vivendo praticamente un mondo femminile, appunto “la camera rossa” e rifiutando di applicarsi allo studio seriamente come da lui si vuole, innamorandosi, ricambiato, della ragazza non destinata a lui, la bellissima cugina Tai-yu e obbligato a sposare quella che non lo interessa. Dopo l’amore impossibile, la morte di consunzione dell’innamorata, il rifiuto dell’autorità e degli obblighi a cui era destinato, Pao-yu si farà monaco e la casata, scossa da scandali e minata dalla corruzione cadrà definitivamente in rovina. Sembra una classica trama di un nostro romanzone ottocentesco, poniamo, tanto per dire, I Vicerè, ma è il ritmo particolare, la descrizione minuziosa degli ambienti, i dialoghi che illuminano meravigliosamente le sfumature del linguaggio, la pruderie che ancora oggi impediscono anche la pronuncia di semplici allusioni, come il gioco delle nuvole e della pioggia, pena una imperdonabile volgarità o il barocchismo esasperato delle formule di cortesia e degli atteggiamenti, che riescono ad affascinare il lettore nostrano. Atteggiamenti descritti, modi di fare, mentalità di quasi tre secoli fa eppure molto presenti oggi in un paese che si sta candidando alla leadership mondiale e verso la quale molti hanno ancora un atteggiamento di tragica supponenza. Io ho avuto tra le mani una deliziosa edizione UTET del ’64, che mi ha regalato un caro amico e se decidete di dargli un’occhiata, cercate di resistere fino alla fine, secondo me, si capisce di più della Cina da questo libro che non da molta documentaristica spicciola che circola. Mal che vada farete sempre una gran figura da intellettuali, citando l’opera.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!