martedì 31 luglio 2018

Etiopia 38 - Le cascate del Nilo Azzurro


Le cascate del Nilo Azzurro

Lavori agricoli
Placati i sommovimenti interiori, che fossero dovuti alla mistica della preghiera o piuttosto alla colazione abbondante e ai vari succhi di frutta fresca, di guava e di mango, a cui non avevo saputo rinunciare, riattraversiamo la calma superficie del lago in pace con noi stessi e, riguadagnata la riva, troviamo la nostra macchina in attesa, con un Lalo raggomitolato sul suo sedile. Purtroppo il dispensario dove era andato a farsi vedere, aveva una fila di pazienti in attesa di molte ore e ha deciso di rimandare l'accertamento a Gondar dove arriveremo  questa sera e dove pare conosca  un dottore. Intanto ci aspetta la seconda attrazione della zona. Ma le cose bisogna guadagnarsele e la strada per arrivare alle cascate del Nilo Azzurro, è una pista larga sì, ma estremamente accidentata e per percorrere la trentina di chilometri che ci separano da Bahar Dar bisogna calcolare un'oretta di salti e sobbalzi, masticando la polvere delle varie carrette e minibus che la percorrono trasportando umanità varia nei vari villaggi posti ai lati della strada. La zona è piuttosto popolosa e la vicinanza dell'acqua produce anche una agricoltura abbastanza sviluppata. Ad ogni gruppo di case, c'è sempre un  piccolo mercato con un assembramento di mezzi vari, inclusi carretti e traini animali, carichi di derrate varie, dal fieno alla paglia, ai sacchi di cereali, che prendono poi la via delle campagne o dei mercati della città più grande. 

Ponte portoghese
Il nostro passaggio è comunque sempre oggetto di attenzione, in fondo qui il turista, sebbene presente, è merce ancora rara e fonte di una minima curiosità. Arrivati all'ingresso del parco, c'è però un drappello di personaggi in attesa che, sebbene regolamentati, cercano di spartirsi in maniera omogenea la carne fresca in arrivo. A noi tocca uno "studente" che ci introduce nell'area recintata. E' un percorso circolare che prende inizio dal cosiddetto ponte portoghese, un manufatto del 1660 che fa bella mostra di sé, essendo ancora molto funzionale e vantando il titolo di primo ponte di pietra costruito in Etiopia dall'imperatore Susenyos. Si dice che abbiano supervisionato all'opera anche architetti spagnoli e indiani, ma allora non è chiaro come mai sia detto ponte portoghese. Comunque se gli stessi portoghesi arrivarono in effetti in Etiopia chiamati in aiuto per combattere gli infedeli arabi che tentavano di imporre la loro fede proprio in quel periodo a danno della locale chiesa ortodossa, significa che questo fiume era già ben noto nel XVII secolo e che la sua riscoperta da parte del nostro Bottego alla fine dell'800, fu soltanto una chiarificazione del suo reale sviluppo. Forse prima gli europei non immaginavano che questo corso d'acqua, che qui aveva oltretutto un altro nome,  fosse lo stesso che dava origine al Nilo. 
  
Il Nilo Azzurro
Dopo il ponte, che supera la forra che il fiume ha profondamente scavato tra le rocce, una specie di orrido che rumoreggia una decina di metri più in basso, si cammina a lungo attraverso una campagna accidentata che porta a superare una collinetta che si affaccia su un pianoro. Un poco più lontano si intravede la spaccatura al di là della quale arriva il fiume che si divide in mille rivoli più o meno grandi prima di gettarsi in un salto di una quarantina di metri. Ora al di là dell'aspetto storico e psicologico, in quanto questo è il primo dei salti e delle cateratte che il Nilo affronta nelle molte migliaia di chilometri prima di arrivare al Mediterraneo, si deve dire che l'impatto è piuttosto deludente. E' pur vero che siamo in periodo di secca e che tra tre o quattro mesi l'imponenza del salto sarà assolutamente diversa ed inoltre la diga che ha deviato una parte consistente della regimazione del lago, ne ha ridotto di conseguenza notevolmente la portata, ma la descrizione di stupita meraviglia degli esploratori del passato e le raffigurazioni storiche e le stampe che tratteggiavano questa cascata, facevano immaginare ben altre emozioni. Comunque diciamo che, data la storicità del luogo bisogna farsela andar bene e comunque l'ambientazione circostante ha un certo suo fascino. Riattraversiamo la spaccatura su una lunga passerella sospesa e riguadagnamo l'altra sponda, cosa che consente di vedere ancora le cascate da diverse altre angolazioni.

Facciamoci una birretta
Per terminare il giro però bisogna ancor attraversare un villaggio all'apparenza poverissimo e semideserto. Lungo il sentiero qualche bambino magro, che non ha neppure la forza di chiedere. Una donna sotto un grande albero custodisce un orcio di terracotta dalla quale a richiesta vorrebbe mescere birra di villaggio, ma visto il precedente di questa mattina mi astengo dall'esperienza. Ma alle spalle dei campi pianeggianti, il corso d'acqua si era diviso in cento rivoli e per ritornare alla base di partenza è necessario ancora valicare un paio di canali di una zona umida e paludosa della cui salubrità non voglio più a fondo indagare. Ci sono delle provvidenziali barchette per attraversare, che provvedono alla bisogna e intanto servono a far campare qualche disgraziato in più, come il nostro traghettatore, due spalle ossute con le mani nodose che spingono il bastone sul fondo, quel tanto che basta per dare alla barca l'abbrivio necessario alla traversata. Le dita che si allungano per ricevere i pochi birr necessari non hanno neppure la forza di stringerli per ficcarli nella bisaccia. Lungo l'ultimo tratto di sentiero, lo "studente" che, per la verità, non è stato di alcuna utilità nel compimento della visita di un'oretta, e che comunque era stato già regolarmente pagato, in base alle tariffe esposte all'ingresso, comincia un raccontare dolente di come qui si campi solo delle mance dei turisti, ma devo dire che il dire alquanto aggressivo mi indispone non poco ed alla fine lascio una cifra minima che suscita le sue ire innervosite, dato che evidentemente è stata al di sotto delle sue aspettative. 

Pausa caffè
Non voglio cedere e la disputa si incattivisce, poi per fortuna interviene Lalo redivivo, che seda la discussione e ci imbarca per il lungo ritorno. Per la verità sembra stare un po' meglio e sicuramente non ha la febbre. Sarà la pausa della terzana di verghiana memoria? Speriamo di no, si vedrà domani, comunque dopo una breve pausa ristoratrice a Bahar Dar. Riprendiamo la strada per i 150 km che ci separano ancora da Gondar la nostra meta di oggi. Arriviamo però, che ormai è notte e sta piovendo. La città posta su una serie di colline, è buia e farsi strada tra le buche fangose di queste strade abbandonate a se stesse da decenni, è disagevole. Sfortunatamente l'albergo che avevamo previsto non è disponibile e così comincia un'ulteriore ricerca affannosa tra altre soluzioni dello stesso tipo, dopo aver scartato bettole terrificanti, anche se con personale gentilissimo (possibile che ci siano tanti turisti in giro?), fino a che non sbarchiamo ad un hotel piuttosto pretenzioso e che presenta un prezzo accettabile, ma quando il responsabile della reception percepisce che i clienti sono stranieri, il prezzo cambia improvvisamente ed in pratica raddoppia. Lalo, completamente stranito, non ha neppure la forza di protestare, per cui bisogna buttare giù il boccone e dire che è dolce, dato anche che ormai è piuttosto tardi. Mangiamo qualcosa tanto per buttar giù qualcosa di caldo, tanto è sempre la stessa roba e poi andiamo a buttarci nel letto. Tomorrow is an another day.

Paesaggio

SURVIVAL KIT

AG Hotel - Gondar - Hotel dall'aspetto esterno pretenzioso, si rivela poi piuttosto modesto, il wifi non funziona e non c'è acqua calda. Dotazioni minime e camere normali. Il prezzo ufficiale della doppia è 750 birr, ma a noi sono stati fatti pagare 55 $. A nulla sono valse le proteste. A questo punto e solo per questo motivo, lo sconsiglio vivamente. Ristorante con i soliti piatti a prezzi standard. Quattro piatti principali e due birre per 500 birr. Colazione invece valida e abbondante.

Il ponte tibetano




Jacaranda
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domenica 29 luglio 2018

Etiopia 37 - Il lago Tana


Il coro dei monaci nella chiesa della Vergine Maria
 
Le isole del lago
Dopo gli Oki di ieri sembra che Lalo sia migliorato un po', comunque lo spediamo al dispensario per accertare se ha la malaria, che mi sembra che l'occhio sia ancora piuttosto appannato. Intanto la giornata si dispiega bellissima ed il cielo è terso e senza una nube all'orizzonte. Un barchino, potenza dell'organizzazione, ci aspetta sulle rive del lago, davvero grandissimo, il cui panorama si apre non appena sei al di là dei giardini che costeggiano il viale davanti al nostro albergo. Non siamo lontani dall'area, appena al di fuori della città, in cui esce il suo unico emissario, un piccolo corso d'acqua del quale non potresti mai prevedere il suo futuro di fiume tra i più lunghi e soprattutto importanti, per la storia dei paesi che attraversa, del mondo. Qui c'è l'inizio del Nilo azzurro, che sorge proprio da queste rive piatte e ricoperte di canneti, da tanti affannosamente cercato e che da qui comincia il suo amplissimo percorso, con il suo procedere in cerchio per oltre 1600 chilometri dapprima verso sud, poi continuando a girare fino a trovare la sua strada verso nord, unico tra i grandi fiumi al mondo, per arrivare a congiungersi nella lontana Kartum con il Nilo Bianco per formare il colosso che procedendo rettilineo raggiungerà il lontano Mediterraneo. Di certo una entità storico geografica così importante da non lasciare indifferenti, ma di cui vi parlerò ancora più avanti. Oggi invece la giornata è dedicata a questo bellissimo lago, dalle acque apparentemente tranquille ed agli interessi che nasconde.

Imbarcazioni di papiro
La nostra barca procede lentamente dapprima verso un'ansa nascosta dietro un piccolo promontorio, appena fuori città. Incrociamo barchette leggere di papiro, sulle quali i pescatori si avventurano al largo pagaiando con vigore. Il prodotto delle loro fatiche lo abbiamo già visto prima di imbarcarci, su miseri banchi davanti alla strada, piccoli pesci di lago che qualcuno compra e avvolti in un cartoccio di giornale, mette in sacchetti di plastica, prima di andarsene a casa. Dopo il promontorio, l'acqua è ancora più calma e non si vedono più barche. La superficie azzurra è quasi uno specchio, lontani sulle rive, aironi bianchi si stirano tra le canne immobili. Poi, guardando attentamente e non senza le opportune indicazioni del barcaiolo, noti sull'acqua, aguzzandola vista, le narici di alcuni ippopotami che emergono aperte, aspirando aria. Avvicinandosi un poco, scorgi anche il resto del capo, con gli occhi sporgenti e le orecchie a sventola. Questi sembrano ancora più pigri di quelli precedenti visti, sarà che siamo di prima mattina e dopo aver trascorsola notte a mangiare sulla riva, in pratica stanno riposando nell'acqua, oppure è proprio che manca la voglia di fare il proprio dovere mostrandola bocca spalancata ai turisti di passaggio, fatto sta che giriamo alla larga puntando verso le due isolette lontane, in direzione del centro del lago.

Ippopotamo
Dopo una mezz'oretta di rotta, doppiamo la prima, sulla cima della quale si nota il tetto di un antico monastero, puntando direttamente all'approdo della seconda che nasconde tra gli alberi di una boscaglia fitta che la ricopre completamente, una delle gemme più preziose dell'Etiopia, il monastero e la chiesa della Vergine Maria. Ci avviciniamo con cautela al piccolo molo di pietre sconnesse che conduce ad un sentiero che procede verso l'interno dell'isola. Qui, di turisti ne arrivano, perché la fila di bancarelle che offrono ai fedeli oggettistica religiosa, candele, scialli, catene, e libri di preghiere, contengono anche un florilegio dei classici souvenir, tra cui le famose croci ortodosse di legno o di metallo che ogni credente porta sempre appesa al collo, in varie pezzature e dimensioni. Qualcuno offre il caffè o frutta, forse per lenire la fatica del penitente che sale, dato che il luogo è molto frequentato dai pellegrini che vengono in preghiera a questo santuario antico e famoso. Il sentiero risale leggermente la collinetta che conduce al centro dell'isola e noti frequenti aree recintate con coltivazioni a orti, vigne e frutteti, evidentemente ad uso dei monaci che vivono qui. Arriviamo alfine ad una porta istoriata in legno che consente l'accesso ad un largo recinto che racchiude il monastero. Dalle forme esterne, dalla consunzione delle travi, dalla corrosione delle coperture vedi il peso del tempo e dei secoli che hanno visto innumerevoli piedi attraversare questa soglia consumata ed ormai avvallata dal calpestio.

La Chiesa
Al di là dell'ingresso, alcune costruzioni in legno, non più che capanne di grandi dimensioni, racchiudono le case dei monaci, i magazzini ed altri edifici di utilità. Un trespolo di legni consunti reggono due enormi pietre piatte, appese a corde robuste. I martelli abbandonati alla base, le qualificano per quello che è il loro reale uso, Sono le campane che scandiscono i tempi delle cerimonie. Su una panca malandata addossata allo steccato tre monaci male in arnese, chiacchierano tra di loro appoggiati ai lunghi bastoni da preghiera, attrezzo indispensabile all'attività religiosa per dare maggiore enfasi alle preci che durante le cerimonie vengono lanciate tra canti e grida, verso il cielo. Al centro, dominante tra le altre costruzioni più misere un grande edificio circolare, eretto su una base di gradini di pietra rotonda a sei ordini, col tetto nuovo rifatto da poco, la cui parete esterna è costituita da una cerchia di cannicciato leggero che nasconde la struttura interna. Sul colmo del tetto un cerchio di metallo attorno al quale sono appese otto uova di struzzo simbolo di inizio e di nascita. E' la chiesa della Vergine Maria che risale al XIV secolo. Entri attraverso una stretta apertura per ritrovarti in un corridoio che circonda l'edificio interno quadrato in muratura che racchiude l'impenetrabile Sancta Sanctorum, dove può accedere soltanto la gerarchia più alta del clero, mentre nel corridoio lo spazio è dedicato ai fedeli in preghiera. 

L'ambiente è piuttosto scuro, ma la luce che penetra dall'alto, nello spazio lasciato libero tra il muro di legno esterno ed il tetto, illumina uno spettacolo che lascia senza fiato. Tutte le pareti dell'edificio interno sono completamente affrescate di dipinti che risalgono, in tre epoche diverse, al periodo di costruzione della chiesa. I colori sono ancora vivacissimi e lo stile particolare delle opere, che raccontano le storie dei Vangeli e della vita di Maria, sono uno straordinario racconto dai toni naif che incanta lo spettatore. Mentre rimango immobile a guardare i mille volti dai grandi occhi di uomini, donne, angeli e demoni che mi fissano dalle pareti, dalla parte opposta del corridoio, si leva improvviso, un canto corale forte e deciso, un insieme di voci potenti a creare, se ancora ce ne fosse bisogno, una atmosfera mistica e quasi soprannaturale. Proseguo nel corridoio e dopo l'angolo, ecco apparire, seminascosti nell'ombra, un gruppo di religiosi in piedi, appoggiati ai loro bastoni che levano la loro preghiera verso il centro della chiesa. Sembrano statue avvolte in lunghi mantelli bianchi o dai colori leggeri, quasi tutti con grandi turbanti, qualcuno a prendere ispirazione da grandi libri tenuti sulle mani o appoggiati a leggii antichi. C'è una atmosfera di sacralità assolutamente straordinaria, cerco di farmi piccolo piccolo per non turbare la cerimonia, che continua a dipanarsi in altri canti e successive riprese. I monaci non sembrano far caso a me, anzi tengono gli occhi semichiusi quasi in una sorta di trance. Al mio fianco le figure sui muri sono così simili a loro che nella penombra quasi li confonderesti. 

Mi sposto nell'altro quarto di corridoio, seguito dal sottofondo del canto rimanendo incantato davanti alle storie dei miracoli di Gesù Bambino, tratte dai tanti Vangeli apocrifi, che qui hanno dignità piena, in questa chiesa antica, rimasta così vicina a quella delle origini. I racconti me li illustra, quadro dopo quadro, un giovane monaco dal cappello nero e la barbetta ispida accompagnandomi verso l'uscita. Davvero una esperienza coinvolgente. Ritornando lungo il sentiero, la solitudine del luogo, ti spinge alla mediazione, al pensiero di quanti piedi nudi hanno calpestato queste orme di fede. Così il movimento interno che senti sorgere dentro di te, lo puoi pensare a tutta prima come un turbamento interiore, provocato da questo spettacolo così poco usuale ai tuoi schemi mentali ed invece quando ti accorgi che non è altro che il malefico smottamento peristaltico che prima o poi ti colpisce al solito durante le tue peregrinazioni, che sia la maledizione di Tutankamon o di Montezuma a seconda di dove ti trovi, qui sarà forse la vendetta di Menelik, fatto sta che ti guardi attorno come al solito, disperato alla ricerca di una soluzione alternativa, urgentissima ed improcrastinabile, comprendendo subito di non potere resistere più oltre, cercando di correre ad un riparo impossibile. Poi alla disperata, non trovi altra soluzione che scavalcare una staccionata più bassa, schivando capre fastidiose e celarti dietro due filari di vigna, forse destinati alla produzione del vino per i monaci, Dio non voglia, forse per usi più sacri, ma si sa al cuore non si comanda e giunta la pace dei sensi e la liberazione dai mali, puoi ricacciare i sensi di colpa e rientrare sulla traccia del ritorno, fingendo una pace interiore per poco perduta.

L'ingresso al monastero


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sabato 28 luglio 2018

Etiopia 36 - Le gole del Nilo Azzurro

Al bar

Ventilazione
Oggi ci tocca un lungo trasferimento, più o meno di 500 km, da Addis fino al lago Tana, che ci farà attraversare il grande altopiano interno etiope. Bisogna pertanto partire piuttosto presto. E' infatti notte piena, quando carichiamo, veramente caricano, i bagagli sulla macchina, nel cortile nel nostro albergotto ancora addormentato. Abbiamo già scaricato tenda e materassi che nell'itinerario del nord non ci serviranno più e lasciamo quindi la città verso le sei, quando il sole sta per sorgere. Lalo ha l'occhio smorto, anzi potremmo dire, guardandolo meglio, proprio sofferente. Interrogato al riguardo dichiara di non sentirsi molto bene, lo tocchiamo, ha certamente la febbre, ma lui minimizza, sarà un po' di malaria, ma non troppa, butta lì, buttandoci nella costernazione. Comunque lui insiste di non preoccuparci che più avanti andrà a farsi vedere da un dottore, in una klinic che sa lui. Proviamo a dargli un Oki, tanto per vedere come reagisce; lui obbediente butta giù, poi si accoccola dietro e cerca di dormire mentre lasciamo la capitale alle nostre spalle. Abi dice di stare tranquilli che ci pensa lui e intanto spara a tutto volume l'etiopian rock che tiene sulla sua chiavetta musicale e guida sul rettilineo segnando il tempo con le spalle e ripetendo ossessivamente i ritornelli ritmati. La strada è lunga e anche piuttosto monotona ma per fortuna non si avverte la quota anche se dovremmo essere costantemente sopra i 2000. 

La strada verso l'Abey gorge
Le uova strapazzate che mettiamo sotto i denti verso le otto ristorano abbastanza, anche se non mitigano le preoccupazioni per la salute di Lalo che non si muove dal suo abitacolo. Proseguiamo tutta la mattina in un paesaggio severo e roccioso, dopo aver lasciato le zone coltivate più vicino ad Addis; poi tutto si fa più accidentato e la montagna prende il sopravvento solo che si tratta di una altimetria al contrario, davanti a noi una spaccatura così vasta da non riuscire a vederne i limiti, né ai lati, né di fronte a noi. Non si può dire che si tratti di un vero e proprio canon, perché come minimo si dovrebbe vedere il fondo e scorgere la riva opposta, invece scendiamo quasi a precipizio lungo tornanti scoscesi e curve continue. La strada è asfaltata ma orribile, addirittura, non si capisce se per la pessima qualità dell'asfalto o per il caldo tremendo, in molti punti questo si è addirittura sciolto, formando una sorta di rotaie, provocate dai camion pesantissimi che transitano di qui, che vi sono quasi affondati con le loro ruote. A volte l'asfalto scompare del tutto e questo permette di scendere meglio ma poi, subito dopo, ricompaiono i buchi e le onde. Devi procedere a bassissima velocità, perché cascarci dentro può provocare dei danni che qui, in mezzo al nulla, potrebbero compromettere il viaggio. Quasi ad ogni curva vedi appena fuori dalla strada o in fondo alla scarpata, qualche carcassa di camion o di bus accartocciato e/o bruciato. 

Macaco
Insomma qui non si fanno sconti, ma Abi procede con sicurezza canticchiando sempre. Scendiamo di almeno mille metri ed in fondo, un poco confuso dalla nebbiolina di calore che adesso comincia davvero a diventare fastidioso compare un nastro argentato che compie una lunghissima curva piuttosto regolare. In mezzo, proprio dove si sta dirigendola strada, un lungo ponte che lo attraversa, con tanto di posto di blocco militare a guardia e protezione, che non si sa mai. Questo deve essere l'unico modo di attraversamento per centinaia di chilometri, quindi meglio controllare con attenzione chi passa. Naturalmente dalla guardiola non fa capolino nessuno e procediamo quindi ad attraversare, anche se con una certa cautela. Qualche macaco invece butta uno sguardo interrogativo come per chiedere dove diavolo stiamo andando e come mai ci troviamo lì. Si tratterebbe dell'Abey river, a tutta prima sconosciuto, stranamente vista la sua straordinaria imponenza, ma in realtà, dopo un rapido controllo delle mappe, scopriamo che non si tratta altro che del Nilo Azzurro e che questo è il suo nome in amarico, traslato dall'arabo. Pur sembrando un fiume di tutto rispetto, in questa stagione ha una portata che arriva a malapena ai 100m3/s e qui siamo già a diverse centinaia di chilometri dal lago Tana di cui è anche l'unico emissario, ma ad agosto può arrivare a quasi 6000 m3/s! 

IlNIlo Azzurro
Certamente questo fiume, al solo nominarlo, dà sempre una certa emozione. Se pensi alle esplorazioni ottocentesche che andavano alla ricerca delle sue sorgenti, alla scoperta di questo immissario, così grande da essere considerato parte del fiume stesso, all'arrivo al grande lago, che vedremo domani, in questo territorio che checché tu ne voglia dire, si sente decisamente come ostile, difficilissimo da percorrere, con i mezzi odierni e figuriamoci allora, hai la sensazione dell'impresa, che poi è Abi che guida e dietro Lalo mezzo morto che dà le indicazioni, forse anche allora era così. Intanto la orribile strada, che dovrebbe, tra l'altro, essere un lascito di un'azione congiunta italiana e giapponese, risale gli oltre mille metri dell'altro versante, in una serie di curve e controcurve speculari a quelle che ci hanno fatto discendere prima. Misa che qui hanno risparmiato sui materiali. La zona, molto rocciosa e chiaramente improduttiva è del tutto desertica e quel nastro di acqua solitario laggiù, appare ancora più desolato ed incongruo, come fosse un tracciato inusuale scoperto su un pianeta alieno. Quasi quasi ritorna su il pollo secco e durissimo che avevamo trangugiato qualche chilometro prima in una cittadina senza nome, all'interno di un'hotel di passaggio, per la verità molto frequentato e che appariva di buon livello, prima che arrivassero i piatti, ma diciamo che la Coca Cola era ottima, tanto per non apparire sempre come dei turistacci viziati e brontoloni. 

Bahir Dar
Subito dopo, risalito completamente il bordo della scarpata, il terreno diventa di nuovo piatto con lievi ondulazioni, anche se man mano che si procede verso nord, comincia a diventare più verde e compaiono le prime coltivazioni, dapprima con piccoli villaggi, poi con cittadine senza nome, fino ad arrivare a Bahir Dar, la città sul bordo del lago. E' ormai tardo pomeriggio e, forse per la scontrosità del territorio percorso oggi, tutto appare subito più civile e ridente. I larghi viali alberati ed il traffico che li percorre sembrano quasi ordinati; le case e le varie costruzioni, moderatamente ben fatte, molte nuove, insomma sembra di essere tornati nel mondo civile. In realtà questa città ambisce a diventare centro turistico, data la sua posizione sul lago e un clima accettabile rispetto al resto del paese. Ci sono molti alberghi anche nuovi e sembrano circolare anche un po' di soldini. Anche il nostro albergo mostra un tono decisamente più elevato ed elegante e la terrazza vista lago ti consente di rimanere a goderti la sera, con il sole che scende e il rosa che riempie il cielo, come fossi un inglese che girava per il mondo in un tempo passato per andare a vedere finalmente lo stato dei suoi possedimenti. Veramente si potrebbe andare a fare un giretto per le strade intorno, tanto per vedere da dove viene la musica afro che si sente dall'altra parte della strada, ma un potente slavazzo che arriva a proposito ci consiglia un pavido rientro. La disco di fronte all'albergo comincia con un martellamento di tamburi, fino a quando durerà? Non ho ancora finito di pormi la domanda che già sono crollato sul cuscino.

On the road
SURVIVALKIT


Hotel Palm Palace
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 West Gojjam - Bahir dar - Bell'albergo, quasi nuovo in riva al lago. Moderno con ascensori. La nostra doppia vista lago, grande pulita, TV, free wifi funzionante, frigo acqua calda e fredda, due asciugamani senza chiederli e tutto funziona bene a 600 birr. Ristorante valido con buona scelta. Pollo al curry, varie paste, pizza e piatti di carne. Prezzi normali. Consigliatissimo. Personale molto gentile ed efficiente. Da qui si possono avere le escursioni sul lago.




Acacie


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