C'è un'età particolare, un momento in cui le attenzioni di ogni povero adolescente si focalizzano quasi automaticamente, forse per obbligo genetico verso l'altro sesso. E' una calamita allo stesso tempo dolce ed affannata che ti costringe a mollare tutto e ad avere un solo chiodo fisso in testa. Finito il tempo delle collezioni di figurine, della voglia di giocare a pallone, dei pomeriggi passati a pescare arborelle vicino alle acque morte del canale. Una sorta di inspiegabile brama ti porta a pensare solo a quella roba lì in una indistinta e confusa melassa di torbidi pensieri uniti a voli poetici e trascendenti che non capisci bene dove vogliano andare a parare. Quando toccò a me il momento, il campo di battaglia dove scendevano le schiere in cerca di gloria era la sala da ballo estiva. Luogo neutrale per eccellenza, una arena in cui si calava per combattere la dura battaglia, muniti solo dell'arma spuntata dell'inesperienza. Avevo purtroppo la ventura di essere uno dei più piccoli del mio nutrito gruppetto che trascorreva l'estate in Valle San Bartolomeo e come tale, le mie possibilità di presentare un'offerta appetibile alle componenti delle schiere avversarie erano scarsissime, considerata anche la mia goffaggine di ragazzotto già allora tendente al pingue.
Uno dei momenti topici in cui sfoderare le armi erano i cosiddetti
matinée che verso le tre del pomeriggio radunavano i più giovani il sabato o la domenica con la colonna sonora di complessini locali. Nessuno pensava ancora che un locale potesse offrire balli al suono esclusivo dei dischi, una cosa talmente miserabile da essere relegata alle festicciole invernali in casa. Eccoci dunque, quella volta, inforcate le biciclette, pedalare faticosamente sotto il sole delle due del pomeriggio verso le Fonti di Valmadonna, noto luogo di perdizione, tra l'altro pronubo già tanti anni prima dell'incontro fatale tra mio padre e mia madre. Avevo una magnifica bicicletta gialla con cambio Campagnolo a 5 rapporti
di cui vi ho già parlato che esibivo con
nonchalance, sugli altri rapporti invece calava la nebbia più assoluta. Anche se cercavo di sopperire con la chiacchiera, che già allora non mi faceva difetto, i miei punti di forza erano davvero esili e la mia credibilità nel campo praticamente nulla. Tuttavia al momento della partenza la strategia di attacco per ottenere qualche risultato concreto, veniva meticolosamente pensata e preparata, anche se l'oggetto nel mirino era stupidamente indistinto, guai a voi se mi dite subito"basta che respirasse".
Quello non era il punto, forse solo una conseguenza di quel complesso insieme di sentimento confuso, di desiderio generico, di scoperta di un mondo sconosciuto e contemporaneamente pieno di allettante mistero e difficoltà apparentemente insormontabili. In sostanza ci mancava la corda e gli scarponi per cominciare la scalata e da lontano le montagne, si sa, sono un po' tutte uguali; pericolose ma bellissime mete da raggiungere e conquistare anche se non conosci quali siano i sentieri da percorrere che conducono fino all'agognata vetta. Quindi, date queste premesse, ancora più impossibile era, vista adesso, la possibilità di un sia pur minimo successo, specie per chi come me, era nelle condizioni peggiori per affrontare la lotta. Arrivati alla pista da ballo, una rotonda in cemento circondata dai tavolini, mentre il complesso in questione, mettiamo i Quattro Assi (il cantante era una copia esatta di Arturo Testa), cominciava le danze, le ragazze facevano gruppetto ridacchiando e lanciando occhiate assassine verso i personaggi più appetibili e ricercati, i grandi ballerini della compagnia.
Questi senza difficoltà invadevano la pista subito e quasi senza bisogno di chiedere si prendevano le più sveglie lanciandosi nel rock frenetico, il ballo che maggiormente permetteva di mettere in mostra le doti tersicoree delle femmine e che fungeva da acchiappo sicuro per il maschio più scafato. Molleggiamenti sinuosi e anche sciolte, lancio controllato di piedi e giravolte veloci, una malia irresistibile per la maggior parte delle fanciulle. Subito dopo, implacabile, l'orchestra attaccava una serie di lenti che da Sapore di sale ad Una rotonda sul mare, davano ampia possibilità di godere del frutto della fatica. Io e qualche altro disgraziato invece, rosi dall'accidia, si rimaneva al bordo della pista con aria noncurante a invidiare le altrui conquiste e a meditare inutili strategie. Alle sette il mesto ritorno a casa, macerandosi nell'amaro sapore dell'insuccesso, come quei giocatori che persa la partita ripensano compulsivamente agli errori commessi e vorrebbero ritornare indietro per cambiare l'ordine delle carte che avrebbe dato loro la vittoria.
Così il corteo di biciclette rifece lentamente la strada degli Autén per tornare a casa e qui, un po' per le delusioni assommate, un po' per le energie non spese, tentai un affondo per staccare il gruppo e superare la sommità della collinetta per mostrare almeno lì un minimo di superiorità. I più prestanti, che mi avrebbero facilmente superato intanto, erano intenti a completare l'opera di corteggiamento iniziata durante le danze e non si mettevano certo in competizione muscolare. Staccai così facilmente il gruppo dando sfogo alla rabbia repressa, gettandomi a capofitto nella leggera discesa della strada che procede sinuosa nella valletta. Quando arrivò il gruppo festante, mi trovarono in fondo all'ultima curva, indecentemente caduto su un mucchio di terra vicino al fosso, dove la ghiaietta sottile ed infida del bordo e la mia incauta furia avevano fatto scivolare le ruote della mia bella bicicletta, precipitandomi a faccia avanti nel pietrisco. Fui soccorso e naturalmente sbertucciato quanto basta, mentre risalivo distrutto e dolorante sul mio mezzo tutto sfregiato, le ginocchia sbucciate e col manubrio storto per tornare a casa mesto e sconfitto. Niente di rotto fortunatamente, salvo il mio orgoglio.
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